Anno: XXVI - Numero 124    
Mercoledì 25 Giugno 2025 ore 13:45
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Test a numero chiuso a medicina

Dopo oltre trent’anni, il test a numero chiuso viene archiviato, ma il suo superamento non coincide con l’apertura dei cancelli.

Test a numero chiuso a medicina

Dal prossimo anno, infatti, ci si potrà iscrivere al primo semestre, ma solo chi supererà alcuni esami fondamentali ed entrerà in una graduatoria nazionale potrà proseguire.

«Il numero chiuso come lo abbiamo conosciuto fino ad ora non esiste più», aveva annunciato la ministra Anna Maria Bernini il 28 marzo, ma la riforma non convince né gli studenti né i docenti.

«Si sta effettivamente eliminando il test, ma non si sta eliminando una barriera: diventa semplicemente un’altra barriera più tardi — spiega Sabrina Loparco dell’Unione degli Universitari — perché quello che succede è che uno studente o una studentessa verrà inserito in una graduatoria nazionale sulla base del rendimento dentro quel semestre, quindi il numero di CFU e poi proprio il rendimento effettivo, quindi il voto di quell’esame, e dovrà effettivamente A) concorrere con tutti gli altri, B) non avere assolutamente la certezza che potrà restare dentro quell’università. Già il fatto di non sapere se si continuerà il percorso dentro quell’università non mette in una condizione psicologica propriamente facile. Anzi, se è possibile, diluisce l’ansia: il turbamento che solitamente precede un test si diluisce per tutto un semestre che si vive nella consapevolezza di dover competere. Anche lo studio smette di essere un piacere: diventa un “devo assolutamente passare quell’esame in quella data lì”, anche se non sono al meglio. Aprire un corso di laurea non significa unicamente eliminare il test, ma fare degli investimenti strutturali che vadano in questa direzione».

E anche se la promessa è quella di una formazione più equa, in realtà i posti disponibili resteranno gli stessi. Il rischio è quello di creare illusioni in chi inizia il percorso, salvo poi fermarsi dopo sei mesi.

«Un test ti dice subito se sei dentro o fuori — spiega Francesco Cappello, ordinario di Istologia e prorettore alla Vita studentesca dell’Università di Palermo — fare un semestre e poi non entrare è assai frustrante e potrà lasciare un senso di disagio esistenziale per tutta la vita a chi non lo supera. È un problema da non sottovalutare oggigiorno, forse il più importante».

Cappello sottolinea poi alcune criticità didattiche già note: «Le materie morfologiche, come Istologia, Embriologia medica e Anatomia umana, di cui sono docente, sembra che non saranno incluse nel primo semestre e questa è una cosa positiva perché sono materie i cui contenuti hanno una forte connotazione medica. Il problema per l’apprendimento delle nostre materie non è tanto il numero di studenti, ma il numero di ore, cronicamente poche sul territorio nazionale. Prima, Istologia e Anatomia si studiavano in almeno un anno, ora gli insegnamenti sono di poche settimane e gli studenti non hanno il tempo per maturare concetti complessi. È risaputo che, a parità di docente, più una classe è affollata meno l’insegnamento è efficace. Nel mondo anglosassone si lavora con decine di studenti, non con centinaia come in Italia. E questo è a discapito della qualità dell’insegnamento e quindi degli studenti, futuri medici».

Intanto gli atenei si attrezzano. Cristina Tassorelli, ordinaria di Neurobiologia e preside della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia, racconta uno sforzo imponente: «È difficile dare un giudizio sul positivo o negativo. Da un lato, tutti potranno studiare e prepararsi allo stesso modo, e questo è positivo. Ma purtroppo passa il messaggio che l’accesso a Medicina sia libero: non è così. I numeri di studenti che verranno presi sono gli stessi dell’anno scorso. Noi ci siamo già organizzati per accogliere il maggior numero possibile di studenti in presenza, fino a 900. Partiamo dalla convinzione che la formazione migliore si fa andando a lezione in presenza, col docente lì, con cui si può interagire. Per chi non potrà venire, trasmetteremo le lezioni in streaming e le caricheremo su una piattaforma. Le lezioni inizieranno il 1º settembre, sei ore al giorno per tutto settembre e parte di ottobre. Entro il 24 ottobre sarà completata tutta la didattica frontale. Poi ci sarà spazio per tirocini, tutoraggi, simulazioni d’esame. Abbiamo calcolato circa 3.000 esami per la prima sessione e altrettanti per la seconda, solo per Medicina. I docenti dovranno ripetere la stessa lezione anche quattro volte per coprire i canali. È uno sforzo enorme».

Ma resta sullo sfondo un paradosso: secondo uno studio Anaao-Assomed, entro il 2032 il sistema sanitario italiano potrebbe trovarsi con 60mila medici in esubero. Negli ultimi venticinque anni le immatricolazioni sono cresciute, ma i pensionamenti caleranno drasticamente: dai 5.000 attuali a meno di 2.000 dopo il 2037. «Assolutamente l’accesso libero e gratuito dovrebbe essere la prerogativa di ogni ministro — ribadisce Loparco — ma per come è messo oggi il sistema sanitario nazionale è totalmente impensabile un’apertura ad ambblé. Prima si prova ad aprire, poi il sistema non regge: mancano ospedali, docenti, strutture. È una cosa su cui noi battiamo da anni: servirebbe un’apertura completa di tutti i corsi di laurea, ma con uno studio di fattibilità concreto. Questo implica investire di più sulla sanità, e quindi toccare anche altri temi: sanità, lavoro, ricerca».

In Francia il sistema PACES prevede un anno comune con due selezioni; in Germania si entra con il voto di maturità e criteri locali; in Spagna esiste un test di cultura generale e materie scientifiche; in Albania, Slovacchia, Romania o Repubblica Ceca, l’accesso è spesso più semplice e i corsi in lingua italiana attraggono chi resta escluso in patria. E alla fine, il rischio è che la nuova formula, anziché risolvere la crisi della sanità, moltiplichi frustrazioni e illusioni.

Come cantava Pietrangeli nel ’68: “Anche l’operaio vuole il figlio dottore”, ma oggi quel sogno costa fatica, incertezza e spesso, un biglietto di sola andata per l’estero.

 

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