Anno: XXVI - Numero 210    
Venerdì 31 Ottobre 2025 ore 14:15
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I conservatori e l’Europa.

La tradizione per dare forza alle istituzioni dell’U.E.

I conservatori e l’Europa.

Chi ha seguito domenica sera il servizio di Report dedicato ai conservatori negli Stati Uniti e in Europa ha percepito chiaramente che in quegli ambienti si annida una netta contrarietà all’Unione Europea e alla moneta unica. Con invito a tornare alle origini, al 1957, alla Comunità Economica Europea. Secondo questa visione l’U.E. avrebbe tradito l’originaria missione dei sei fondatori di costituire un mercato comune per farsi espressione di principi e valori spesso non condivisi dalle singole comunità nazionali. Anzi, in molti casi lontani da quelli propri dell’Occidente della tradizione greco-latina e giudaico-cristiana, come dimostra il fatto che la Convenzione europea, alla quale era stato affidato il compito di redigere la bozza di Costituzione, ha omesso ogni riferimento alle “radici cristiane”, come molti avevano chiesto, a cominciare dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

In effetti l’Unione si è distinta negli ultimi anni non solo nel definire e disciplinare nei minimi dettagli attività economiche che spesso hanno condizionato negativamente le tradizioni agricole e ittiche dei paesi membri, ma si è impegnata ad affermare diritti e modi di vita lontani dalle consuetudini di molti paesi, spesso in ragione di “diritti” individuati o definiti in modo che non corrisponde al sentire di alcune comunità. Per cui la sollecitazione a ritornare alle origini più squisitamente economiche del trattato istitutivo della CEE, concepito al modo di un’area di libero scambio.

È soprattutto l’orientamento dei partiti conservatori i quali, ancorché non usino così definirsi perché la qualificazione di “conservatore” in molti contesti non è popolare, partiti e movimenti presenti in molti paesi, dalla Polonia, alla Germania, alla Spagna, all’Italia, naturalmente. Dove “Dio, Patria e Famiglia” delineano una visione politica delle rispettive comunità nazionali. Partiti e movimenti caratterizzati da culture politiche che si definiscono liberali, cristiane, nazionaliste. Difficili a volte da definire. Che nel caso dell’Ungheria di Viktor Orbàn, in visita alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è schierato addirittura a fianco di Vladimir Putin del quale l’U.E. ha condannato senza mezzi termini la brutale e sanguinosa invasione dell’Ucraina.

Nel variegato mondo della politica europea, tra le famiglie della tradizione occidentale, popolari, socialisti, liberali, i conservatori sono espressione di un habitat mentale che non consente una definizione certa. Si domanda, infatti, Marco Gervasoni nel “Pensare l’impolitico – il conservatorismo italiano” (Rubbettino) che “se gli studiosi del conservatorismo non sono stati in grado, secondo noi, di fornire una definizione minima soddisfacente di conservatorismo, ci riusciranno i teorici o ideologi del conservatorismo?” i vari Russel Kirk, Michael Oakeshott, Robert Nisbet o Roger Scruton, tutti in vario modo distanti, spesso critici, dalla politica militante, quella che deve fare i conti con il consenso elettorale in ragione del quale dirsi conservatori non garantisce voti. Sicché non è facile individuare un percorso comune, al di là delle manifestazioni di principio, di idee e programmi, come dimostra il tentativo di Giuseppe Prezzolini con il “Manifesto dei conservatori”, pubblicato nel 1970, di delineare una teoria del conservatorismo non del tutto esaustiva e certamente meno persuasiva a fronte di altri contributi, come quelli di Armando Plebe e, soprattutto, di Augusto Del Noce ben più strutturati.

Diciamo che il conservatorismo non è ostile al cambiamento ma lo accetta cercando di preservare almeno una parte della propria identità, quella “non negoziabile”, è soprattutto un modo di vivere la tutela, la cura, la conservazione, attraverso la comunità ed i corpi intermedi, di una società che si riconosce nelle tradizioni comuni.

Fatte queste premesse, il conservatorismo nella versione “sovranista” appare contrario all’Unione Europea per gli abusi normativi e la riscoperta di desideri interpretati come valori, che contesta la perdita di sovranità degli stati in favore di un’entità senz’anima che rischia di far perdere agli stati membri ed ai singoli ogni riferimento alla tradizione dell’Occidente cristiano.

È una posizione, a mio giudizio, antistorica e comunque contraria agli interessi dei paesi europei alla difesa delle libertà, alla pace e alla prosperità alla quale una forte Unione europea può dare un contributo significativo. In particolare, il conservatore non può ignorare il valore politico di un’Unione di centinaia di migliaia di cittadini, articolata in nazioni con tradizioni importanti, una grande industria e tradizioni comuni se riuscisse ad imporsi come interlocutore affidabile delle grandi potenze economiche e politiche e quindi come garante della pace e del progresso, quantomeno nel Continente e nell’area del Mediterraneo. La proposta di alcuni ambienti conservatori di tornare agli Stati nazionali è una follia che si dimostra da sola e farebbe dell’Italia e degli altri paesi europei delle colonie americane. Ora gli Stati Uniti d’America sono certamente un alleato e un partner importante dal punto di vista economico e anche, all’occorrenza, militare, ma l’Unione deve essere in condizioni di sviluppare una politica estera comune, neanche troppo difficile da individuare, considerata l’esigenza di mantenere il controllo del Continente e delle aree limitrofe basato anche sulla circolazione delle persone che, pur rimanendo legate culturalmente alle tradizioni del paese d’origine, possano lavorare e operare e trasferirsi nei paesi europei, giovandosi anche della moneta unica che è un elemento di riconoscimento di una comunità. Quindi ben vengano le difese della tradizione dell’Occidente cristiano, ma l’Europa deve porsi come soggetto capace di contribuire alla pace del mondo e al benessere delle popolazioni del Continente. Senza perdere la propria anima, come dimostrano il Regno Unito e le Monarchie europee testimoni della tradizione politica culturale e unitaria che assume dalle esperienze delle comunità locali elementi per rafforzare l’unità dello Stato. Del pari le singole comunità territoriali nazionali concorrono a formare l’habitat dell’Europa con le loro storie e con le loro tradizioni, garanti dell’unità dell’Occidente cristiano.

 

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