Anno: XXVI - Numero 204    
Giovedì 24 Ottobre 2025 ore 14:20
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Il Consiglio europeo. Ventisette tacchini che si spartiscono angoli dell’aia

La super mega riunione di ieri tratta di guerra in Ucraina, sanzioni alla Russia, Medio Oriente, green, migranti, casa… Praticamente l’universo mondo. Ma non decide niente anche perché non ne ha i poteri. Dentro gli oscuri meandri dell’Ue.

Il Consiglio europeo. Ventisette tacchini che si spartiscono angoli dell’aia

In un’epoca in cui la politica è soprattutto fatta di annunci ricchi di promesse, è abbastanza comprensibile che la notizia del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo dell’Unione europea attiri qualche attenzione. Ma non bisogna cedere alla tentazione di aspettarsi troppo da questo incontro.

I 27 si ritrovano insieme alla presidente del Parlamento europeo, alla presidente della Commissione, all’alta rappresentante per le Relazioni esterne dell’Ue e la Politica estera, alla presidente della Banca centrale europea (e anche un invitato ingombrante: Volodymyr Zelensky) per discutere un ordine del giorno particolarmente ricco.

Guerra in Ucraina, sanzioni alla Russia (ennesimo pacchetto) e atteggiamento nei confronti dei beni russi congelati nell’Ue, guerra in Medio Oriente, transizione energetica, politiche migratorie e, infine, il contributo dell’Unione alle politiche degli alloggi.

Troppa grazia, e anzi viene da preoccuparsi per la salute mentale e fisica dei 27 alti esponenti delle politiche nazionali pensando all’immane fardello che devono sopportare in un’unica giornata di discussioni. Potevano aggiungere, già che c’erano, la fame nel mondo e la concordia universale e avrebbero fatto l’en plein.

Si comincia con la guerra tra Russia e Ucraina e, a seguire, il Medio Oriente.

Per quanto riguarda la guerra a est si è discussa la posizione dei 27 sull’utilizzo degli asset finanziari russi immobilizzati nell’Unione e sul loro uso per la ricostruzione dell’Ucraina. Ha partecipato anche Zelensky ma certo lascia un po’ perplessi il fatto che non si butti sul tavolo nessuna proposta di mediazione per una tregua, lasciando in mano il gioco, pressoché completamente, a Donald Trump. E questi ha già dimostrato, ampiamente, la sua volubilità e la sua posizione quanto meno “aperta” nei confronti di Putin. Il presidente russo può quindi sempre contare sulla incapacità dell’Unione di giocare un ruolo attivo di qualche tipo, restando il tutto limitato alle sanzioni già in essere. La posizione russa è chiara: annessione dei territori occupati, prelazione su quelli limitrofi, neutralizzazione dell’Ucraina, e al momento non si intravede nessun passo in avanti possibile. In formazione a 26, senza l’Ungheria, l’Ue ha confermato il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma resta il dubbio sull’efficacia complessiva.

Per il Medio Oriente non si sono avuti brividi particolari: si saluta la “peace within reach”, nelle parole del presidente del Consiglio europeo António Costa, ma mantenendo il dubbio se questa “pace a portata di mano” sia davvero tale o non piuttosto una illusione sempre più precaria. Vedremo cosa è in ballo e come i Paesi dell’Unione, ognuno per quanto di competenza, vorranno partecipare.

E poi, si è discussa la vecchia bestia nera del processo di integrazione europea: la difesa. Qui si toccano vette di inconcludenza difficili anche da concepire: l’odg del Consiglio parla di una profonda e accurata discussione sui progetti in essere di cooperazione europea, sulle possibili future collaborazioni, sul problema della “governance” collettiva di un dispositivo di difesa ma elude, accuratamente, il problema principale: chi comanda in maniera unica questo dispositivo e, soprattutto, per cosa deve servire una difesa europea? Parlare delle risorse da impegnare è un’arma di distrazione di massa: o si affronta il problema della politica estera europea e della voce unica dell’Unione in questo campo, dando all’alta rappresentante nuove funzioni e capacità, oppure resteremo nel campo della sommatoria delle forze nazionali, delle resistenze nazionali alla cessione di materiali e unità, del vecchio sistema antieconomico di 27 dispositivi militari che fanno tutti la stessa cosa moltiplicando i costi.

