Applausi e schiamazzi. Due palchi di fine estate raccontano il senso del Pd per i 5 stelle
Gli interventi di Chiara Appendino alla Festa dell'Unità di Torino e quello di Elly Schlein alla kermesse del Fatto sono la cartina tornasole dello stato dell'arte dei rapporti tra i due partiti (per tacer delle Regionali)
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Metti una sera a Torino, sul palco della Festa dell’Unità. “Il percorso con il Partito democratico è possibile, ma senza Lo Russo”. A parlare è la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino e il dardo è diretto a Stefano Lo Russo, sindaco con tessera del Pd. E metti un pomeriggio a Roma, alla kermesse del Fatto Quotidiano. Elly Schlein l’Ucraina, vittima di “un’invasione criminale”. Fischi, schiamazzi. Due elettorati diversi, due esiti opposti che fotografano un’alleanza ancora in salita.
Sono i palchi a raccontare plasticamente la distanza tra il popolo dem e quello grillino, tra le velleità di un ex premier e la testardaggine di una segretaria. A Reggio Emilia, sempre durante la festa dell’Unità, Giuseppe Conte ha ringraziato per gli applausi. Addirittura si sono alzati i cori, incassati durante il giro degli stand. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Microfono in mano, insiste sulla sua priorità: mandare a casa Meloni. Per farlo, però, serve un programma condiviso, che non deve annacquare l’identità 5 Stelle: “Collocazione progressista significa che il Movimento non può rinunciare alla nostra autonomia e alla nostra diversità”.
L’ex premier è interessato “a un progetto”. Il giorno dopo, fresco di elogi, rettifica: “Ieri ero alla festa dell’Unità e oggi dico che non siamo alleati”. Lo diventeremo, fa intuire. Ma dopo, forse. Lo scambio di cortesie porta la segretaria dem a casa del Fatto, dove il cuore batte per il Movimento. Al Circo Massimo Schlein parla di Ucraina e premette che “è stato Putin a muovere l’invasione”. Volano i fischi: “Buu”. Nessuna carineria. Serve l’intervento del direttore Marco Travaglio per ritrovare la serenità.
Due partite fuori casa, una finita con gli applausi e l’altra con gli schiamazzi. Il bon ton prevede che non si insista. A pigiare sulla ferita è invece Chiara Appendino, numero due del Movimento. Prima un sussulto sul mantra schleiniano: “Per me il testardamente unitari non ha alcun significato, credo nel testardamente coerenti nel tentare di costruire un progetto alternativo a queste destre con politiche chiare e identitarie”. Poi, da ex sindaca, cannoneggia il suo successore. A Torino, spiega, serve un progetto nuovo e “non è una questione personale” ma “serve discontinuità con un sistema che il sindaco Lorusso rappresenta”. Due a zero.
Si può continuare, anche solo per aggiornare il tabellino. Nonostante gli sforzi schleiniani, è netta la distanza di toni – e chissà, obiettivi – tra 5S e Pd. Alla critica di Appendino si leva solo la risposta di Stefano Bonaccini, presidente dem e avversario di Schlein alle primarie. La segretaria chiede di abbassare il polverone. Nessuna polemica, fino al prossimo affondo.
Conte tira di dritto. Con una gestione sapiente ha dettato regole e candidati alle regionali. Il reddito di cittadinanza è praticamente onnipresente nei programmi di centrosinistra. Da quello del governatore della Toscana uscente, Eugenio Giani, che tanto ha dovuto penare per stringere un patto con la contiana Paola Taverna. A quello di Pasquale Tridico, ex direttore dell’Inps ed europarlamentare 5S, nonché frontman del campo largo in Calabria. Per non parlare della Campania.
Se in Puglia le grane erano tutte in casa Pd, in Campania i democratici governavano da parecchio, ma hanno dovuto scontrarsi con il Vicerè. Per togliere il disturbo, Vincenzo De Luca ha imposto la candidatura unica del figlio alla segreteria regionale come contrappasso. Non per un candidato schleiniano, ma per un 5 Stelle: Roberto Fico.
Doveva essere più agile la partita marchigiana. Anche lì, però, i diktat della galassia 5S hanno tenuto col fiato sospeso i testardamente unitari. L’inchiesta Affidopoli ha fatto titubare Conte che, prima di dare il via libera al candidato indagato Matteo Ricci, ha voluto “vedere la carte”.
Un deja vù con esito ben diverso rispetto alle accuse mosse contro il sindaco di Milano, Beppe Sala, indagato nell’inchiesta sull’urbanistica milanese, tenuto in sella dal Pd e bombardato dai 5S. Ma è proprio nelle Marche che i sospetti si moltiplicano e i palchi si dividono: Schlein sarà a Pesaro mercoledì, mentre Conte tornerà da Ricci solo la settimana prossima. I bisticci regionali sono solo antipasti di un’alleanza sempre appesa, mai certa.
La partita che occupa i pensieri di Schlein è quella del 2027, assicurano al Nazareno. Dove una vecchia volpe come Dario Franceschini briga per tirar su la tenda dei riformisti con Matteo Renzi e, a Repubblica, assicura che la vittoria sulla destra è “non soltanto possibile, ma probabile”. Prima, Schlein è disposta a sopportare i dispetti dei contiani. Tutti consapevoli che, qualora Giorgia Meloni dovesse cambiare la legge elettorale inserendo la scelta del candidato premier, altri guai sono in vista. “Il candidato viene dopo, non sarà un problema per il M5S e il sottoscritto”, assicura Conte. Pronto a salire trionfante sul palco della prossima Festa dell’Unità, mentre dall’altra parte temono i fischi.
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