Israele, allarmi ignorati sul 7 ottobre: perché serve un’inchiesta
Il piano di Hamas era stato più volte segnalato dall’intelligence e considerato irrealizzabile.
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L’attacco previsto dal 2016, mai portato all’attenzione dei vertici dello Stato. Una catena di errori, sottovalutazioni e fallimenti: l’Alta Corte vuole una commissione indipendente
Il memoriale per le vittime dell’attacco di Hamas contro i giovani radunati in una vasta area vicino al kibbutz di Re’im per il Festival Supernova
Il 7 ottobre 2023 rappresenta una ferita indelebile nella storia di Israele. Un attacco su larga scala da parte di Hamas nel Sud del Paese, con 1.200 morti tra i civili e il rapimento di 251 persone. Un blitz che ha convinto il governo Netanyahu ad attaccare e invadere la Striscia di Gaza. La gravità di quell’assalto terroristico, la sua preparazione meticolosa e la totale sorpresa della leadership israeliana hanno spinto l’Alta Corte di Giustizia a emanare un “ordine preliminare” al governo chiedendo il motivo per cui non sia stata istituita una commissione statale d’inchiesta, un organo indipendente capace di analizzare in modo professionale e imparziale le circostanze che hanno portato alla catastrofe. Il governo ha tempo fino al 4 gennaio per rispondere, mentre il panel ministeriale formato per definire temi e tempi di una commissione governativa dovrà presentare le proprie raccomandazioni entro la fine del mese. Questa scadenza è cruciale: determinerà il mandato e la struttura della commissione governativa.
La commissione governativa esistente, pur definita “indipendente”, è guidata da ministri in carica durante l’attacco e questo mette in discussione l’effettiva indipendenza della valutazione. Critici del primo ministro Benjamin Netanyahu, compresi i familiari delle vittime, hanno chiesto che le falle politiche e di intelligence anteriori, durante e successive all’attacco siano investigate da un’autorità statale indipendente. I sondaggi mostrano che una solida maggioranza di israeliani sostiene questa opzione. Netanyahu ha respinto tale possibilità, rifiutando che l’indagine fosse determinata dalla magistratura, organo considerato ostile: “Non sarà il tribunale a decidere”, ha detto, nella sua lunga battaglia contro il sistema giudiziario.
Il punto centrale riguarda gli allarmi di intelligence ignorati per anni. La minaccia di un attacco era stata messa nero su bianco diverse volte: la cosa è ufficiale, avendola formalizzata la stessa intelligence in un rapporto reso pubblico.
Il Direttorato dell’Intelligence Militare (Aman) dell’Idf aveva ricevuto informazioni e piani che, sin dal 2016, delineavano l’intento di Hamas di lanciare un’invasione via terra su larga scala contro Israele. Nel 2017, l’ascesa al potere di Yahya Sinwar consolidò il controllo di Hamas sulla Striscia di Gaza, trasformando l’area nel centro operativo del gruppo e – secondo la stessa intelligence – costituendo le basi per la messa in pratica del piano.
Nel 2018, il Direttorato ricevette la prima versione di un piano che prevedeva l’impiego di forze Nukhba (forze speciali delle Brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas) in attacchi coordinati contro i presidi militari della Divisione Gaza, contro i kibbutzim, con il rapimento di ostaggi, e la trasmissione in diretta delle azioni. Nel 2019 il progetto d’attacco fu formalmente approvato da Hamas: questo hanno saputo le spie che indagavano da anni. Tuttavia, la leadership israeliana considerò questa operazione irrealistica e impraticabile, attribuendola a meri desideri del gruppo terroristico. Sostenevano, di fatto, che quel piano Hamas non sarebbe stato in grado di realizzarlo. Quindi lessero le informative e le considerarono non credibili. All’epoca, alcuni dettagli concreti vennero notati, come la preparazione dei tunnel d’attacco e le capacità logistiche, ma non furono inseriti in scenari operativi completi.
Frattanto, nessuno riuscì a interpretare gli esiti e il peso politico delle azioni belliche israeliane sulla Striscia nel 2021: anziché indebolire, hanno rilevato poi gli 007, “si rafforzò la percezione di Hamas di poter condurre attacchi coordinati”. In seguito, comunque, il Direttorato ottenne ulteriori informazioni chiave. Il rapporto, noto come “Mura di Gerico”, risalente all’agosto 2021 e acquisito dall’intelligence israeliana nel maggio 2022, confermava l’obiettivo di un’invasione coordinata e su larga scala contro comunità di confine e postazioni dell’Idf.
