Dalla separazione delle carriere al giusto processo.
Pubblichiamo il testo della Relazione del Prof. Giovanni Maria Flick al Convegno “Separazione delle carriere: autonomia e garanzie nel sistema giustizia” dell’Aiga.
In evidenza

- Separare “dal potere”. Nel contesto di un confronto/scontro fra politica e magistratura sulla riforma costituzionale “della separazione delle carriere” debbono essere segnalati alcuni profili di carattere generale. Nel pensiero dei costituenti l’autonomia e l’indipendenza della magistratura erano necessarie per superare il sistema precedente, che vedeva il pubblico ministero posto “sotto la direzione” del Ministro di Grazia e Giustizia (articolo 69 della legge sull’ordinamento giudiziario del 1941); mentre nel 1946 – prima dell’entrata in vigore della Costituzione – si era preferito prevedere la sola “vigilanza” del Ministero.
La logica che ispira le disposizioni costituzionali sulla magistratura ordinaria è quella di assicurare la separazione “dal potere”, prima ancora che la “separazione dei poteri”. L’indipendenza non va intesa infatti solo “nell’esercizio delle funzioni”, ma anche dal punto di vista organizzativo. Lo scontro fra politica e magistratura non è una novità del tempo attuale. L’ANM si scontrò contro la riluttanza della politica a istituire il CSM e insistette per scongiurare le ingerenze ministeriali. L’esistenza dell’organo di autogoverno giustifica, inoltre, una legittimazione – all’interno dell’ordine della magistratura – delle posizioni politiche e ideologiche. Il magistrato vota i suoi rappresentanti nell’organo di autogoverno e facendo ciò necessariamente esprime una posizione “politica”: ossia una posizione sul governo della magistratura.
L’esercizio delle funzioni deve invece rimanere insensibile alle questioni organizzative e amministrative dell’ordine della magistratura. Ogni cittadino è libero di manifestare contro le iniziative del Governo e del Parlamento; così sembrerebbe esserlo anche il singolo magistrato. Vi è invece qualche dubbio che la opposizione sia fatta dalla magistratura associata; che il singolo manifesti il dissenso nell’esercizio delle proprie funzioni. Credo che le forze di opposizione e i rappresentanti dell’organo di autogoverno della magistratura dovrebbe invece levare in modo più intenso le proprie voci, se ritengono di non condividere le iniziative assunte dalla politica di maggioranza.
L’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono irrinunciabili, soprattutto nel contesto attuale che vede il Parlamento sempre più delegittimato in favore del potere del Governo. Si può dire – in realtà – che ormai il potere legislativo sia assorbito quasi integralmente dal Governo.
- Potere, Governo e sicurezza. Proprio per questo la magistratura associata segnala che la riforma costituzionale potrebbe costituire il primo passo verso la subordinazione del pubblico ministero al potere dell’esecutivo. Dal punto di vista strettamente formale ciò non è possibile, perché la riforma ribadisce il principio della separazione del magistrato “dal potere”. Tuttavia, l’approccio ai temi della politica criminale, dell’ordine pubblico e della sicurezza dell’attuale Governo preoccupa e sconcerta. L’adozione del c.d. decreto-sicurezza dopo mesi di esame del disegno di legge omologo in Parlamento dimostra quale sia il grado di autorevolezza residuata in campo a quest’ultimo organo. È un provvedimento pericoloso; non se ne ravvisano la straordinarietà, la necessità e l’urgenza, se non nella volontà di neutralizzare la discussione parlamentare. Questo è gravissimo.
A venire in rilievo sono la repressione del dissenso, fondamentale in una società democratica; l’indifferenza verso i principi della riserva di legge e della personalità della responsabilità penale. Il contesto generale delle iniziative dell’esecutivo deve entrare nella valutazione e nel dibattito delle riforme costituzionali. Si pensi che fino a qualche mese fa erano in piedi – contemporaneamente – i tre seguenti progetti: premierato (che sembrerebbe ora accantonato); autonomia differenziata (profondamente ridimensionata dalla declaratoria di illegittimità della Corte costituzionale); disegno di legge sicurezza (ora decreto-legge) e separazione delle carriere.
Emerge un quadro non rassicurante, in cui sembra prevalere la legittimazione “elettorale” sulla necessità del rispetto del delicato equilibrio di checks and balances che la Costituzione valorizza. È rimasta solo la riforma costituzionale della “separazione delle carriere” con i suoi fondamentali corollari e con il suo significato “costituzionale”.
