Cosa succede adesso in Iran? I possibili scenari
L'Agenzia Dire lo ha chiesto a Saman Vakil, direttrice degli studi sul Medio Oriente e il Golfo Persico del think tank Chatham House.
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Un’elezione “difficile”, pochi mesi dopo un voto parlamentare segnato dall’affluenza più bassa di sempre, senza peraltro all’orizzonte nuovi dirigenti “carismatici” e allo stesso tempo “flessibili”: questa la prospettiva per l’Iran secondo Saman Vakil, direttrice degli studi sul Medio Oriente e il Golfo Persico del think tank Chatham House.
In un’intervista con l’agenzia Dire, la politologa ragiona sugli scenari che si aprono a seguito della morte del presidente Ebrahim Raisi, vittima ieri di un incidente in elicottero insieme con il suo ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian.
La Costituzione, in particolare l’articolo 131, prevede che ad assumere la guida della Repubblica islamica sia il vice-capo dello Stato, oggi Mohammad Mokhber. Parallelamente, il dirigente, il presidente del Parlamento e il magistrato più alto in grado dovranno organizzare elezioni da tenersi nell’arco di 50 giorni. Vakil si sofferma però sugli aspetti politici. “Non sarà facile tenere elezioni presidenziali dopo un voto parlamentare da record per l’affluenza più bassa di sempre” sottolinea la studiosa. “Al momento il sistema non può contare su leader carismatici, capaci di ispirare e flessibili in grado di assumere la guida”.
Sullo sfondo c’è anche Israele, coinvolto in un conflitto politico e militare con Teheran ancora il mese scorso, deflagrato dopo un bombardamento attribuito a Tel Aviv del consolato iraniano nella capitale siriana Damasco. “Nulla da dire su questo” sottolinea Vakil. “A oggi non c’è nulla di rilevante”. I media di Teheran hanno sottolineato che l’incidente è stato causato con ogni probabilità da “condizioni meteorologiche avverse” e in particolare dalla fitta nebbia scesa ieri sulla regione dell’Iran al confine con l’Azerbaigian dove l’elicottero stava volando. Un funzionario israeliano, in condizione di anonimato, ha smentito oggi ogni collegamento tra Tel Aviv e la morte di Raisi. “Non siamo stati noi”, ha riferito il dirigente, in una dichiarazione rilanciata anche dall’edizione online del quotidiano Haaretz. Vakil concorda sul fatto che l’attenzione vada posta su Teheran.
La sua tesi è che nelle prossime settimane i dirigenti della Repubblica islamica “cercheranno di mostrare unità” e “di accrescere il supporto dell’opinione pubblica” nei confronti del governo. Probabile, secondo l’esperta, anche il rispetto delle norme costituzionali in materia di nuove elezioni. Secondo i dati del ministero dell’Interno di Teheran, alle legislative del marzo scorso l’affluenza ha superato di poco il 41 per cento. Il dato è stato il più basso per questo tipo di consultazioni dalla rivoluzione islamica che nel 1979 rovesciò l’ultimo scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi. Chatham House è un centro studi di riferimento a livello internazionale, fondato a Londra nel 1920.
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