Anno: XXVI - Numero 102    
Venerdì 23 Maggio 2025 ore 14:00
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Un errore la Corte dei conti Autorità indipendente

Errata l’ipotesi di riforma della Corte dei conti.

Un errore la Corte dei conti Autorità indipendente

Si discute da qualche tempo di ipotesi varie di riforma della Corte dei conti. E, come spesso accade, sono in tanti ad esprimere opinioni, tutte, per definizione, legittime. Eppure, talune sbagliate, come quelle che, sento dire, sarebbero ispirate da taluni all’interno dell’Istituto che vedrebbero meglio una trasformazione della “magistratura contabile” in “autorità indipendente”. Questa svolgerebbe solamente o prevalentemente (almeno in un primo momento) controlli di legittimità e finanziari limitando o escludendo la giurisdizione sul “danno erariale”, quella per cui “chi sbaglia paga”, cioè risarcisce il danno causato allo Stato o agli enti pubblici.

È la prospettiva delineata dalla Bicamerale per le riforma costituzionali presieduta dall’On. D’Alema nella relazione dell’on. Marco Boato sul “sistema delle garanzie”. Questa immaginava l’“unità della giurisdizione” sottraendo le attuali funzioni giurisdizionali a Corte dei conti e Consiglio di Stato. In particolare, la Corte dei conti veniva “chiamata ad una profonda ed incisiva trasformazione delle sue funzioni di controllo. Tale scelta – si legge nella relazione Boato – si colloca in una linea evolutiva coerente sia con la più recente normativa in materia di bilancio, sia con la ormai indifferibile esigenza di passare da ipotesi basate su un mero riscontro di legittimità formale ad una nuova e più moderna prospettiva volta, invece, al controllo successivo dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa”. La Corte dei conti, dunque, sarebbe “chiamata ad una grande sfida per contribuire alla crescita del Paese, ed è certo che un istituto di così grandi tradizioni saprà raccoglierla e affrontare nel migliore dei modi le difficoltà che un cambiamento di tali dimensioni richiede, non solo in ordine alle strutture ma anche alla mentalità ed alla professionalità dei suoi componenti. In questa rinnovata prospettiva sarà sicuramente superata la comprensibile tentazione della difesa di posizioni e competenze (quali il controllo di legittimità formale del singolo atto, che troppo spesso non serve ad altro se non a ritardare inutilmente l’azione della pubblica amministrazione, quando non è strumentalmente utilizzato per interferire con l’esercizio di altre responsabilità), che riflettono esigenze non più primarie per uno Stato moderno, il quale deve affrontare la sfida della complessità e funzionalità dell’apparato pubblico nella prospettiva europea e della globalizzazione”.

Le valutazioni appena riferite sull’utilità o meno del controllo preventivo sono ovviamente opinabili perché in quelle parole si svilisce il senso autentico della funzione, evidentemente trascurando che i parametri della verifica della legittimità sono sostanzialmente analoghi a quelli che esercita il giudice amministrativo. Come tutte le funzioni la loro efficacia dipende da come vengono in concreto esercitate, se formali o scrutando tra le carte. È un fatto di professionalità sul quale potremo in altra occasione soffermarci.

Il dibattito all’interno della Bicamerale D’Alema fu seguito con particolare impegno dall’Associazione Magistrati della Corte dei conti e da me personalmente, anche sulla base di alcune considerazioni di carattere pratico. Credo nell’unità della giurisdizione ma dubito che, al di là della teoria, la politica voglia effettivamente un giudice unico con un Pubblico Ministero che spazia dalla corruzione al danno erariale.

Inoltre richiamavo taluni “principi generali di controllo della finanza pubblica” contenuti nella “Dichiarazione di Lima” emessa nel 1977 al IX Congresso dell’INTOSAI (The International Organization of Supreme Audit Institutions) secondo i quali “il controllo non è fine a se stesso, bensì rappresenta una componente imprescindibile di un sistema di regole che dovrebbe evidenziare tempestivamente le deviazioni dalla norma e le violazioni dei principi di conformità al diritto, di efficienza, di utilità ed economicità dell’amministrazione finanziaria, in modo da rendere possibile l’applicazione di provvedimenti correttivi nei casi specifici, il riconoscimento della responsabilità dell’organo contravventore, il risarcimento dei danni o l’applicazione di provvedimenti che rendano in futuro impossibile, o perlomeno estremamente difficile la ripetizione di tali violazioni”.