Anche la magistratura associata però non è esente da critiche. L’attuale (apparente) unitarietà dei magistrati non deve far dimenticare la frammentazione degli ultimi anni, a seguito delle tristi vicende degli scandali correntizi in seno al CSM. Dopo Tangentopoli, la magistratura ha interpretato il proprio ruolo come una sorta di controcanto alle patologie della politica. Esisteva un’unitarietà di fondo tra i magistrati, con un’identificazione di essi nel potere giudiziario che superava tutte le liti e i contrasti interni. Sotto la patina dell’orgoglio – esteriorizzato con il costante richiamo a figure di prestigio – ha covato invece la frantumazione correntizia, che si è trasformata in autoreferenzialità e in protagonismo.
La magistratura ha perso contatto con i bisogni di giustizia del paese. Ha disperso il senso del suo ruolo istituzionale e il patrimonio – già assai forte – della sua affidabilità; si pensi al dibattito che c’è stato qualche anno fa sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura. Il caso dell’“Hotel Champagne” è stato solo l’esteriorizzazione di una crisi cominciata quando la magistratura si è illusa di prendere il posto della politica, nel momento in cui ha smesso di esaminare le responsabilità di fatti e persone ed è passata all’esame dei fenomeni: dal “fatto” al “fenomeno”.
- Carriere separate e “cultura del giusto processo”. Occorre prendere atto prima di tutto che il dibattito sulla separazione delle carriere in questo momento è estremamente polarizzato, alla luce del contesto di perenne campagna elettorale. La proposta di modifica della Costituzione non risolverà i problemi della giustizia penale e forse occorre chiedersi quanto sarà effettivamente “utile” per trovare soluzioni di risposta alle domande anche drammatiche che propone in questi tempi la crisi della giustizia. I proponenti dichiarano di voler portare a compimento – con la riforma costituzionale – l’introduzione del processo accusatorio iniziata con l’adozione del “nuovo” codice di procedura penale Vassalli. Dovrebbe essere il contrario: prima le riforme di contenuto, poi la risistemazione.
Il problema principale dell’esercizio delle funzioni requirenti sembra essere costituito dalle iniziative che in concreto vengono assunte da taluni pubblici ministeri, nell’applicazione dei poteri e delle facoltà previsti dalle norme processuali. Penso all’abuso delle richieste di custodia cautelare; al ricorso ad iniziative di indagine invasive; allo sconfinamento del magistrato penale nell’ambito del merito amministrativo e – secondo alcune parti – del merito politico.
Penso ancora alle situazioni in cui quotidianamente si trovano gli avvocati in udienza; al rispetto e alla “riverenza” da parte del Giudice nei confronti dell’Ufficio della Procura si contrappone spesso la rigidità e l’insensibilità nei confronti del difensore. I singoli avvocati penalisti – al di là della posizione assunta dall’avvocatura penale associata, che rispetto pur con le sue comprensibili enfatizzazioni – chiedono che le istanze di rinvio del PM e del difensore siano giudicate allo stesso modo; che le richieste di prova formulate dal difensore non sia considerate di minori importanza e qualità rispetto a quelle del PM; che i poteri di investigazione difensiva siano più ampi e non in squilibrio con l’accusa; che in fase di indagine vi sia un controllo più approfondito da parte del GIP sulle richieste del PM.
Sono problemi di carattere culturale che non sembrano potersi risolvere istituendo il “CSM del pubblico ministero” e il “CSM del giudice”. Si invoca spesso la “cultura della giurisdizione”; credo sia necessario invece discutere di cultura del processo voluto dalla Costituzione. Mi rendo conto però che non è facile vincere la cultura del pregiudizio – anche quando si è Giudici – per cui “se un’indagine c’è stata significa che qualcosa è successo”. Così come non è facile dimenticare il problema di fondo: “divide et impera”, è facile “imperare” sul più debole.
Mi chiedo se la previsione di un CSM per la sola funzione requirente non rischi di portare ad un consolidamento di quella logica autoreferenziale che spesso motiva le iniziative del pubblico ministero. O se sia piuttosto necessario intervenire sulla formazione pratica del magistrato requirente; e sulla necessità del rispetto delle norme processuali che già prevedono l’obbligo per il pubblico ministero di ricercare – e tenere conto – delle prove a discarico.
- Politica, avvocatura e magistratura: ragioni dello scontro. Sembra invece opportuno mantenere la stessa composizione e proporzione del C.S.M. fra togati e laici, con prevalenza della quota dei magistrati, trattandosi di organi di autogoverno della magistratura; e forse prevedere un’autonoma Alta Corte che eserciti la giurisdizione disciplinare, viste le vicende pregresse e la necessità di preservare l’autorevolezza dell’ordine magistratuale.
Ho qualche dubbio sul ricorso al sorteggio: esso non è disciplinato e la sua regolamentazione è rimessa alla legislazione ordinaria. Il sorteggio su una rosa di “candidati” non risolverebbe il problema delle correnti; il sorteggio puro pregiudicherebbe la rappresentatività e la tenuta dell’autonomia dei magistrati nei confronti dei laici: anche quest’ultimi sarebbero eletti, ma tra una rosa di nomi indicati dal Parlamento.
