Anno: XXVI - Numero 237    
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L’Italia “del fare”, tra efficienza e legalità

Accade spesso, anzi è sempre accaduto, che nel dibattito politico e giornalistico siano messe a confronto le esigenze “del fare” con quelle “del diritto”.

L’Italia “del fare”, tra efficienza e legalità

E s’interrogano in molti perché mai non si riesca a portare a termine i programmi concernenti la realizzazione di lavori o forniture, perché un funzionario o un giudice hanno da ridire. Perché la Ragioneria dello Stato eccepisce la insufficienza degli stanziamenti di bilancio rispetto al prevedibile costo di un’opera o perché un giudice afferma che non si può fare perché è stata violata la legge che prevede, ad esempio, pareri vincolanti. E subito, politici e giornalisti a dire e a scrivere che quelle decisioni le ha adottate un “burocrate”, naturalmente “formalista”, o un giudice, magari dalla toga “rossa” o “nera”, altrettanto incapace di comprendere che quell’opera o quella iniziativa sono necessarie, magari “attese da anni” in una visione “di crescita e modernizzazione” e attuano una scelta che, naturalmente, “ci invidieranno tutti”.

Da ultimo, la polemica sulle esigenze del fare ha riguardato il ponte sullo Stretto di Messina ed ha opposto le ragioni dell’opera, cioè la sua utilità, alle regole del diritto richiamate dalla Corte dei conti la quale, in una pronuncia ampiamente motivata al termine di una approfondita istruttoria in contraddittorio con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha ritenuto non conforme a legge la delibera del Cipess “indirizzata a blindare risorse, tempi e procedure”, come si legge in un articolo de “L’Identità”. Nessun dubbio che i giudici abbiano rilevato vizi di legittimità meritevoli di rilievo sull’atto sottoposto al controllo. Come sottolineato da un “secondo loro” che non precisa quanto ai rilievi dei giudici neppure con riferimento alla violazione, tra le altre, di una direttiva comunitaria. Del resto, lo stesso Ministro, dopo aver reagito nel modo consueto alla politica denunciando l’“invasione di campo” dei giudici, ha più prudentemente affermato di attendere le motivazioni della pronuncia e, conosciutele, si è detto pronto a fornire alla Corte i necessari chiarimenti. 

Dovrebbe essere la regola, quantomeno del dubbio, a cartesianamente accompagnare una riflessione sull’atto di un organo tecnico, una magistratura indipendente e, pertanto, libera di decidere secondo scienza e coscienza. Che non è, per definizione, pregiudizialmente a favore o contro. È una questione di stile, di rispetto istituzionale. Invece, prevale, da un lato l’arroganza del politico che ritiene che in quanto eletto deve rispondere solamente al corpo elettorale, e dall’altro, il desiderio di certa stampa di compiacere il potere, che si loda per quel che vuol fare, trascurando di considerare “come” lo può fare. Perché la censura, in quanto, come si dice, in punto di diritto, della Corte dei conti non riguarda se l’opera è utile o inutile, ma se sono state rispettate le norme che disciplinano la materia, norme italiane ed europee. Mettere a confronto le esigenze del fare con quelle della legalità è, dunque, sempre sbagliato. Non c’è e non ci può essere nessuna contraddizione tra esigenze della comunità e legalità. Richiedere le firme e timbri, spesso richiamati con mal celata sufficienza, è mostrare disprezzo per le regole che non sono una previsione astratta, assurda, inutile, una somma di cavilli affastellati. Le regole dei procedimenti contrattuali tutelano la comunità quanto alla validità tecnica dell’opera, all’esattezza e congruità delle risorse impiegate, ai diritti dei cittadini, alla tutela dell’ambiente ed ai diritti degli operatori partecipanti alla gara o di quelli impegnati nella realizzazione dell’opera.

Se le opere pubbliche italiane costano più di quelle realizzate in altri paesi ci sarà pure qualche disfunzione nel sistema. Per le strade e per le ferrovie, ad esempio, sappiamo che il costo per chilometro è superiore spesso del doppio, quando non del triplo o del quadruplo di quanto grava sui bilanci di Francia, Spagna e Germania. Nonostante i controlli, diranno i miei lettori. Perché le varie lobby “del fare” riescono comunque a lucrare “legittimamente” sui tempi e sui costi.

E tuttavia, non dobbiamo perdere la speranza che arrivi un tempo nel quale fare e diritto vadano d’accordo perché le opere, anche quelle “gigantesche” che sogna la politica siano correttamente progettate e realizzate.

Accadeva nell’antica Roma che realizzava ovunque nel mondo opere pubbliche straordinarie utilissime, acquedotti e ponti che si ostinano a durare nei secoli.

 

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