Conformemente a questi “principi” la Corte dei conti svolge variegate funzioni di controllo, anche sulla gestione, e, se accerta danni prodotti da condotte dolose o gravemente colpose condanna il responsabile a risarcire gli stessi. Ed è nella cultura dei magistrati contabili questa articolazione del sistema delle garanzie applicate alla gestione finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici. Per questo i magistrati della Corte dovrebbero fare in primo luogo un’esperienza nel controllo, per meglio conoscere l’Amministrazione anche in rapporto ai problemi che quotidianamente affronta, poi passare a funzioni giudicanti, per acquisire il senso della terzietà del giudice, e infine a quelle requirenti che richiedono conoscenza degli apparati ed equilibrio, perché azioni risarcitorie azzardate ledono l’immagine pubblica dell’Istituto e scatenano la reazione della politica, magari con la scusa di esorcizzare il “timore della firma”. Ed, infatti, la relazione alla proposta di legge Foti, che di fatto annulla la giurisdizione in materia di danno erariale, si apre proprio evocando questo timore che, nel settore penale, ha giustificato l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio.

Iniziative entrambe sbagliate, che non vanno alla radice dei problemi reali. Perché in modo semplicistico viene affrontato un tema che andrebbe risolto con maggiore consapevolezza delle implicazioni che le regole che si vorrebbe cambiare hanno nella Pubblica amministrazione e nella percezione dell’opinione pubblica.

L’ipotesi “autorità indipendente”, per chi se ne sarebbe fatto promotore, avrebbe un duplice effetto “positivo”: non disturba i politici, perché chi è abituato ad un controllo di “mera” legittimità, secondo un linguaggio corrente e ripetuto spesso proprio da chi dovrebbe garantirne l’efficienza, si limiterebbe, di tanto in tanto, a segnalare al Parlamento l’esigenza di qualche modifica normativa; i componenti dei Collegi li nomina la politica con maggioranze qualificate, sicché convivono tranquillamente i commissari scelti da maggioranze parlamentari diverse; infine i componenti delle Autority hanno un trattamento economico elevato. Della qual cosa, ovviamente, sono tutti felici e contenti. Non potranno più fregiarsi del titolo di magistrati, che gli addetti alle attribuzioni di controllo esibiscono sui biglietti da visita solamente perché altri colleghi indossano la toga nelle sezioni giurisdizionali. Ma che volete che sia perdere la qualifica di magistrato se si portano a casa un bel po’ di soldini in più?

Sennonché, questo obiettivo di fondo non è facile da raggiungere Costituzione alla mano. Questa, infatti, all’articolo 103, comma 2, attribuisce alla Corte dei conti la “giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica”. E così l’obiettivo minimo, come delineato dalla proposta Foti (Atto Camera n. 1621, oggi n. 1457 del Senato), è quello di svuotare la giurisdizione che, con la scusa del “timore della firma”, propongono di neutralizzare. In pratica riducendo l’ammontare del risarcimento ad una misura non superiore a due annualità di stipendio qualunque sia l’ammontare del danno accertato, contestualmente prevedendo l’obbligo di una assicurazione. Insomma, la parte maggiore del danno resta sulle spalle della P.A., cioè dei cittadini che pagando imposte e tasse alimentano i bilanci pubblici. Non è chiaro in base a quali principi i politici si arrogano il diritto di evitare che lo Stato recuperi quanto perduto per responsabilità dell’amministratore o del funzionario “infedele” (allo Stato ma fedelissimo alla politica).

Ma qui c’è un ostacolo che evidentemente a taluno sfugge: riducendo la giurisdizione in materia di danno erariale resterebbe la più antica delle attribuzioni giurisdizionali della Corte, dalla quale deriva il suo stesso nome, il giudizio sui conti, che richiama regole antichissime, già presenti nella Costituzione di Atene, secondo le quali ogni funzionario, uscendo di carica doveva presentare il rendiconto dei fondi pubblici di cui aveva avuto la gestione o una dichiarazione scritta che non ne aveva avuto maneggio. È vero che questa giurisdizione appare ai più formale, poco incisiva. Ma solamente a chi ha fatto poca esperienza perché a leggere bene i conti si scoprono frequentemente fatti di gestione posti in essere con grande trascuratezza, forse proprio perché si sa che non molti tra i magistrati della Corte dei conti vi si sono applicati con l’attenzione che sarebbe stata necessaria. A leggere bene le contabilità i magistrati contabili metterebbero in imbarazzo più di qualche gestore di risorse finanziarie e patrimoniali pubbliche.

E così è possibile che i “riformatori” non avranno l’Autorità indipendente e continueranno a dirsi magistrati e magari anche i patiti del solo controllo penseranno che in fondo la toga è una veste dignitosa che vale la pena di tenere sulle spalle anche a costo di qualche euro in meno, rispetto a quelli riconosciuti alle Autorità.

 

 

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