Abbiamo perso le Marche, ma abbiamo vinto a New York.
Campo largo in festa per il successo di Mamdani.
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Sono passati quasi vent’anni dal celebre claim di Arturo Parisi, tra i fondatori dell’Ulivo, che si rammaricava della sconfitta allle Regionali e esultava per la vittoria di Obama: “Abbiamo perso in Abruzzo ma abbiamo vinto in Ohio”. Dopo le amministrative nella Grande Mela forse non siamo ancora a quel punto, ma quasi
Siamo tutti Mamdani, ma anche no. Il campo largo spacca a metà anche la grande Mela. È festa grande per Elly Schlein, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Anche il Movimento Cinque Stelle si aggiunge (ma Giuseppe Conte per ora resta in silenzio). In mezzo i riformisti dem: per loro New York vale una festa, ma in tono minore. Tacciono Matteo Renzi e Carlo Calenda, che al “mamdanismo” propongono più d’una correzione. “Non vince perché è socialista, ma perché è credibile”, dice Matteo Richetti all’Huffpost.
C’era una volta in America la vittoria del primo sindaco musulmano e per giunta socialista. Zohran Mamdani tiene a distanza di oltre 10 punti il secondo arrivato, Andrew Cuomo, e lo fa con un programma radicale: tetto agli affitti, bus gratuiti, tasse ai ricchi. Nel Pd targato Schlein è la vittoria della speranza contro la paura. La luce che rischiara le tenebre del trumpismo. L’exploit di Mamdani risponde in pieno alla teoria che in questo momento va per la maggiore al Nazareno, firmata Dario Franceschini, e che cioè si vinceranno le prossime elezioni politiche con un leader radicale, non con uno moderato che pesca voti al centro.
In Transatlantico i deputati mostrano il verbo dettato da Franceschini a Repubblica. “Per trent’anni siamo stati abituati all’idea che per vincere le elezioni servisse un candidato moderato. Da qui Prodi, Rutelli e altri. Non è più così. Oggi, con il crollo dell’affluenza, si vince dando ai tuoi elettori una ragione per non astenersi. Il centrodestra lo fa già da anni. Infatti vincono candidati come Meloni, Trump, Milei”. Ora la sinistra deve fare altrettanto. Ben vengano allora i Mamdani italiani. “Splendida vittoria a New York!”, esulta Elly Schlein. “La sinistra torna a vincere – spiega – con parole e programmi chiari su stipendi dignitosi, sanità davvero universale, sul diritto alla casa, sui trasporti e i nidi gratis per chi non ce la fa”. Angelo Bonelli le fa eco: “Vince la politica che sta con gli ultimi”, dice, mentre Nicola Fratoianni al neosindaco dà del tu. “La vittoria di Zohran significa che negli Usa come in Italia si può fare”. “Yes, we can” quasi vent’anni dopo Barack Obama?
Molto meno entusiasta è il coro che arriva dall’ala destra del Pd. I riformisti dem prima di tutto non celebrano solo Mamdani. Insieme a lui ci mettono anche gli altri candidati dem vincenti negli Usa. Ben più moderati del sindaco di New York. “Spanberger governatrice della Virginia, Sherril governatrice del New Jersey, Newsom che stravince il referendum in California”, li mette in fila Lorenzo Guerini. E aggiunge: “Non so se come dice Obama ‘oggi il futuro sembra più luminoso’, ma sicuramente arriva un segnale di speranza per i Democrats”. Paolo Gentiloni si accontenta di ripostare un tweet di Obama, Pina Picierno celebra “tre vittorie dei Democratici arrivate da tre angoli diversi degli Stati Uniti – Virginia, New Jersey e New York”. Del sindaco socialista non fa neppure il nome.
La reticenza dei riformisti dem è poca cosa rispetto alla resistenza che aleggia al centro dello schieramento. Matteo Renzi, che di solito è il più tempestivo nel commentare le vittorie, stavolta tace. Affida un articolato commento a Enrico Borghi, capogruppo di Italia viva al Senato. Se i Dem americani vincono, dice Borghi, è in virtù di un “mix accorto tra pragmatismo centrista e utopismo radicale”. Pragmatismo centrista contro utopismo radicale. Se per Schlein la vittoria di Mamdani è la “speranza che vince sulla paura”, per gli alleati il suo programma è qualcosa di più di una chimera.
Quanto a Calenda, il leader di Azione non commenta neppure. Lo fa, interpellato dall’Huffpost, il presidente del partito Matteo Richetti. “La vittoria di Mamdani è sicuramente una buona notizia. Ma attenzione: lui non vince in ragione di una proposta socialista, ma perché lì c’è una leadership e un progetto credibili. Per cui se fossi nel campo largo, invece di festeggiare, mi preoccuperei. Perché a New York ci sono tutti gli elementi che mancano in Italia”. Ma voi condividereste il programma fiscale di Mamdani? “No, sul piano fiscale no. Nel senso che in Italia prima di tassare i ricchi bisognerebbe far pagare le tasse a chi non le paga. Ma sui diritti, ad esempio, perché no?”
Tace a lungo Giuseppe Conte, che manda in avanscoperta l’ala sinistra del M5s. “Mamdani ha una giusta visione della società”, dice in premessa il presidente dei senatori M5s Stefano Patuanelli. In particolare sulla politica fiscale: “Nel nostro paese bisogna tornare a una tassazione che sia davvero progressiva. Una patrimoniale? Dipende da come la si declina. Ma non si può avere una sola aliquota per tutti i redditi al di sopra dei 50mila euro, anche per chi guadagna 300mila euro”.
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