Il nero che fa paura a Bologna: quello degli immigrati
I risultati del referendum sulla cittadinanza sono impressionanti: i no volano nei quartieri dove predomina il Pd. Il politologo Valbruzzi: “Il Pd ha due anime: una di giovani istruiti e l’altra di vecchi del Pci, che sui diritti la vedono in altro modo”. E sono due anime che non si parlano.
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Il voto di domenica scorsa sulla cittadinanza è stato giudicato da molti la vera novità politica di un turno referendario per altri versi abbastanza scontato. Pochi infatti avrebbero previsto che un elettorato così sostanzialmente orientato a sinistra avrebbe alzato il muro di no che ha alzato. La sorpresa aumenta se si vanno a scomporre i dati, e se si guarda quanto accaduto per esempio nella rossissima Bologna, capitale dell’accoglienza nelle intenzioni dei vertici cittadini Dem, dove nei quartieri periferici, quelli dove il Pd spopola, i no sono stati il doppio che nel centro città. Meccanismo non nuovo ma che osservato da vicino e soprattutto se collocato in un contesto del genere, impressiona non poco. In generale a Bologna i no sulla cittadinanza sono stati più del doppio di quelli sul lavoro (22 per cento contro circa l’11), ma hanno toccato i vertici nei quartieri popolari. Mentre nella famigerata ztl i contrari sono stati il 17 per cento (comunque sempre più che sul lavoro), a Borgo Panigale-Reno si è giunti a quota 29 per cento, al Savena e al Navile si è arrivati al 25. In una sezione del quartiere Savena il no è stato del 40 per cento, come fortissimo il no è andato nella provincia, con il 43 a Molinella, il 50 a Castel Bolognese, il 35 a Marzabotto. Non solo. I no sono stati più alti nei quartieri dove il Pd ha ottenuto maggiori consensi alle Europee, mentre sono scemati nelle zone dove i Dem erano andati meno bene.
Un mosaico che si ripresenta da anni, ma che se osservato proprio a Bologna, porta a più di una riflessione. “La realtà – spiega il professor Marco Valbruzzi, politologo alla Federico II di Napoli ed ex coordinatore dell’Istituto Cattaneo di Bologna – è che il medesimo elettorato Pd è formato da due constituency del tutto diverse, e la composizione dei quesiti di domenica, un po’ sul lavoro un altro po’ sui diritti, ne ha messo ben in evidenza la differenza, squadernandola”. Due mondi che non si parlano. “Un’anima è di natura diciamo melanchoniana, attenta ai temi del lavoro, se vogliamo laburista ma che è aperta ai temi dei diritti, sia quelli che definiamo civili sia quelli delle nuove cittadinanze. Sono elettori più istruiti, più giovani, spesso donne, che hanno lavori più qualificati, di conseguenza con maggiori possibilità economiche e che in virtù di questo abitano in zone centrali delle città. Poi ci sono gli elettori più anziani, spesso pensionati, ex operai, che sui diritti in generale e della cittadinanza in particolare hanno una visione diversa. A Santo Stefano sono più aperti all’immigrazione perché non temono la concorrenza sul piano del mercato del lavoro o del welfare, anzi spesso hanno bisogno di loro per le faccende domestiche. Al Pilastro gli elettori Dem sono più tradizionalisti, più chiusi semplicemente perché gli immigrati con i loro usi e costumi diversi non li conoscono o perché gli fanno concorrenza visto che svolgono lavori meno elevati come i loro o gli passano avanti nelle graduatorie per la casa o le liste d’attesa in sanità”.
Sono due settori del mercato politico diversi, due vasi non comunicanti e il Pd fa fatica a interpretarli entrambi contemporaneamente. Il Pd, filiazione (anche) dei Ds nati alla popolare Bolognina, pare che adesso della Bolognina mantenga solo un vago ricordo. “La segretaria Schlein – continua Valbruzzi – ha cercato di spostare l’accento sui temi del sociale come la sanità e il lavoro ma se non scioglie il nodo immigrazione rischia di non arrivare a niente, e questi dati sulla rossa Bologna, casa loro, lo dimostrano. Il problema è che per i Dem l’integrazione è un tema molto sensibile, ci sono stante componenti da mettere insieme. Pensiamo alla cultura cattolica, così rilevante in certa parte del Pd e a quanto peso aveva nei ricorrenti richiami del pontificato di papa Francesco a cui quel mondo è ovviamente sensibile”.
A tutto si aggiunge anche che certa dirigenza Dem, per formazione, provenienza personale o natura, sembra tagliata sul profilo ideale da ztl e quindi per forza di cose, in perfetta buona fede, finisce per connettersi meglio con Santo Stefano che con il Navile. “È quella che noi politologi identifichiamo come la componente della classe media creativa. Gente molto istruita, tendenzialmente benestante, più propensa della media a guardare al futuro. Pensiamo a Elly Schlein, upperclass internazionale, al nobile Gentiloni o a Enrico Letta, che adesso sta a SciencePo. Tutte persone eccellenti, preparate ma che per la loro educazione, nonostante gli sforzi encomiabili che facciano, avvertono più un aspetto di un altro”. Ovviamente senza voler colpevolizzare nessuno.
Certo è che se si vuol parlare a tutti, rappresentare tutti o per lo meno più gente possibile, anche del tuo mondo, non si può classificare certe esigenze solo “paure”, “pancia del paese”, frutto di una “campagna della destra”, come invece certe reazioni di questi giorni ai dati sul referendum si sono sentite a sinistra. Forse servirà una riflessione approfondita che in altri paesi europei una parte dell’universo progressista ha avviato. Perché come diceva una grande giornalista e intellettuale del Novecento, “la povera gente la devi aiutare ma prima la devi ascoltare”.
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