C’è un problema se preferiscono Putin a Schlein
La segretaria del Pd fischiata alla festa del Fatto perché osa dire che la Russia ha invaso l’Ucraina.
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Su queste basi è difficile costruire un’alleanza, specie se, il giorno dopo, Conte dice che l’alleanza non c’è.
Non sorvolerei sui fischi a Elly Schlein alla festa del Fatto quotidiano, il giornale di riferimento del Movimento 5 stelle (o viceversa), quando ha osato dire che la Russia ha invaso l’Ucraina e che Donald Trump ha reso più forte Vladimir Putin. Per salvare la sua missione unitaria, la povera Schlein si è affrettata a spostare il discorso su Gaza. Lì, infatti, c’è convergenza con il popolo 5S, per nulla disturbato dallo strabismo che lo porta a difendere in un caso il debole (i palestinesi) e nell’altro il forte (i russi), perché gli basta, per salvarsi l’anima, raccontarsi (farsi raccontare) che il vero colpevole dell’invasione dell’Ucraina è il forte occidente, la Nato ecc., giustificando così l’operazione militare speciale di Putin, come si giustificherebbe un marito che ha ammazzato la moglie perché stava per lasciarlo.
Schlein è così ansiosa di cementare l’alleanza con i 5S che passa oltre e fa finta che sia trascurabile una tanto macroscopica differenza di vedute in politica estera, facendo buon viso a cattivo gioco. Ma si può parlare di alleanza quando le divergenze sono di tal peso e riguardano non solo la politica estera, ma la visione del mondo, il sistema dei valori che una scelta di campo per gli aggrediti comporta, tanto più se l’aggressore è vistosamente fuori dal pur più labile perimetro delle democrazie? È vero che lo strabismo dei 5S è assai comune a sinistra, la quale a favore degli ucraini non ha mostrato neanche la minima parte della solidarietà che ha riservato ai palestinesi, e che quindi per la Schlein è un problema anche a casa sua, da non enfatizzare troppo per non crearsi dissapori pure all’interno. Ma l’aperto schierarsi a favore di Putin di un partito (Giuseppe Conte ha dichiarato che “Putin è stato sfidato a un confronto militare”!) con cui si aspira a convolare a nozze politiche richiede una buona fornitura di paraocchi per non vedere e di paraorecchie per non sentire. La scena della festa del Fatto è stata imbarazzante, perfino per il suo moderatore.
In un certo senso, però, è stato più lineare Conte quando ha dichiarato in un’intervista che M5s non è per il momento alleato del Pd, ma partecipa con esso a una specie di società di scopo, volta, nel frangente, a tenere la destra fuori dai governi regionali e forse, in prospettiva (ma non lo ha detto), da quello nazionale. In effetti, una coalizione politica è composta da soggetti diversi e non è sbagliato e forse più corretto non nascondere troppo le differenze, specie quando l’unità si trova quasi solo nel risultato di potere atteso e non c’è o è debolissima nella concezione del mondo e persino nella percezione stessa della realtà.
Da sempre è così: il Pd corteggia i possibili alleati ed è disposto a scolorire la propria identità, quella della maggior parte del suo elettorato, pur di non impermalosire i partner di coalizione. E ne riceve netta e quasi gelosa distinzione dei territori da presunti soci che sono prima di tutto dei concorrenti. Con Schlein questo è diventato ancora più evidente e colpisce che il giorno in cui lei fa finta che la divergenza radicale sull’Ucraina con il popolo 5 stelle sia un particolare secondario, Conte ricordi che le differenze ci sono tutte (“una storia diversa”) e che, fermo restando il possibile ma temporaneo scopo comune, un progetto unitario è di là da venire. Per la verità, anche molti elettori del Pd si rallegrano di queste differenze perché temono che il fatidico “progetto unitario” debba ricevere anche la benedizione di Putin. Ma certo non se ne può rallegrare la povera Schlein, subissata dai fischi e dalla rabbia di quelli che era venuta a lusingare.
di Vittorio Coletti su HuffPost
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