Anno: XXVI - Numero 106    
Giovedì 29 Maggio 2025 ore 13:45
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Una società per tutte le età?

Il Rapporto Istat in pillole.

Una società per tutte le età?

È stato presentato, il 21 maggio, il Rapporto 2025, un report che evidenzia il periodo “buio” che sta attraversando il nostro Paese quando si parla di demografia ma non solo. Se la prima, infatti, sta facendo vedere i propri effetti anche sulle imprese dove il ricambio generazionale segna un meno 30,2% e il rapporto tra addetti di 55 anni under 35 anni è superiore a 1, è l’avanzare della povertà e della solitudine che fa riflettere.

La povertà assoluta, secondo il report,  coinvolge circa 5,7 milioni di persone, in particolare famiglie con figli, giovani, stranieri e residenti nel Mezzogiorno. Quasi il 40 per cento delle persone di 75 anni e più vivono da sole e nella maggior parte dei casi si tratta di donne.

Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate. Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2 per cento delle famiglie, mentre le coppie con figli scendono al 28,2 per cento. L’instabilità coniugale, la bassa fecondità e il posticipo della genitorialità favoriscono la crescita di famiglie senza figli o monogenitoriali.

Il 63,3 per cento dei giovani tra 18 e 34 anni vive con i genitori, un valore tornato al livello del 2019 ma in crescita rispetto al 2010. Questo fenomeno, accentuato dalla crisi economica e dalla pandemia, si deve alle difficoltà che i giovani incontrano nel realizzare i loro progetti di autonomia e il raggiungimento dell’indipendenza economica.

E veniamo al lavoro. Gli occupati e i disoccupati Nonostante la crescita dell’occupazione dal 2020, l’Italia registra il tasso di occupazione più basso dell’UE27: nel 2024 è pari al 62,2 per cento tra 15-64 anni, con un divario di oltre 15 punti percentuali con la Germania e quasi 7 punti con la Francia. Il divario è particolarmente ampio tra i giovani (15-24 anni): 19,7 per cento, -31,3 punti dalla Germania.

Il tasso di disoccupazione (6,5 per cento) si mantiene sopra la media UE27 (5,9 per cento) e, nel confronto con le maggiori economie dell’UE27, rimane inferiore rispetto a Spagna (11,4 per cento) e Francia (7,4 per cento).

Il tasso di inattività in Italia è il più elevato dell’UE27 (33,4 per cento contro una media del 24,6 per cento). La bassa partecipazione al lavoro riguarda soprattutto la componente femminile: nel 2024, il tasso di inattività delle donne raggiunge il 42,4 per cento.

Ma c’è un dato che rende perfettamente evidente quanto il nostro Paese sia in pericolo. Nel 2024, la forza lavoro inutilizzata, persone che potrebbero lavorare ma non lo fanno, conta circa 3,8 milioni di individui. Di questi, 1,7 milioni sono disoccupati e 2,1 milioni sono inattivi che non cercano lavoro ma potrebbero essere disponibili, oppure che lo cercano senza essere disponibili nell’immediato. Questa platea è composta in misura maggiore da donne, giovani sotto i 35 anni, residenti nel Mezzogiorno e persone con un basso titolo di studio.

Una quota importante di giovani tra i 15 e 29 anni risulta non più inserita in percorsi scolastici o formativi né tantomeno impegnati in un’attività lavorativa (NEET): nell’UE27, l’Italia, nonostante il calo di 7 punti percentuali dal 2019, con il 15,2 per cento, è seconda solo alla Romania.

Infine, il lavoro resta la principale motivazione migratoria e si riflette in tassi di attività tradizionalmente più alti rispetto agli autoctoni. Negli ultimi anni, i vantaggi occupazionali degli stranieri si sono attenuati e oggi il loro tasso di occupazione è simile a quello degli italiani dalla nascita. Tuttavia, la vulnerabilità lavorativa resta più alta tra gli stranieri. Il 29 per cento degli stranieri occupati ha un lavoro a tempo determinato e/o part-time involontario, contro il 24 per cento dei naturalizzati e il 17 per cento degli italiani dalla nascita.

Le retribuzioni contrattuali reali recuperano una parte di quanto perso con l’inflazione ma a fine 2024 risultano ancora inferiori del 10,5% rispetto a quelle dell’inizio del 2019. Se si guarda alle retribuzioni di fatto (quelle che tengono conto anche dei contratti integrativi e del cambiamento di composizione dell’occupazione) la perdita però si limita al 4,4%.

Una società per tutte le età? L’aumento straordinario della sopravvivenza ha trasformato radicalmente la struttura della popolazione italiana, dando origine a una società in cui oggi convivono più a lungo diverse generazioni. I loro percorsi di vita hanno contribuito a ridefinire il contesto demografico, sociale ed economico del Paese. Osservarne l’evoluzione della struttura e dei comportamenti significa cogliere i cambiamenti in atto, ma anche programmare in modo più efficace gli interventi necessari per gestire meglio le possibili traiettorie e criticità future.

Le analisi per generazione confermano un cambiamento profondo nel modo in cui si entra
nella vita adulta. L’uscita dalla famiglia avviene sempre più spesso per andare a convivere; il matrimonio e la genitorialità sono posticipati, o talvolta evitati del tutto; crescono le unioni libere e le famiglie ricostituite. La crescente instabilità coniugale completa il quadro di una transizione demografica in cui i legami familiari si ridefiniscono nel tempo.

Per comprendere le esigenze di una popolazione che invecchia ma che, al contempo, chiede
nuove opportunità, è indispensabile adottare il punto di vista generazionale. L’allungamento
della vita in buona salute, gli stili di vita più salutari – sana alimentazione, pratica di attività
fisica, evitare di fumare o di eccedere nel consumo di bevande alcoliche – e il maggiore livello di istruzione hanno ampliato gli orizzonti delle generazioni, ma anche introdotto nuove sfide e disuguaglianze: vivere a lungo non è uguale ovunque, né per tutti. Se da un lato aumentano gli anni vissuti in autonomia, dall’altro persistono forti divari territoriali e socioeconomici.

È attraverso l’approfondimento delle dimensioni territoriali che tali dinamiche possono
essere comprese nella loro complessità e implicazione per il benessere collettivo. Gli squilibri tra generazioni nei territori, analizzati anche per Aree Interne (a scarso accesso ai servizi essenziali riguardanti salute, scuola, mobilità) e Centri (con infrastrutture che garantiscono tali servizi essenziali), evidenziano le specificità locali, in termini sia di tendenze demografiche sia di fattori come la tipologia familiare, che possono influenzare il potenziale supporto sociale, specie quello informale, e la capacità della società di far fronte alle sfide poste dall’invecchiamento.

Ecco allora che non resta che leggere con attenzione il nuovo Report Istat, per chi vuole invece avere un quadro di sintesi ecco il link del Report in pillole PILLOLE-PER-LA-STAMPA_RAPPO

Adepp

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