Cannabis terapeutica e light, Federdolore: c'è rischio di automedicazione
Documento fa chiarezza La confusione mediatica e la poca conoscenza della sostanziale differenza tra cannabis medica e "light" crea il rischio di ricorso all'automedicazione da parte di pazienti che autonomamente decidono di affidarsi ai prodotti a base di cannabis "light" che non appartengono assolutamente al mondo della cannabis a uso terapeutico per la quale invece serve sempre la richiesta di un medico specialista e che viene presa sempre e solo in farmacia
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Questo è l’allarme e la preoccupazione espressi da Federdolore-SICD è rivolta a quanti soffrono di dolore cronico che decidono di affidarsi autonomamente ai prodotti a base di cannabis “light”. Il trattamento medico esiste e funziona, sottolinea una nota dal Congresso Nazionale in corso a Roma in questi giorni (15-17 maggio) con dosaggi e prescrizioni fatti solo da medici specialisti e acquistabile solo in farmacia, bisogna fare chiarezza e offrire indicazioni precise in merito. «La confusione mediatica si sta rivelando controproducente soprattutto per coloro che soffrono (o non sanno ancora di soffrire) di dolore cronico che sono circa 15 milioni di italiani- spiega Giuliano De Carolis, Presidente Federdolore-Sicd. Tra questi potenzialmente ritroviamo anche chi potrebbe decidere di risolvere il problema della sofferenza assumendo cannabis light. Il “pasticcio” deriva dallo stesso nome della pianta che, in ambito medico, viene trattata, lavorata ed estratta in modo completamente diverso, secondo criteri molto severi di assoluta sicurezza e sterilità. Il derivato medico della pianta di canapa non è un farmaco ma un antichissimo fitoterapico con diverse concentrazioni ditetraidrocannabinolo (Thc) e cannabidiolo (Cbd),che devono essere valutate e prescritte solo da un medico specialista». Ed è con questo obiettivo di chiarezza che una Commissione multidisciplinare composta da specialisti di diverse branche (neurologia, psichiatria, psicologia, medicina legale, farmacia, tossicologia, anestesia, farmacologia, tossicologia) è stata nominata da Federdolore a seguito di un lavoro durato 6 mesi che ha prodotto un documento di raccomandazioni indirizzato ai medici prescrittori. «Questo documento analizza l’uso terapeutico della ‘cannabis medica’ distribuita unicamente dalle farmacie ospedaliere e territoriali autorizzate. Questo documento non prende in considerazione l’uso della cosiddetta ‘cannabis light’- continua De Carolis -che invece notoriamente si può comprare nei negozi commerciali privati senza nessuna prescrizione medica. Infatti, tutto ciò che viene venduto in questi negozi non appartiene assolutamente al mondo della cannabis medica a uso terapeutico per la quale invece serve sempre la richiesta di un medico specialista e che viene presa sempre e solo in farmacia». Esistono indicazioni ben precise per l’utilizzo della cannabis medica, come ad esempio dopo il fallimento del trattamento farmacologico tradizionale o a seguito di effetti collaterali importanti. La scelta della prescrizione deve anche tenere conto di fattori legati all’età, sofferenze cardio-respiratore, problemi al fegato.«Si tratta di un trattamento che noi definiamo di “secondo livello”, che attiva meccanismi cerebrali che influiscono in maniera positiva sul controllo del dolore. Al paziente viene spiegato e fatto firmare un consenso informato- conclude De Carolis -in cui sono indicate le limitazioni dovute al dosaggio della cannabis medica, come ad esempio la guida dell’auto, sospensione di attività lavorative ad alto rischio o alto livello di concentrazione».
Fonte. Medicina33
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