Il percorso logico per implementare una identità di difesa unica è obbligato: politica estera unica, comando unificato, esercito europeo. Invece i 27 Capi di Stato e di governo partono dal tetto: dalla integrazione delle unità militari ma non dalla creazione di una volontà politica unica; si tratta di una cortina fumogena che distrae rispetto alla priorità necessaria: un potere politico europeo in politica estera e difesa.

Sopravvivendo a queste discussioni, si è passati alla competitività e alla doppia transizione, digitale ed ecologica, secondo una agenda basata su tre priorità: semplificazione delle regole e della burocrazia, la “discussione strategica” circa gli obiettivi per la lotta al cambiamento climatico, e infine la sovranità sui temi del mondo digitale. Roba da tenere occupate una quarantina di conferenze scientifiche e quindi, di nuovo, fumo negli occhi nella immaginazione di mondi possibili. Se ne è parlato nel pomeriggio quindi l’unica speranza è che abbiano mangiato leggero vista la complessità degli argomenti affrontati. Alla discussione è stata presente anche Christine Lagarde, la presidente della Banca Centrale europea, per una sessione allargata dell’eurogruppo (i ministri delle finanze e dell’economia dei Paesi euro), che hanno allargato la discussione al ruolo della moneta unica, anche in formato digitale.

Tuttavia, emerge una certezza: dal 2035 emissioni zero, e questo è un obiettivo che viene confermato.

A questo punto siamo arrivati alla merenda pomeridiana, e ci si apre al sociale: problema dell’housing (alloggi) e immigrazione, valutando in che modo l’Unione può intervenire sulle politiche nazionali, caso per caso. Chiacchiere in libertà: di nuovo, temi che richiederebbero ben maggior tempo e confronti che non un pomeriggio d’autunno a Bruxelles.

Ma poi, un dubbio sorge a tutti quelli che seguono, sia sul piano della storia sia su quello della cronaca, questi incontri. Servono? Sono soprattutto delle photo opportunities, delle occasioni che scambiare idee e suggestioni, ma deve essere ben chiaro che i Consigli europei hanno un potere di indirizzo, non di decisione. Definiscono orientamenti, servono per fare rumore sul piano della politica nazionale (“adesso vado lassù e gliela faccio vedere io…”), ma poi le decisioni, quelle che si traducono in direttive, regolamenti, norme effettive, sono il pane del Consiglio dei ministri (i 27 ministri competenti per materia, che si riuniscono a Bruxelles anche più volte nel corso di un mese) e della Commissione, con il coinvolgimento obbligatorio del Parlamento. Nella storia dell’integrazione europea i Consigli europei e, prima di loro, i vertici (o summit) europei, così venivano chiamati, raramente hanno deciso qualcosa sul momento cambiando le carte in tavola. È successo, talvolta, con Craxi nel 1985 ad esempio, ma altrimenti si ricordano stanche liturgie di promesse e impegni che poi hanno preso corpo solo grazie al negoziato tra Commissione e Consiglio dei ministri, e dopo il 1993 tra Commissione, Consiglio dei ministri e Parlamento, fino a oggi.

Quindi non emozioniamoci molto, fino a che i 27 stati membri vorranno fare la parte del tacchino sovrano nei rispettivi angoli di aia che hanno a disposizione, una singola fattoria europea faticherà a nascere. Dovrebbero cedere più competenze, dare più poteri all’Unione (che poi è composta da loro) ma ognuno resiste di fronte alla prospettiva di perdere potere, soprattutto in quei simulacri residui di sovranità che sono rappresentati dalla politica estera e dalla difesa.

Pertanto, dobbiamo aspettare ancora prima di festeggiare la natività di un nuovo soggetto politico istituzionale. La parola non è scelta a caso: natività. Si sono mai visti i tacchini festeggiare il Natale?

di Piero Graglia su Huffpost

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