Istituto dei collaboratori di giustizia a rischio
Manca da troppo tempo la determinazione dello Stato di incoraggiare il manifestarsi delle volontà di collaborazione e il rischio più grave e incombente è l’estinzione fattuale dell’istituto.
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La fine del contratto di collaborazione per fini di giustizia, come è ovvio che sia, comporta una serie di procedure amministrative ed economiche. Il Ministero dell’Interno, in primis, in collaborazione con altri enti, tra cui l’Agenzia delle Entrate, disciplina il fine rapporto procedendo alla liquidazione economica dei collaboratori di giustizia e al riconoscimento dei loro diritti connessi alla fine della loro collaborazione con lo Stato. Il beneficiario è informato della fine della collaborazione, solitamente attraverso una comunicazione formale da parte del Ministero dell’Interno o dell’autorità giudiziaria. Il medesimo può richiedere la liquidazione di eventuali benefici economici spettanti, come, ad esempio, compensi per la collaborazione o per i costi di gestione. Il Ministero dell’Interno verifica la documentazione fornita dal collaboratore e sussistendo i requisiti approva la richiesta di liquidazione, assicurando che la liquidazione sia conforme alle normative vigenti. Una volta autorizzata la liquidazione, il collaboratore di giustizia riceve il pagamento dei compensi o dei rimborsi dovuti.
La fine della collaborazione di giustizia e la liquidazione sono disciplinate da leggi specifiche, come la legge 13 febbraio 2001 e successive modificazioni e da regolamenti ministeriali che stabiliscono le procedure e le condizioni per la liquidazione. Possono essere rimborsati per i costi sostenuti in relazione alla loro collaborazione, come ad esempio i costi di trasferta, di alloggio o di assistenza legale. Il Ministero dell’Interno emana periodicamente circolari per fornire chiarimenti e precisazioni sulle procedure di liquidazione, al fine di garantire uniformità di applicazione delle norme. La chiusura del rapporto per un collaboratore di giustizia al termine del contratto può prevedere anche l’acquisto di un immobile e può rientrare nella compatibilità con il quadro della loro situazione economico-finanziaria. Per la liquidazione e/o l’acquisto dell’immobile, è essenziale la fine della collaborazione.
Le circolari del Ministero dell’Interno forniscono tutte le indicazioni operative per l’erogazione dei fondi dovute alle misure di protezione. Da fonti e atti governativi sta emergendo l’orientamento verso una norma che tolga molti dei sostegni economici concessi ai collaboratori. L’attuale normativa già prevede che i collaboratori usciti dalla protezione devono ricostruirsi una vita in maniera autonoma, a cominciare dalla ricerca di un lavoro. Non si valuta la loro età, per cui, sussistono casi (ultracinquantenni) in cui nessuno può offrire loro un posto di lavoro. Questo può accadere anche quando gli stessi non hanno le competenze per inserirsi nel mondo professionale, perché nella vita sono stati sempre criminali. Al momento dell’uscita dal sistema di collaborazione, dunque, è previsto un indennizzo, la cd. capitalizzazione, con cui in teoria dovrebbero poter ripartire. In questo scenario subentra anche l’erario che chiederà il risarcimento delle spese affrontate dallo Stato per la custodia.
È vero che ognuno risponde pro quota, però si tratta ugualmente di somme rilevanti, di conseguenza, la cifra dovuta è intaccata notevolmente. Conosco casi di cartelle esattoriali particolarmente gravose recapitate a collaboratori di giustizia che spesso consumano in toto l’assegno di fine rapporto. La stessa direttiva in assonanza con una Circolare dell’Agenzia delle Entrate prevede che qualora vi sia una somma residua la stessa debba essere obbligatoriamente investita nell’acquisto di un immobile. Se il collaboratore si trovasse con trentamila euro in dote, risorse che in teoria gli dovrebbero servire per ricostruirsi una vita, che tipo immobile potrebbe comprare? Con cosa sopravvivrebbe se poi non fosse reinserito nel mondo del lavoro? Dal momento in cui si accetta questa soluzione, il collaboratore di giustizia ha letteralmente un problema di sopravvivenza. Siamo di fronte ad un attacco frontale gravissimo i cui effetti potrebbero causare il blocco di possibili future collaborazioni. I benefici, di fatto, si riducono notevolmente. Il percorso collaborativo oggi è lungo e pieno di incognite e il rischio di ritorsioni sussiste anche a distanza di tempo. I programmi di protezione per i collaboratori e le loro famiglie sono sempre meno efficaci nel garantire sicurezza e soprattutto adeguato reinserimento sociale. La risocializzazione e il reinserimento nel mondo del lavoro per un ex collaboratore di giustizia sono molto più complicati, a causa dei legami criminali del passato e delle difficoltà a trovare lavoro e accettazione sociale.
La decisione di collaborare con la giustizia sta diventando attualmente sempre meno conveniente, i vantaggi potrebbero non essere più così evidenti come in passato e questo ci sta portando, nel più assoluto silenzio, alla crisi dell’istituto voluto fortemente da Giovanni Falcone.
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