Già ad aprile 2022, sempre secondo il rapporto diffuso dall’intelligence, Hamas aveva deciso di lanciare l’attacco nel giro di pochi mesi: questo era l’aggiornamento e faceva il paio con la scelta strategica di Hamas di evitare conflitti con la Jihad. A settembre dello stesso anno, il gruppo era all’85% della preparazione del piano d’assalto secondo i suoi stessi leader, come riportarono i servizi segreti. Durante le festività israeliane del Sukkot 2022 e della Pasqua 2023 si susseguirono “segnali di una chiara ambizione di Hamas per una guerra su più fronti”. In effetti, Hamas valutò di anticipare l’assalto ma alla fine scelse di optare per un “prendere o lasciare” fissando il 7 ottobre, alla fine del Sukkot 2023. Questo sapeva l’intelligence: Hamas aveva un piano pronto e considerava i tempi maturi. Anzi necessari.
“Hamas non può riuscirci”
Nonostante queste “almeno 10 occasioni chiave per capire il pericolo”, i vertici israeliani – e lo stesso Netanyahu – non furono aggiornati. Forse perché mancava la pistola fumante: del resto, erano state imposte limitazioni al sistema di sorveglianza a Gaza e chiuse alcune unità di investigatori legate ai servizi segreti. Ed era stata sospesa anche l’intercettazione in diretta delle radio portatili di Hamas. L’assenza di tali elementi, evidentemente, impedirono la rappresentazione plastica della minaccia. Non bastarono, a cambiar le cose, la scoperta di preparativi concreti per la realizzazione di nuovi tunnel, l’avvistamento di droni dalla Striscia alle zone limitrofe e il reiterato lancio razzi sulle zone israeliane. Addirittura la segnalazione di una serie di esercitazioni di infiltrazione oltre la barriera.
Ancora, allo stesso modo, in ciascuno di questi momenti, le informazioni furono trattate come “aspettative” di Hamas, non tradotte o traducibili in scenari operativi concreti. Sempre all’oscuro dei vertici politici, questo ripete l’intelligence, la Divisione Gaza tentò di rivalutare le informazioni ricevute negli anni, ma il processo non fu completato prima dell’attacco. Allo stesso tempo, le proteste simulate da Hamas al confine nelle settimane precedenti all’attacco servivano a ingannare Israele. Tant’è che un paio di giorni prima e la stessa notte tra il 6 e il 7 ottobre, il comandante della divisione dell’esercito competente sull’area a Nord di Gaza non diede seguito alle informazioni ricevute e ai segnali di allerta su un possibile “movimento anomalo” di Hamas attorno all’area del rave “Supernova”.
La sottovalutazione della minaccia derivava anche da una cultura e una postura difettose, lo ammettono gli stessi funzionari israeliani nel report.
Gli ufficiali, di fatto, credevano di avere superiorità informativa, mancava quella dose di scetticismo sulla propria preparazione che aiuta a essere vigili, e grandi volumi di dati producevano un falso senso di trasparenza sul nemico perché in realtà fornivano pochi insight tattici. Le valutazioni del Direttorato erano costantemente errate: Hamas era ritenuto “pragmatico” e non proiettato verso imprese impossibili come l’invasione; la guerra tra fazioni del 2021 era stata letta come un fallimento che avrebbe scoraggiato altre azioni, e i preparativi per infiltrazioni e droni erano considerati minimi, quasi propagandistici. Solo la valutazione dei tunnel e dello scenario massimo di 70 operativi coinvolti in eventuali azioni fu formalmente considerata, ma senza integrazione nei piani difensivi. Infine, squilibri strutturali, priorità tecnologiche e carenze professionali ostacolavano in ogni modo la gestione dei dati e la costruzione di scenari difensivi coerenti. La mancanza di coordinamento tra le unità che monitoravano Gaza, tra l’altro, produsse una visione frammentaria della minaccia.
Nel frattempo, Hamas rafforzava le proprie capacità militari approfittando del fatto che, dopo la guerra del 2014, aveva di fatto istituito uno Stato maggiore. L’intelligence sapeva che erano in corso addestramenti per “manovre multi-unità”, per la “distruzione di sensori del muro”, di guida di bulldozer e vari mezzi. Ma, per Tel Aviv, Hamas era “concentrato su governance e welfare”.
L’accumulo di fallimenti sistemici e di valutazioni errate, la cultura difettosa, gli strumenti di sorveglianza insufficienti, gli squilibri organizzativi e professionali rendono evidente perché l’Alta Corte abbia ritenuto necessario un intervento formale per richiedere una commissione statale: solo un’analisi indipendente potrà chiarire le responsabilità e prevenire il ripetersi di una catastrofe simile. La commissione governativa, vincolata al controllo dei ministri in carica, specie al netto di alcuni “licenziamenti” di ministri e dirigenti sia civili sia militari, rischia di non affrontare pienamente i numerosi fallimenti dell’apparato politico e militare israeliano.
Nei mesi successivi, l’Idf ha però avviato riforme interne. Il generale Shlomi Binder sta riformulando la strategia dell’intelligence militare, includendo maggiore utilizzo delle fonti, professionalità rafforzata, miglior gestione dei dati, revisione della sicurezza operativa e riduzione della trasparenza verso il nemico.
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