La Sapienza si ferma per Gaza
Studenti in corteo dentro l’ateneo: “Se bloccano la Flotilla, blocchiamo tutto”. Lettere e Fisica occupate per dire no agli accordi con Israele.
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Il piazzale Minerva si è trasformato, ancora una volta, in una piazza politica. A La Sapienza di Roma, gli studenti hanno dato vita a un corteo pro-Palestina che ha attraversato l’università entrando nelle facoltà di Lettere e di Fisica, con striscioni, cori e interventi che legano la condizione dei civili di Gaza al ruolo delle istituzioni accademiche italiane. Sullo striscione che ha aperto la giornata il messaggio era diretto: “Se bloccano la Flotilla blocchiamo tutto. Stop accordi con Israele”.
L’azione nasce a sostegno della Global Sumud Flotilla, la flotta internazionale che prova a rompere l’assedio portando aiuti umanitari nella Striscia. Ma non si tratta solo di solidarietà distante: per gli studenti la guerra a Gaza riguarda anche i corridoi universitari, perché passa attraverso i rapporti che le università italiane mantengono con istituzioni accademiche israeliane. “Sapienza contro la guerra, stop genocidio” si leggeva sugli striscioni mentre il corteo attraversava i viali interni al grido di “Free free Palestine”.
La protesta ha avuto un carattere esplicitamente politico. In piazza, oltre ai collettivi universitari, era presente anche Cambiare Rotta. Molti manifestanti hanno sfilato con cartelli che riportavano i volti dei leader politici italiani: Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Guido Crosetto ed Elly Schlein. Un modo per ribadire che la complicità con la guerra non si ferma ai governi di destra e che, a giudizio degli studenti, nessuna forza politica istituzionale ha scelto davvero di schierarsi con i civili palestinesi.
Il corteo ha fatto tappa a Lettere e Filosofia, dove i manifestanti hanno chiesto apertamente l’interruzione di ogni rapporto accademico con Israele, denunciando gli scambi di ricerca e le collaborazioni come forme di normalizzazione della guerra. Poi è stata la volta della facoltà di Fisica, dove i pro-Palestina hanno interrotto una lezione: lo striscione è stato steso davanti alla cattedra, il docente è rimasto in silenzio, alcuni studenti hanno battuto le mani, altri sono rimasti al proprio posto. Una scena simbolica: il conflitto in Medio Oriente irrompe nei luoghi della formazione, costringendo a prendere posizione, anche solo con un gesto minimo.
Il fondo della protesta è chiaro: la guerra non è lontana, attraversa l’università e la società italiana. Non è questione da esperti di geopolitica ma da studenti e docenti che non vogliono essere complici. La denuncia del “genocidio” a Gaza e la richiesta di boicottaggio accademico si intrecciano con la lotta contro la precarietà e l’aumento delle tasse, con la volontà di immaginare un’università che non sia laboratorio di guerra ma spazio di libertà e solidarietà.
In questo senso, la Sapienza non è un caso isolato: da settimane in molte città italiane e in diversi atenei si registrano azioni, occupazioni e prese di parola contro i bombardamenti e l’assedio di Gaza. La mobilitazione romana si inserisce dunque in un movimento più ampio, che ha come obiettivo quello di forzare le istituzioni universitarie a dichiararsi, a rompere i legami con chi, dall’altra parte del Mediterraneo, partecipa all’oppressione del popolo palestinese.
Le voci degli studenti lasciano pochi dubbi: “Palestina libera” non è uno slogan generico, è un appello alla rottura. Con gli accordi, con le complicità, con la narrazione che riduce la resistenza a terrorismo e la guerra a inevitabile risposta. La Flotilla che tenta di arrivare a Gaza è un simbolo di questa resistenza globale, fatta di corpi e di reti di solidarietà che provano a spezzare l’assedio. E il messaggio lanciato dal corteo è netto: se si prova a fermare quell’aiuto umanitario, le università e le città italiane saranno chiamate a bloccare tutto.
Quello che è avvenuto oggi a La Sapienza dice molto della fase politica. In un Paese dove il governo parla di difesa dei valori occidentali e di alleanze strategiche, c’è una generazione che non accetta di crescere dentro un orizzonte di guerra permanente. Una generazione che guarda a Gaza come a uno specchio della propria condizione: assedio, precarietà, assenza di futuro. E che per questo si ribella, portando la questione palestinese nel cuore delle aule universitarie.
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