Anno: XXVI - Numero 170    
Giovedì 4 Settembre 2025 ore 13:45
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Azione en Marche.

Calenda guarda a destra, il partito a sinistra. Alla fine, niente simbolo, ma candidati ovunque.

Azione en Marche.

 

Il partito centrista sembrava pronto per la prima alleanza con il centrodestra per le prossime regionali. La base si spacca, i militanti propendono per il centrosinistra. Alla fine la decisione salomonica: purché sia in liste civiche, candidatevi con chi vi pare

Azione è diventata come un pendolo: Calenda vorrebbe provare l’alleanza a destra, i suoi lo riportano a sinistra. È andata così per le Marche, che doveva essere il gran laboratorio dello sbarco dei centristi “in partibus infidelium”. E invece ci sarà l’ordine sparso: niente simbolo in lista, ma ognuno può candidarsi come vuole nelle liste civiche a sostegno di Matteo Ricci o di Francesco Acquaroli (a sostegno di entrambi non è possibile per legge). E rischia di andare allo stesso modo anche in Lombardia, dove si prepara una doppia partita, probabilmente in contemporanea, quella delle comunali a Milano e delle regionali per il Pirellone. Insomma il leader di Azione è alle prese con la Retroazione dei suoi: lui rema a destra, loro a sinistra.

Un esito che sa di beffa, nel momento in cui il grande competitor, Matteo Renzi, s’è buttato invece a capofitto nel mare magnum del centrosinistra. Il figliol prodigo del Pd tornerà anche alle feste dell’Unità – l’ultima volta, l’anno scorso, ospite proprio di Matteo Ricci a Pesaro, aveva raccolto solo applausi – mentre Calenda tra i motivi per cui ha deciso di non allearsi con Ricci c’è proprio quel che considera evidentemente come un marchio d’infamia: “Ricci è un renziano passato con Schlein”. Vade retro.

Meglio Acquaroli, dunque, al netto di quella volta che parlò alla serata indetta per festeggiare la marcia su Roma? O delle varie misure prese contro il diritto all’aborto? Per Calenda non è quello che conta: “Acquaroli è penultimo nella lista di gradimento dei governatori”, ha detto per stabilire l’equazione centrista: i due pari sono.

Ma in realtà proprio sulle Marche il leader azionista aveva cominciato a tessere il filo dell’equidistanza. Ha cominciato a marzo, quando Giorgia Meloni si è presentata al congresso di Azione – seduta tra Calenda e Giovanni Donzelli – ipotizzando possibili collaborazioni con l’opposizione responsabile. In quell’occasione un dirigente delle Marche fermò il responsabile organizzazione di FdI, Donzelli, e gli chiese: “Lo facciamo l’accordo nelle Marche? Più di metà partito è per Francesco Acquaroli”. E Donzelli rispose – come riportò Repubblica – Penso proprio di sì. Con Carlo si può dialogare”.

Tre mesi dopo l’ipotesi è evaporata. Più dei 40 gradi di luglio, a toglierla dal tavolo sono le proteste di mezzo partito, indisposto a fare il salto dell’oca, peraltro in una regione a trazione destra-destra. Per di più, l’unica regione tra quelle al voto in autunno – Marche, Veneto, Campania, Puglia e Toscana – giudicata dai sondaggi contendibile e in cui il centrosinistra  può strappare l’amministrazione al centrodestra.

Il partito è talmente spaccato che Calenda evita di esporsi e si presenta davanti alla direzione regionale senza una decisione. “Fate vobis”, dice in sostanza. I presenti, a quanto risulta all’Huffpost da diverse fonti, effettivamente si dividono. Raccontano che la direzione prova a forzare la mano sul centrodestra, ma la maggioranza degli iscritti e diversi dirigenti si schierano per il centrosinistra. Finisce tre a due per il sostegno a Ricci, con Pesaro-Urbino, Ancona e Macerata schierate a sinistra e la linea “donzelliana” sostenuta solo da Fermo e Ascoli Piceno. A questo punto è il caso di non presentare il simbolo, propone Calenda. 

Decisione salomonica. Ma quelli non ci stanno a rinunciare alla corsa. E dunque arriva la decisione: ognuno si candidi con chi vuole. È la nuova frontiera dell’azionismo. Dal partito che non credeva alla contrapposizione tra destra e sinistra al partito che candida i suoi esponenti sia con la destra che con la sinistra.  Qualcuno si chiede, a taccuino chiuso: “Ma dopo il voto, come lo rimettiamo in piedi un partito che si è spaccato nell’urna?” Si vedrà. Intanto si avvicina un altro laboratorio. A Milano e in Lombardia Azione vale più del 2-3 per cento che gli attribuiscono i sondaggi nazionali. Alle politiche del 2022, nel capoluogo prese il 16 per cento alla Camera e il 23 per cento al Senato. Ora in regione dovrebbe valere il 6 per cento. Voti che fanno gola al centrodestra, dove Forza Italia – con il coordinatore regionale Alessandro Sorte – ha già proposto di fare un accordo. Sono già nell’aria contestazioni, ma c’è anche la via d’uscita. Mal che vada si può adottare la ricetta marchigiana: candidarsi sia a destra che a sinistra.

di Alfonso Raimo su HuffPost

 

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