Andare in piazza con solo la bandiera palestinese aumenta il disastro
La scrittrice e reduce di Auschwitz Edith Bruck aveva chiesto manifestazioni con anche la bandiera israeliana.La sinistra dice di no.
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Oltretutto si divide in due piazze: “Dovrebbero stare insieme, e invece mi sembra che ognuno pensi alle rivalità con gli avversari, a fare il leaderino del proprio partito. Una sola bandiera significa osteggiare l’altro popolo. Netanyahu ha autorizzato l’odio verso di noi: l’antisemitismo è sotto la cenere e basta un fiammifero perché divampi”
Lo scorso 27 maggio sulle pagine della Stampa, Edith Bruck ha lanciato un appello: “Chi vuole la pace porti in piazza bandiere palestinesi e israeliane”. L’agenda politica italiana segna la prossima settimana due manifestazioni per chiedere la pace in Medio Oriente. Il 6 giugno toccherà a Italia viva, Azione, +Europa e Liberaldemocratici, insieme in piazza a Milano. Anticiperanno di un giorno Pd, M5s e Avs, che sfileranno per le strade di Roma. La scrittrice sopravvissuta alla Shoah ha chiesto che anche le bandiere dello Stato di Israele siano accolte in queste occasioni, perché non c’è pace senza dialogo, non c’è fine al conflitto se tifare per una parte sarà più importante di una concorde risoluzione. Il suo appello è caduto nel vuoto.
Edith Bruck, sono trascorsi alcuni giorni, ha ricevuto da qualche politico una risposta al suo appello?
Nessuno mi ha detto niente. Ma quando si chiede la pace per questi popoli, è importante che entrambe le bandiere siano sempre presenti. Se si sceglie di esporne una sola, significa avere il solo scopo di affermare a quale parte, tra Israele e Palestina, va il proprio sostegno, anziché stare dalla parte della pace. Una sola bandiera significa essere contro l’altro popolo.
Huffpost, in un articolo di Giulio Ucciero, ha sondato diversi parlamentari di sinistra che manifesteranno per Gaza chiedendo se ritenessero giusto o meno ospitare anche la bandiera israeliana in piazza. L’esito di questo piccolo sondaggio è che la maggior parte è contraria all’ipotesi, perché è “un rischio”, “una provocazione”.
Non è assolutamente una provocazione. La pace per la quale manifestano deve nascere tra due popoli. Esporre solo la bandiera palestinese alimenta il disastro già presente.
Trova ipocrita chiedere due popoli per due Stati, se poi non si ha il coraggio di accogliere le due bandiere in una manifestazione che chiede la pace tra due popoli?
Non so se è ipocrita, ma è certamente sbagliato. Una presa di posizione che getta benzina sul fuoco in una situazione già estremamente delicata.
Secondo lei, chi parla di “due popoli due stati” ne parla per convinzione o è ormai diventata retorica, uno slogan?
Io per prima ci credo ancora, non c’è altra via di uscita. Ma i politici dovrebbero pensare ai fatti, non solo alle parole. Bisogna ricominciare a lottare per la causa, perché mi sembra che non si stia più lavorando nella direzione “due Stati per due popoli”. Si sostiene soltanto una parte o un’altra.
Alcuni parlamentari hanno detto che la bandiera israeliana rappresenta “un governo che fa cose inaccettabili”, è “il simbolo di chi sta sterminando”, “uno Stato accusato di genocidio”. Cosa rappresenta invece?
Non userei la parola “sterminio”, come anche “genocidio”, espressioni associate al nazismo. Questo è un conflitto che non finisce mai. La bandiera israeliana rappresenta uno Stato, così come un giorno, presto si spera, ci sarà uno Stato palestinese.
Lei è sempre stata critica nei confronti delle politiche di Benjamin Netanyahu. C’è il rischio che la bandiera israeliana stia diventando suo malgrado il simbolo di qualcos’altro, catalizzatore di odio.
Sì. Le bandiere israeliane vengono strappate, date al fuoco nelle manifestazioni. Ci sarebbe invece il bisogno di dialogare, di cercare una via d’uscita.
In che modo il popolo israeliano sta pagando le azioni del suo governo?
Non pagano soltanto gli israeliani, ma anche gli ebrei in tutta l’Europa. Ha suscitato uno tsunami di antisemitismo. Si sta comportando in maniera irresponsabile, ma è evidente che a lui non importi niente di quello che stiamo vivendo noi. Ha autorizzato l’odio nei nostri confronti. Gli ebrei fuori da Israele non c’entrano niente con la politica di Netanyahu. Noi non appoggiamo nulla di ciò che ha fatto.
Prendere le parti del popolo israeliano è diventato impopolare per chi fa politica.
Esatto. Invece dovrebbero prendere le parti di entrambi.
Anche un ritrovato Terzo Polo scenderà in piazza per la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa delle piazze divise?
Dovrebbero stare insieme, non divisi. Mi sembra che ognuno, anche in questo contesto, pensi soprattutto alle rivalità con gli avversari, a fare il leaderino del proprio partito.
Ivan Scalfarotto, che sta lavorando per Italia viva all’organizzazione della manifestazione del 6 giugno, ha detto ad HuffPost che a differenziare le due piazze è anche la preoccupazione per un “antisionismo che copre l’antisemitismo, un pericolo che corre sempre sotto il pelo dell’acqua, ed è sempre pronto a rialzare la testa”.
L’antisemitismo è purtroppo ben vivo. La cenere è rimasta lì per anni e basta un piccolo fiammifero a far divampare un incendio.
Gli ebrei in queste piazze sarebbero un ospite sgradito? Lei si sentirebbe al sicuro a sfilare con la bandiera israeliana?
Io non faccio manifestazioni e non porto bandiere. Gli ebrei vengono già trattati male anche al di fuori di questi contesti. Hanno offeso mio nipote, insultato in quanto ebreo. È rimasto sbalordito, svuotato, tremava: per lui che ha vissuto da sempre in Italia, è stato difficile da accettare. Cosa c’entriamo noi con la politica di Netanyahu? Non possiamo influenzarlo, a lui di noi non importa nulla.
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