Dietrofront. La guerra del governo alla Corte dei conti è già finita
La reazione rabbiosa della serata di mercoledì per la bocciatura del Ponte sullo Stretto si è spenta.
 
 Nessuno scontro con i magistrati contabili, ma un più diplomatico “aspettiamo le motivazioni, risponderemo punto per punto e andremo avanti”. La svolta dopo un vertice dei leader a Palazzo Chigi: un’escalation dei toni sarebbe controproducente per la realizzazione dell’opera
Un passo indietro. Dopo la reazione furiosa all’intervento della magistratura contabile, Giorgia Meloni convoca a Palazzo Chigi i vicepremier. La posizione del governo sullo stop tecnico della Corte dei Conti al progetto del Ponte sullo Stretto viene capovolta: “Attendiamo le motivazioni”. Nessun vertice di guerra, insomma. Anche Matteo Salvini sbuffa dalla pipa della pace: “Nessuno scontro tra poteri dello Stato, daremo tutte le informazioni che ci vengono richieste”. Un pacato dialogo, anche per evitare nuovi scontri e ricorsi.
La giornata inizia presto. Al ministero dei Trasporti i tecnici si chiudono nella stanza del titolare. Salvini ragiona su come rispondere. L’obiettivo è trovare una soluzione per far partire i lavori. Il leghista viene descritto “determinato”. Ieri aveva ringhiato: “La decisione della Corte dei Conti è un grave danno per il Paese e appare una scelta politica più che un sereno giudizio tecnico”.
Una reazione rabbiosa, arrivata dopo che i giudici contabili hanno deciso per il no alla bollinatura alla delibera del Cipess, che ha approvato il progetto definitivo il 6 agosto scorso. La decisione della sezione di controllo della Corte, pronunciata dopo un’udienza durata cinque ore e oltre quattro ore di Camera di consiglio, ha innervosito anche la premier. Meloni aveva parlato di “ennesimo atto di invasione” da parte dei magistrati. E non aveva mancato l’occasione per ricordare il voto positivo alla separazione della carriere, tanto da paventare anche “la riforma della Corte dei Conti”, risposta anche questa “a una intollerabile invadenza” dei giudici sul lavoro del governo.
Dodici ore dopo, il quadro cambia. Toni bassi, freno alle polemiche. Prima di pranzo, mentre al Senato il centrodestra festeggia per lo storico sì alla riforma della giustizia, Meloni riunisce a Chigi Salvini e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani (videocollegato dal Niger). Al tavolo ci sono anche i sottosegretari Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, che al Corriere stamane ha parlato di “minaccia per la democrazia”.
Per un’ora discutono delle sorti del Ponte, di quale strategia adottare. Il clima è “sereno”, la premier incoraggia tutti “ad andare avanti”. Chi ha partecipato esclude possibili vendette, tanto che non si è parlato di giustizia. Poi sono passati agli aspetti tecnici poi, difesi in un secondo momento, quando si è seduto anche l’amministratore delegato dello Stretto di Messina, Pietro Ciucci: “Per il Ponte sullo Stretto non serve una nuova gara per i costi”.
Davanti a uno stuolo di cronisti e di curiosi, sotto il colonnato, arriva Salvini: “Attendiamo con estrema tranquillità i rilievi della Corte dei Conti a cui siamo convinti di poter rispondere punto su punto”. Una dichiarazione concordata, che alcuni leggono addirittura come imposta dalla premier. “Mi sarebbe piaciuto partire con i cantieri a novembre”, invece “partiremo a febbraio”, dice il leghista che esclude “lo scontro tra poteri dello Stato”.
Collaborazione con la Corte, è la linea del governo: “Si è convenuto di attendere” le motivazioni, che verranno fornite entro trenta giorni. Solo dopo, l’esecutivo “provvederà a replicare puntualmente a ciascun rilievo, utilizzando tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento”. Sarà poi la stessa Meloni, ai microfoni del Tg1, a dirsi “incuriosita” dalle richieste della Corte e a spiegare che “il governo aspetta i rilievi”, ma “sia chiaro che l’obiettivo è fare il Ponte sullo Stretto di Messina. Un’opera “strategica” che non verrà fermata “dalla burocrazia o dai cavilli”.
Avanti, ma con prudenza. Lo stop tecnico è un duro colpo per il governo, che non arriva senza avvisaglie. Le possibili motivazioni spaziano dai rilievi sul piano economico ai documenti incompleti fino a possibili conflitti con le norme Ue sulla concorrenza. Rifiutando di applicare il visto, la sezione di controllo della Corte dei Conti ha bloccato l’iter del Ponte. Un niet alla delibera del Cipess che impone al governo più opzioni. La speranza che la Corte cambi idea registrando senza riserva l’atto. Difficile, altrimenti prenderebbe quota la forzatura, ovvero la possibilità di andare avanti anche solo con un visto di riserva: il governo si assumerebbe la responsabilità politica, oltre a rischiare di complicare un percorso già accidentato. La sicurezza è quella dell’attesa delle motivazioni, per tentare l’integrazione dei fogli carenti. Meno probabile, rispetto a ieri, invece una nuova delibera da licenziare a Chigi e far approvare in Parlamento.
Lo scontro, insomma, non paga. Certamente colpisce l’inversione a “u” dell’esecutivo. I toni erano diventati aspri, tanto che la Corte, in un inusuale comunicato stampa, ha spiegato di essersi espressa solamente “su profili strettamente giuridici della delibera Cipess”, cioè “senza alcun tipo di valutazione sull’opportunità e sul merito dell’opera”. Una nota per chiedere con forza “rispetto per l’operato dei magistrati”.
Il braccio di ferro poteva esplodere. Ecco allora il dietrofront, seppur temporaneo. Fonti parlamentari ventilano un possibile intervento del Colle, ma mancano le conferme. Piuttosto, l’esecutivo si potrebbe essere reso conto che l’iter non è stato seguito in modo certosino e quei documenti incompleti vanno integrati davvero. Anche perché il muro contro muro avrebbe portato a un altra strada: quella dei ricorsi e di altri fronti che si aprirebbero con la giustizia. Un’eventualità che “esiste”, spiega chi ha il dossier in mano. Anche per questo, meglio mediare.
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