Anno: XXVI - Numero 185    
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Giustizia svenduta per poche mazzette: l’ombra del denaro sul caso Poggi

Un ex procuratore, un indagato da scagionare, un appunto su un bloc notes e soldi che spariscono dai conti: l’inchiesta di Brescia travolge Mario Venditti.

Giustizia svenduta per poche mazzette: l’ombra del denaro sul caso Poggi

Un bloc notes, una frase scarabocchiata in fretta, un nome e una cifra che sa di insulto. “Venditti / gip archivia x 20-30 euro”. Bastano queste poche parole, trovate durante una perquisizione a casa della famiglia Sempio, per squarciare il velo su uno dei capitoli più torbidi della giustizia italiana recente. Bastano per mettere in discussione anni di indagini, archiviazioni sospette e per risvegliare la rabbia di chi non si è mai rassegnato a vedere la morte di Chiara Poggi sepolta sotto coltri di superficialità e omissioni.

Oggi l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, già uomo di toga e ora presidente del Casinò di Campione, è indagato a Brescia per corruzione in atti giudiziari. Non un’accusa qualunque, ma la più infamante per chi ha servito – o avrebbe dovuto servire – la legge. L’ipotesi è devastante: Venditti si sarebbe fatto corrompere per scagionare Andrea Sempio, il vicino di casa della vittima e amico del fratello di Chiara, da tempo al centro di sospetti mai realmente approfonditi.

L’appunto ritrovato, attribuito al padre di Sempio, non è l’unico indizio. La Procura di Brescia parla di una indagine volutamente povera, zeppa di trascrizioni “sciatte” di intercettazioni e ambientali, interrogatori lampo che paiono messinscena, omissioni pesanti. Come se l’obiettivo fosse già deciso in partenza: archiviare, chiudere, sotterrare dubbi e domande. In parallelo, i conti correnti della famiglia Sempio raccontano di movimentazioni inspiegabili: assegni per 43mila euro emessi dalle zie a favore dello zio, prelievi per 35mila euro “del tutto incongrui” con l’ordinario, e una somma di circa 33mila euro volatilizzata nel nulla. Cifre che coincidono con quel misterioso “20-30” del promemoria.

Perquisizioni della Guardia di Finanza e dei Carabinieri hanno toccato tre residenze di Venditti, da Pavia a Genova fino a Campione, e le case della famiglia Sempio. Coinvolti anche due ex carabinieri della sezione di polizia giudiziaria pavese, Silvio Sapone e Giuseppe Spoto, che all’epoca furono parte attiva nelle indagini. Una rete di connivenze? Un sistema di complicità? O semplicemente troppe coincidenze per continuare a parlare di casualità?

L’indignazione monta perché qui non c’è in gioco solo un processo: c’è la credibilità stessa della giustizia italiana. Se fosse vero che un magistrato ha venduto la sua funzione per poche mazzette, allora ogni archiviazione sospetta, ogni omissione diventa una ferita alla fiducia collettiva. Non si tratta più soltanto del delitto di Garlasco, già di per sé una delle vicende giudiziarie più controverse degli ultimi vent’anni. Si tratta del principio che nessuno dovrebbe poter comprare l’impunità.

Chiara Poggi è stata uccisa il 13 agosto 2007. Da allora, processi, appelli, ribaltamenti hanno lasciato un Paese diviso e una famiglia straziata. Alberto Stasi, il fidanzato, è stato condannato in via definitiva. Ma quell’indagine parallela su Sempio, archiviata in fretta e senza convinzione, oggi riemerge come uno spettro che non smette di chiedere conto. Se davvero la giustizia è stata pilotata, se davvero un pm si è lasciato “ungere” per chiudere la porta a ipotesi alternative, allora non parliamo più solo di errori: parliamo di tradimento.

Tradimento verso Chiara, verso la sua famiglia, verso tutti i cittadini che si aspettano dalla magistratura rigore, indipendenza, onestà. Tradimento verso l’idea stessa di Stato di diritto. Non bastano i comunicati, non bastano le formule prudenti: serve una resa dei conti. Serve sapere fino in fondo chi ha mentito, chi ha coperto, chi ha incassato. Perché ogni euro che dovesse emergere in questa torbida vicenda pesa come piombo sulla memoria di una ragazza innocente e sulla coscienza di un Paese intero.

Chi ha venduto la giustizia, se lo ha fatto, non può sperare nell’ennesima archiviazione. Questa volta l’Italia guarda e pretende risposte.

 

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