La separazione delle carriere come tale e di per sé – al di là di quello che possa essere in futuro il “destino” di un pubblico ministero “numericamente indebolito”, distaccato dal giudicante o di cui si tema perciò un condizionamento politico nell’esercizio delle sue funzioni – non appare di per sé in contrasto con il principio della separazione dei poteri, come già rilevato dalla Corte costituzionale.
Abbiamo però un sistema giustizia e un sistema penale in particolare, che è gravato da una sedimentazione ormai pluridecennale di problemi. A fronte della amara realtà con cui toccherebbe confrontarsi, si assiste invece a un conflitto che in alcune fasi degenera in rissa insensata.
La mia amarezza deriva dal verificare che tale conflitto vede contrapposte avvocatura e magistratura; non solo magistratura e politica. La politica a propria volta ne approfitta, per strumentalizzare anche questa sottocategoria del conflitto sulla giustizia. Senza avere invece la prudenza e il buonsenso di cogliere l’importanza del confronto tecnico – non influenzato da prese di posizione ideologiche e precostituite; non reso incomprensibile per l’opinione pubblica e per i media a causa di eccessivi tecnicismi – fra avvocati e magistrati – per trarne soluzioni ai problemi accennati all’inizio.
Il conflitto sulla riforma è il velo sotto il quale si rischia di nascondere, colpevolmente, il gigantesco il groviglio di problemi che affigge il sistema penale, dalla legge alla pena passando per il processo. Si tratta di una versione se vogliamo estremizzata di quella tendenza alla rimozione e alla strumentalizzazione attraverso l’illusione di una giustizia algoritmica orientata a prospettive di quantità, velocità ed efficientismo. Ricordo che lo stesso invito al buonsenso e al dialogo di cui parlavo prima lo rivolsi all’avvocatura e alla magistratura già quando ero ministro, in un convegno a Bologna nel 1997.
- Legge, processo e loro crisi. Bisogna cercare di proporre un ordine concettuale, logico, sistematico. Bisogna ricordarsi che il sistema giustizia è una rosa dei venti. In essa si riconoscono quattro direttrici principali sulle quali soffia però costantemente un vento impetuoso che porta spesso a farle intrecciare e a trasformarle, in un turbine da cui sembra non esserci via d’uscita. La riserva di legge; il giusto processo con tutte le sue implicazioni, sostanziali e processuali; il principio cardine e universale per cui la responsabilità penale è personale, e può essere contestata solo in forza di una legge anteriore al fatto commesso, e non di un fenomeno; la pena, che non deve essere mai contraria al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione.
È necessario ricordare la struttura del sistema perché solo se abbiamo dinanzi a noi la portata, la complessità e la dimensione delle questioni, possiamo renderci conto di quanto sia poco responsabile ridursi al conflitto se non alla rissa su di un particolare, per quanto significativo e simbolico. Tanto più quando essa si apre alla prospettiva del divide et impera contro chi si ritiene occupi troppo potere. Ho sempre pensato che fosse necessario distinguere le funzioni tra pubblico ministero e giudice e non le carriere, proprio per evitare il rischio di un PM superpoliziotto, che in un primo momento viene esaltato ma che poi si vuole indebolire, o forse inevitabilmente assoggettare al potere politico.
Di chi è voce, oggi, il giudice: di un tiranno? Del popolo? Della tecnologia? Di sé stesso? La crisi del ruolo del Giudice è complicata dal carattere multilevel sia delle fonti normative sia delle giurisdizioni. In un quadro già così complesso, si inserisce l’aporia fra diritto ex lege, che tende a implodere, e diritto ex iure, che invece dilaga. Sono solo alcune delle questioni ascrivibili sotto l’intestazione ‘riserva di legge’. Non dimentichiamo il già citato principio dell’irretroattività in malam partem.
Bisogna rispettare le “regole del gioco”. Abbiamo un problema di regolazione del sistema. Abbiamo a che fare formalmente con un determinato modello, il processo accusatorio, che è gestito dalle parti in condizioni di parità sotto il controllo del giudice. Ma si è accantonato solo in apparenza il processo inquisitorio, che era gestito solo dal giudice.
Eppure l’instabilità del sistema è evidente; lo sconfinamento dall’uno all’altro modello è continuo. È troppo frequente uso della custodia cautelare come strumento per supplire alle carenze probatorie attraverso la confessione della persona accusata. A volte è anche peggio, se possibile: l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare diventa un’anticipazione di pena per soddisfare l’attesa di vittime o l’opinione pubblica. È anche un paradossale rimedio a una durata prevedibilmente troppo lunga del processo.
