Sono molti i motivi per cui non si scende in piazza per Kiev. E tutti sbagliati
Replica di Coletti a Ferrario: l’antioccidentalismo, spiegato nel dettaglio, che non fa solidarizzare con gli ucraini. Come prima per il Ruanda o la Bosnia. Elementi di guerra mediatica e di strabismo morale.
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Per quanto meditato e acuto, non mi convince del tutto quello che Davide Ferrario ha scritto su questo giornale per spiegare quali sono, a suo giudizio, le ragioni della grande partecipazione popolare al dramma dei palestinesi aggrediti da Israele e di quella invece assai scarsa alla causa degli ucraini attaccati dai russi. Se, come Ferrario ha detto, è giustissimo evocare, a spiegazione dell’indignazione contro Israele, lo scandalo che nell’opinione pubblica occidentale ha suscitato il comportamento di uno Stato, che, pure, sulla carta, dice di condividere i valori politici e umanitari della cultura democratica, non mi convince limitarsi a questo nobile motivo, tralasciandone altri. Almeno l’antioccidentalismo ricorrente nelle culture di opposizione (che induce a identificare Israele con l’Occidente) e, purtroppo, l’antisemitismo endemico in tante, anche di governo, andrebbero messi in conto.
Ma soprattutto le argomentazioni di Ferrario non mi convincono quando cercano di spiegare il perché dell’indifferenza popolare per la sofferenza dell’Ucraina. Certo, si può negare che sia stata tale, ricordando, come fa Ferrario, l’accoglienza dei profughi di quel Paese, che non mi è parso però, almeno in Italia, un vasto moto popolare. Oppure la si può giustificare con la sensazione che il rapporto di forze tra i due contendenti sia meno sproporzionato e quindi l’aggressione russa sia apparsa meno scandalosa di quella israeliana perché ben contrastata dagli aggrediti. Ma mi sembra difficile sostenere che non si è manifestato pro ucraini perché Putin se ne sarebbe stropicciato. Non ha fatto lo stesso Netanyahu davanti a quelle pro Pal? Non mi persuade neppure l’idea diffusa che l’indifferenza per la causa ucraina sia stata motivata dal fatto che i governi occidentali non le hanno fatto mancare il loro appoggio. Davvero? Sono ancora lì a discuterne, se non erro. E in ogni caso è stato ed è sempre di più molto titubante e contrastato.
E se fosse invece proprio perché glielo hanno dato o promesso questo aiuto che gli ucraini non hanno scaldato il cuore della consistente componente antioccidentaleggiante delle culture della protesta? Si potrebbe fare un sondaggio di verifica, cercando di sapere quanti proUcr ci sono tra i proPal. Oppure paragonare le attenuanti ricevute da Putin al momento della sua invasione dell’Ucraina a quelle concesse a Netanyahu per la sua reazione al pogrom del 7 ottobre…
Sta di fatto che si è avuta presto la sensazione che la gente veda la resistenza ucraina come un’insistenza molesta, tra presuntuosa e piagnucolosa, che ha costi eccessivi per tutti e cui sarebbe meglio che quel popolo rinunciasse, nell’interesse proprio e dell’Europa intera. Per Zelensky, sempre a caccia di armi, sono state usate da non pochi osservatori proPal espressioni e battute ben più dure e sprezzanti che per Hamas. Ma allora non sarà che abbia agito contro gli ucraini gran parte degli stessi motivi politici e culturali che hanno giocato a favore dei palestinesi, con l’aggiunta della cristiana pietà per la ben documentata miseria di quel popolo, una povertà (per loro fortuna) non attribuibile nella stessa misura agli ucraini?
A volte per arrivare a capire meglio una cosa, serve paragonarla ad altre simili. Negli anni Novanta ci sono stati due altri tremendi genocidi: quello dei tutsi in Ruanda e dei musulmani in Bosnia. Nessuno di essi ha suscitato un’ondata di indignazione popolare paragonabile a quella a sostegno dei palestinesi; la reazione pubblica è stata semmai più simile alla modesta empatia per la tragedia ucraina. Ora, che cosa hanno in comune le tre guerre ignorate o tollerate dall’opinione pubblica occidentale, ovvero che cosa ha di diverso da esse quella palestinese che suscita tanta partecipazione? Le tre tragedie hanno in comune l’assenza di un nemico occidentale, ebreo o americano, presente invece alle spalle di quella palestinese, in cui, per di più, occidentali, ebrei e americani sembrano coincidere. Il paradigma narrativo classico, il cattivo potente e il buono inerme, nazionalizzato in Italia dai Promessi Sposi, hanno funzionato bene solo nel caso di Gaza, perché il cattivo potente preferito è da sempre l’Occidente ricco, che nell’occasione ha avuto anche il supporto del sospettabilissimo ebreo.
Forse, però, c’è anche un’altra ragione da non trascurare, proprio quella acutamente notata da Aldo Grasso sul Corriere della sera: nessuna delle guerre trascurate dall’emozione popolare è stata documentata in diretta quanto quella palestinese. Da un teatro di guerra definito unanimemente impervio all’informazione è uscita una tale quantità di immagini e testimonianze che non ha la pari in nessuno di quelli sunnominati (almeno fin che gli scontri a fuoco non si sono conclusi). La devastazione di Gaza è stata la più documentata e seguita di sempre e quindi la più offerta allo scandalo commosso della gente, di qualsiasi fede e soprattutto di quella già disposta ad antipatizzare per il ricco ebreo occidentale, il più classico dei cattivi della cultura popolare.
Qualcuno obietterà. Ma se dall’Ucraina, da dove pure è più facile trasmettere notizie, non ne sono uscite così tante e terribili come da Gaza, non sarà perché danni e morti sono stati in fondo modesti e quindi i russi sono stati meno spietati degli israeliani? Sappiamo che non è così, che i morti in Ucraina sono molti di più che a Gaza, che i danni materiali sono enormi. Forse questi morti hanno fatto meno pena perché sono stati soprattutto dei soldati, pur non essendo mancate le vittime civili? O non sarà che, se le immagini di morte sinora giunte dall’Ucraina sono meno numerose e scandalose che da Gaza, è perché gli ucraini non vogliono far sapere che perdono? Sono vittime, ma ci tengono a far credere che resistono, che si difendono; appena ottengono un piccolo successo militare lo enfatizzano e minimizzano le sconfitte sul campo. Gli ucraini per primi non hanno alimentato l’immagine di sé come vittima, ma come resistenti. Nella Striscia invece si è capito subito che denunciare il numero delle vittime (tutte classificate come civili), documentare la vastità dei danni avrebbe procurato un crescente sostegno alla causa degli aggrediti, che hanno ricevuto il soccorso morale che la generosità dell’opinione pubblica occidentale riserva alle vittime, specie da quando viste, fotografate, filmate. Il racconto della sconfitta, così accuratamente evitato dagli ucraini, ha funzionato a favore dei palestinesi. Li ha aiutati a diventare popolari. La gente ha generosamente solidarizzato con le vittime, con gli sfollati, con gli sconfitti, e neppure la pronta riapparizione delle forze armate integre di Hamas il giorno dopo la provvisoria interruzione dello sterminio ha fatto vacillare la pietà diffusa verso quel popolo di vinti.
Encomiabile generosità, ma singolare strabismo emotivo e morale, se si guarda alla freddezza popolare verso gli ucraini: le ragioni di questa mi sembrano diverse, più numerose e pesanti di quelle addotte da Ferrario.
di Vittorio Coletti su Huffpost
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