Governo contro Corte dei conti: il Ponte sullo Stretto diventa terreno di scontro istituzionale
Meloni e Salvini accusano la Corte di scelta politica, ma il rifiuto del visto segue procedure previste dalla legge.
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Una cosa è certa: quando la Corte dei conti ha negato il visto di legittimità ad importanti provvedimenti del suo Governo, il Cavalier Benito Mussolini, Presidente del Consiglio e Duce del Fascismo, che non era propriamente un liberale, non ha mai dubitato che i giudici contabili avessero deciso per motivi politici. Ed ha risolto la controversia intorno alla legittimità di atti di particolare importanza chiedendo un loro riesame alle Sezioni Riunite della Corte.
Diversamente, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ed il Ministro per le infrastrutture, Matteo Salvini, di fronte alla decisione della Corte dei conti che ricusa il visto di legittimità alla delibera del CIPESS riguardante il Ponte sullo Stretto di Messina hanno ritenuto di individuare nella pronuncia della Corte una “scelta politica”. Per l’on. Meloni, a quanto riferisce l’ANSA: “sul ponte ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento. Sul piano tecnico, i ministeri interessati e la Presidenza del Consiglio hanno fornito puntuale risposta a tutti i rilievi formulati per l’adunanza di oggi; per avere un’idea della capziosità, una delle censure ha riguardato l’avvenuta trasmissione di atti voluminosi con link, come se i giudici contabili ignorassero l’esistenza dei computer”.
Per Salvini: “la decisione della Corte dei conti è un grave danno per il Paese e appare una scelta politica più che un sereno giudizio tecnico”
Ho letto e riletto queste dichiarazioni rattristato per l’assoluta ignoranza del sistema dei controlli che dimostrano, assolutamente ingiustificabile per dei politici di lungo corso i quali dovrebbero sapere che le decisioni della Corte dei conti, assunte con rifiuto del visto di legittimità, possono essere superate per rilevanti esigenze politiche (salus rei publicae) attraverso una esplicita richiesta da parte del Governo che il provvedimento “abbia corso”, così mettendo in moto un meccanismo che si può concludere con la “registrazione con riserva”. Si “può” concludere, perché, in realtà, le Sezioni Riunite della Corte, chiamate a deliberare dopo la pronuncia del Consiglio dei ministri, potrebbero, esaminate le ragioni del Governo in punto di diritto, concludere per una registrazione in via ordinaria. Oppure, ove non ritenessero cessati i motivi del dissenso registrare “con riserva” e in questo caso segnalare al Parlamento la decisione. Sono certo che i collaboratori della Presidente e del Ministro, che hanno studiato un po’ di diritto, avranno segnalato questa possibilità per uscire dal contrasto ma immagino che i due politici non abbiano voluto seguire quella strada perché, nella loro visione politica, è più importante denunciare una “invasione di campo” della magistratura contabile nelle scelte del governo, come se i giudici facessero politica. E pensano di giovarsene sul piano del consenso elettorale dichiarandosi vittima dell’odiata magistratura.
Per un governo che si qualifica “di destra” è grave e, infatti, non somiglia a nessuno dei governi di destra che la storia dello Stato italiano ha conosciuto, almeno da Cavour a Giolitti, da Andreotti a Cossiga.
Ne scrivo con non poca amarezza perché, da persona delle istituzioni che ha guardato con simpatia la formazione di una maggioranza di centrodestra, sono turbato da questo modo di concepire il rapporto fra le istituzioni. Questi conflitti si possono evitare attraverso una puntuale, corretta e approfondita analisi dei provvedimenti da inviare alla Corte dei conti e in ogni caso la differenza di opinioni in punto di diritto tra governo e magistratura è fisiologico, tant’è vero che la registrazione con riserva è un istituto previsto dalla legge.
Perché, dunque, denunciare presunti sconfinamenti della magistratura? Perché il Governo non gradisce che una registrazione con riserva sia discussa in Parlamento, dando occasione alle opposizioni per una critica al suo operato. E mi ritorna in mente un’espressione che ho molto apprezzato in Gianfranco Fini quando, all’uscita di incontri con altri personaggi del governo del quale era Vicepresidente, più volte lo sentii commentare con un’espressione particolarmente incisiva “senso dello Stato zero”.
Di più, se ci fosse ancora Giovannino Guareschi sono certo che pubblicherebbe sul Candido una di quelle vignette nelle quali compariva su una nuvoletta una personalità del passato con un robusto bastone pronto a colpire chi dimostrava di non saper stare al suo posto. Immagino Cavour pronto a bastonare Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Senza pietà.
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