- Durate e imprevedibilità dei processi. L’eccessiva durata dei processi penali, semplicemente, è intollerabile. Contraddice la civiltà giuridica. Si accompagna a corollari e concause. Tra gli altri, l’incognita sull’inizio effettivo delle indagini, che determina anche l’incertezza sulla loro effettiva durata, e dunque la fragilità dei limiti temporali che la legge prevede. Non mi pare che il controllo giurisdizionale sulla fase delle indagini si sia rivelato, anche dopo le modifiche introdotte con la riforma Cartabia, un valido antidoto a tali distorsioni. D’altra parte, la deriva che riguarda il pubblico ministero ha, come sappiamo, un risvolto ancora più grave e ingovernabile.
Si registra la tendenza a imbastire dei maxiprocessi; una tendenza che si intreccia con il più generale nodo del protagonismo dei PM di fronte alle aspettative dell’opinione pubblica. Ed è ormai nota la degenerazione per cui quelle aspettative diventano oggetto di continuo abuso e strumentalizzazione da parte dei contrapposti schieramenti politici, anche attraverso il processo mediatico.
Quest’ultimo deriva dall’altrettanto noto e patologico rapporto incestuoso tra i PM, protagonisti appunto, e i media che quel protagonismo rendono possibile e amplificano, con l’ovvio risultato che l’informazione si occupa quasi esclusivamente delle indagini, e dunque delle ipotesi d’accusa.
Il PM è e resta ancora dotato di risorse tecniche ben più rilevanti, incisive e costose, dalla polizia giudiziaria alle consulenze tecnico-specialistiche. Tale squilibrio rischia di esasperarsi e di ingigantirsi nel momento in cui la magistratura requirente avesse un Consiglio superiore tutto proprio.
Mi preoccupa inoltre la tendenza crescente del pubblico ministero ad abbandonare il vincolo costituzionale dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale in nome dell’eguaglianza, con tutti i correlati profili di garanzia, di prova e di difficoltà di scelta che inducono a prediligere la via del procedimento di prevenzione. Il fenomeno diventa ancora più problematico nel momento in cui contempla anche la pericolosità sociale dell’impresa. L’agevolazione colposa di reati riconducibili al fenomeno del caporalato ad esempio sembra consolidarsi come diffusa ipotesi di lavoro in certi uffici inquirenti anche con riferimento alla evasione dall’adempimento degli obblighi tributari ed alla configurabilità della frode fiscale.
- Riformare sì, ma cosa? La repressione penale propriamente detta impone limiti garantistici a livello sostanziale, di merito e di procedura. La prevenzione consente di contestare all’impresa – in modo più agile, meno garantito e sostanzialmente non presidiato dalle tutele costituzionali – ipotesi molto gravi, nel momento in cui quell’impresa sia ritenuta beneficiaria del profitto che deriva dallo sfruttamento di lavoratori col meccanismo della cosiddetta supply chain. Una frontiera che sembra pericolosa e di cui però in realtà, si parla ancora troppo poco, se non per enfatizzarne i risultati attraverso i media.
L’avvocatura penale ha già iniziato da un po’ di tempo a segnalare la deriva di un pubblico ministero che, con la condivisione delle sezioni “Misure di prevenzione” dei Tribunali, sostituisce sempre più il procedimento penale e le sue correlate garanzie con il procedimento di prevenzione, in cui il contraddittorio e il diritto di difesa sono ridotti al lumicino. Certo questi allarmi sono stati sollevati finora principalmente per la prevenzione antimafia.
È un problema di cui ci si deve occupare. L’ablazione preventiva, il sequestro, l’amministrazione giudiziaria e magari la confisca, sono scorciatoie molto comode, più facili, se così si può dire, del vero e proprio procedimento penale.
Ma se ci si giura battaglia all’ultimo sangue sulla separazione delle carriere, come mi pare si rischi di fare, quando e come ci sarà, per avvocatura e magistratura, tempo e modo di confrontarsi seriamente su problemi così gravi, e di insinuare almeno, nella politica, il sospetto che qualche modifica normativa sarebbe necessaria?
Altre Notizie della sezione

Via libera allo spreco di denaro pubblico
27 Giugno 2025Con la scusa del “timore della firma”.

I problemi delle Casse di previdenza
25 Giugno 2025Oltre a quello demografico - reddituale, del quale ho già argomento nei miei 14 quaderni che ho pubblicato tutti online, ve ne sono 2, più subdoli perché molto tecnici e silenti.

In tema di scorrimento delle graduatorie degli idonei.
24 Giugno 2025Una lezione di diritto del Consiglio di Stato all’Agenzia delle entrate.