No all'attività forense in conflitto di interessi
Apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente (Cnf, sentenza n. 165/2023)

Il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale (art. 24 CDF) risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato ma, altresì, alla loro apparenza (in quanto l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell’immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale.
È questo il principio espresso dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza 25 luglio 2023, n. 165
Il caso
Nella fattispecie, l’esponente, cliente di un avvocato, lamentava che questi avesse agito nei suoi confronti in via giurisdizionale, per il recupero di crediti professionali, senza la previa rinuncia a tutti gli incarichi ricevuti dal medesimo e che avesse assunto la difesa di un altro soggetto, senza che fosse trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.
Il CDD, chiusa la fase dibattimentale, riteneva provati i fatti di cui ai capi di incolpazione e per l’effetto applicava all’avvocato la sanzione disciplinare della censura.
L’avvocato impugnava, quindi, il provvedimento avanti al Consiglio Nazionale Forense, sostenendo di aver rinunciato agli incarichi prima verbalmente e senza formalità e poi mediante raccomandata.
La decisione
Il Cnf ha, innanzitutto, confermato la violazione dell’art. 9 CDF (Dovere di dignità, probità, decoro e indipendenza) in quanto i concetti di probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti guida per l’agire degli avvocati, e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.
Il Cnf ha, inoltre, confermato la violazione dell’art. 24 Cdf, in quanto il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato, ma, altresì, alla loro apparenza (in quanto l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell’immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale.
Conseguentemente: 1) poiché si tratta di un valore (bene) indisponibile, neanche l’eventuale autorizzazione della parte assistita, pur resa edotta e, quindi, scientemente consapevole della condizione di conflitto di interessi, può valere ad assolvere il professionista dall’obbligo di astenersi dal prestare la propria attività; 2) poiché si intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato, perché si verifichi l’illecito (c.d. di pericolo) è irrilevante l’asserita mancanza di danno effettivo.
Infine, in ordine alla violazione dell’art. 68 CDF (Assunzione di incarichi contro una parte già assistita) il CNF ha richiamato la giurisprudenza forense secondo la quale l’avvocato non può, né deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita, se non dopo il decorso di almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e anche dopo tale termine, deve comunque astenersi dall’utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.
Ha, inoltre, rimarcato che il divieto in esame non è soggetto ad alcun limite temporale se l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.
La ratio dell’art. 68, co. 1, Cdf va, infatti, ricercata nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso, né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, passando nel campo avverso senza un adeguato intervallo temporale, e ciò a prescindere dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico.
Altalex
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