Anno: XXVI - Numero 116    
Venerdì 13 Giugno 2025 ore 14:00
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Perché il referendum sulla cittadinanza è andato peggio del previsto.

Il 34,5 per cento dei votanti si è dichiarato contrario al dimezzamento del requisito di residenza legale per diventare cittadini italiani. La prova che molti iscritti al sindacato aderiscono a una narrazione populista sull’immigrazione.

Perché il referendum sulla cittadinanza è andato peggio del previsto.

Nessuno dei cinque quesiti referendari, quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza, ha raggiunto il quorum dei cinquanta per cento dei voti più uno. L’affluenza è stata di poco più del 30 per cento. Ma se nei quattro quesiti sul lavoro ha prevalso il “sì”, in quello che riguardava la legge sulla cittadinanza oltre un votante su tre, il 34,5 per cento, si è dichiarato per il “no”.

Il quesito referendario numero cinque prevedeva il dimezzamento da dieci a cinque anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta della cittadinanza italiana, senza cambiare gli altri requisiti indispensabili per ottenerla, come conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati. Era stato proposto dal deputato Riccardo Magi di +Europa, a cui poi si sono aggiunte diverse associazioni e altri partiti, tra cui Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione e Italia Viva. Il Movimento 5 Stelle invece non aveva preso posizione.

Per non far passare un referendum abrogativo è sufficiente non andare a votare oppure non ritirare la scheda corrispondente come aveva indicato di fare la premier Giorgia Meloni. In questo caso, invece, molti hanno deciso di andare a votare per opporsi alla modifica della legge sulla cittadinanza e dire “no”. I dati dimostrano infatti che molte persone che sono andate a votare per il “Sì” nei referendum sul lavoro hanno invece votato “No” per quello sulla cittadinanza. Il 65 per cento ha votato a favore mettendo la croce sul “Sì”, mentre il 35 per cento ha scelto il “No”.

I votanti favorevoli al cambio della legge sulla cittadinanza sono stati circa 9 milioni, molto lontani da quella soglia di poco più dei 12 milioni che il Pd aveva indicato nei giorni prima del voto come segnale politico contro il governo.

Eppure, è su questo quesito che nelle ultime settimane c’è stata la maggiore mobilitazione, soprattutto tra i giovani. E il risultato è significativo anche perché indica che molti lavoratori, anche quelli iscritti alla Cgil che aveva proposto i referendum sul lavoro, hanno votato no e sono sensibili ai temi populisti anti-immigrazione della destra. In tutti gli altri quesiti sul lavoro, i sì sono stati infatti tra l’87 e l’88 per cento, mentre i no tra l’11 e il 12 per cento. Per il quesito sulla cittadinanza, i no si triplicano.

Tra Camera e Senato, ad oggi, ci sono 18 testi depositati come proposte di riforma della cittadinanza (13 a Montecitorio, 5 a Palazzo Madama), ma la discussione non è mai iniziata, ricorda Avvenire. Le proposte presentate da Forza Italia e dal Pd rimangono, su fronti diversi, le basi più vicine del confronto. Forza Italia ha puntato sullo Ius Italiae, che vuole garantire la concessione della cittadinanza a bambini e ragazzi che abbiano completato un percorso di studi obbligatorio di almeno dieci anni nel nostro Paese. Il Partito democratico vorrebbe partire dallo Ius Scholae, ma già dalle scuole dell’infanzia.

«Il tema della cittadinanza esiste e non va cancellato», spiega Paolo Emilio Russo, capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari costituzionali, «ma il referendum è stata un’arma impropria, usata male e che si è rivelata alla fine un boomerang».

I leghisti festeggiano per l’alta percentuale di “no”. E si conferma, forse al di sopra delle previsioni, quanto sia polarizzante il dibattito sui “nuovi italiani”. Non solo per gli elettori di destra – cosa prevedibile – ma anche per una parte del mondo progressista – il che era meno prevedibile.

L’inchiesta

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