“Vostro onore, viva la Palestina libera”
La bizzarra iniziativa dei “Giuristi per Gaza”, che in tribunale, all’apertura delle udienze, leggono un appello a favore dei palestinesi.
Circola da alcuni giorni, nelle mail, nelle chat, sui siti delle associazioni di magistrati, docenti universitari, avvocati, un appello dei “giuristi per Gaza” con cui, ritenendo che “di fronte alle notizie sulla violazione sistematica e protratta del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali della popolazione civile di Gaza, il silenzio ha smesso da tempo di essere un’opzione” si richiama l’obbligo per l’Italia della tutela dei diritti fondamentali e della persecuzione dei crimini internazionali, prescritto nello Statuto della Corte Penale Internazionale ratificato da noi nel 1999.
A prima vista, è un appello di tale buon senso, anche giuridico, e di tale ovvietà unanimistica da non poter essere che condiviso: chi può mettere in dubbio la crisi umanitaria di Gaza e non sollecitare le istituzioni a compiere quanto è doveroso nel rispetto della Costituzione e delle convenzioni e trattati internazionali?
A una riflessione più attenta, però, viene da chiedersi come sia possibile che i giuristi avvertano soltanto adesso l’esigenza di rompere il silenzio (che non si capisce perché sia stato mantenuto prima), dopo 20 anni di dittatura feroce di Hamas sul territorio di Gaza, che ha fatto strage di ogni diritto umano, dalla libertà di movimento e di espressione, all’integrità della vita.
La chiave di questo ritardo si potrebbe trovare nella “protrazione” della violazione sistematica dei diritti umani a Gaza: quello che fa differenza adesso, considerato che la sistematicità c’è sempre stata perché connaturata al regime dittatoriale, potrebbe essere che è protratta, dura da troppo tempo. Quando è troppo è troppo, insomma, e non si può più tacere.
Questo potrebbe spiegare anche il motivo per cui un appello simile non sia mai stato scritto e diffuso negli oltre tre anni, tre, trascorsi finora dall’invasione della Russia in Ucraina, che ha prodotto e continua a produrre, oltre alla distruzione di città, paesi, interi territori, morte di uomini, anziani, donne e bambini, anche la repressione della popolazione dei territori conquistati, la carcerazione con annesse torture, stupri e assassini degli ucraini e delle ucraine che resistono all’imposizione del governo e della cultura russi, il rapimento e la deportazione in Russia di almeno ventimila bambini perché siano irregimentati nel sistema dittatoriale e formino la nuova generazione russa dell’Ucraina riconquistata dalla Grande Madre e di cui nessuno, a cominciare dai genitori, può più sapere niente.
Evidentemente non è passato sufficiente tempo perché il silenzio dei giuristi sul dramma umanitario di Kyiv e di tutte le regioni dell’Ucraina smetta di essere un’opzione.
Spiega meno, però, perché non si sia levata nemmeno una voce, da quell’assise di giuristi (1311 a oggi), per quanto accaduto il 7 ottobre 2023 in Israele e perché non ci sia alcun riferimento nell’appello, nemmeno sottinteso, a quegli eventi e alle responsabilità di Hamas nella carneficina quotidiana dei suoi cittadini, nell’uso strumentale delle vite umane, compresa la riduzione alla fame.
Va bene che un documento che ricerca il consenso unanime non possa contenere elementi che inducano divisioni, tenuto conto di come l’opinione pubblica italiana, di cui i giuristi sono una porzione, si orienta a parole d’ordine contrapposte: ma omissioni così evidenti e gravi rendono quel documento estremamente ambiguo sul piano politico tanto da non poter essere sottoscritto da chi esige, soprattutto da parte di giuristi, una riflessione ampia che tenga conto di tutti gli elementi della tragedia che si sta svolgendo a Gaza e, soprattutto, dei suoi punti di partenza.
Fin qui, però, non ci sarebbe nulla di particolare per cui meriti parlare di questo appello: ne circolano tanti e diversi in questo periodo di attenzione pubblica verso fatti che scuotono la coscienza e la sensibilità di ogni persona normale. E ben venga che siano strumenti per promuovere dibattiti, confronti, manifestazioni, condivisione di idee (contraddittorio no, naturalmente, secondo la legge Iacchetti).
In questo caso, però, l’intenzione dei giuristi che l’hanno promosso non è quella di sollecitare la riflessione nella comunità giuridica, proponendo sedi di discussione, occasioni di dibattito o magari manifestazioni pubbliche.
Niente di tutto questo: l’obiettivo che questo appello si prefigge è di ricordare le ragioni per cui l’Italia ha scelto la tutela dei diritti fondamentali e la persecuzione dei crimini internazionali attraverso la sua lettura ogni giorno, nelle aule di udienza e in quelle universitarie.
È vero che il documento invita a leggere solo il Preambolo allo Statuto della Corte Penale Internazionale che sancisce il sacrosanto principio della repressione dei crimini contro l’umanità, ma è improbabile che non venga letto l’intero appello, anche solo per far comprendere a chi ascolta il significato di quella lettura. Infatti, così sta capitando in alcune sedi giudiziarie italiane: all’inizio di ogni udienza, ogni giorno, un magistrato o un avvocato leggono l’appello e l’incluso Preambolo.
Ora, finché si tratta delle sedi e delle aule universitarie, non c’è nessun problema: l’università è il luogo per natura deputato a essere centro di discussione e di dibattito e gli studenti sono già molto presenti e attivi sul tema da farne spunto di confronto seduta stante.
Ma le aule d’udienza no, non sono un luogo di espressione politica, di dibattito, di discussione e di confronto: in queste aule quel documento verrà ed è letto senza che possa essere ammesso alcuno spazio di osservazione e di parola da parte di chi lo ascolta, compreso il cittadino che sta per essere processato.
Nelle aule di giustizia quel documento verrà imposto, insomma, ai presenti ed è un’imposizione forzata di cui sfugge ogni finalità che non sia quella di manifestare che anche i giuristi hanno detto la loro. Nemmeno fossero una categoria di persone estranea alla comunità dei cittadini o che il contenuto del loro appello sia il prodotto di un particolare studio giuridico.
L’invito all’adesione è rivolto adesso anche agli organismi rappresentativi dell’avvocatura: Consigli dell’Ordine e associazioni professionali come le Camere penali.
Ecco, io mi aspetto e mi auguro che questi organismi, che rappresentano tutti i loro iscritti (cioè tutti gli avvocati del territorio di competenza, per quanto riguarda gli Ordini) considerino non solo l’eterogeneità e trasversalità della loro rappresentanza ma la pericolosità del precedente che possono mettere in atto trasformando le aule d’udienza in tribune di proclami.
Per esempio, se tra qualche tempo, nel pieno della campagna referendaria, un gruppo di magistrati, professori, avvocati contrari alla separazione delle carriere promuovessero un appello con le ragioni, giuridiche s’intende, per il No alla legge costituzionale e ne dessero lettura nelle aule d’udienza, ogni giorno, davanti a tutti i presenti e, naturalmente, senza possibilità di replica perché non si fanno dibatti in udienza, chiedo ai miei colleghi: come la metteremmo?
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