Dimissioni, non meno di 15 giorni per l'assenza ingiustificata
Il Ministero del lavoro risponde alla richiesta di chiarimenti del Cno anche sugli effetti scaturenti in caso di mancato ripristino del rapporto di lavoro.

Il limite legale dei quindici giorni di assenza ingiustificata, decorso il quale scatta la risoluzione di fatto del rapporto di lavoro, “opera in via residuale, in assenza di previsione contrattuale. Tuttavia, l’espressione utilizzata dal legislatore (art. 19, L. n. 203/2024) per la quale il termine deve ritenersi in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, ha fatto propendere per la considerazione, di prudenza, della non agibilità della previsione di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva”. È quanto chiarisce il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella lettera indirizzata al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che, lo scorso 2 aprile, aveva chiesto chiarimenti in merito ad alcune indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 6/2025 sulle disposizioni previste dal Collegato Lavoro in relazione alle dimissioni per fatti concludenti. Nonostante l’articolo 19 non preveda “espressamente” l’inderogabilità del termine dei quindici giorni – precisa il Ministero – la norma non consente “interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore”. Sui dubbi espressi dal Cno sulle conseguenze per mancato ripristino del rapporto di lavoro, il Ministero evidenzia la necessità di distinguere tra le diversi ipotesi prospettate. Di conseguenza, se “superato il termine per l’assenza ingiustificata e comunicata la circostanza all’Ispettorato territorialmente competente, quest’ultimo verifichi l’insussistenza dei presupposti richiesti dal nuovo comma 7-bis dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015, il rapporto di lavoro dovrà pur sempre essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro”. Ma se quest’ultimo non ritiene valide le ragioni del lavoratore, il rapporto di lavoro non potrà ricostituirsi in automatico. Nel caso, invece, in cui il lavoratore, dopo l’avvio della procedura di cui al nuovo comma 7-bis, “ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo, comunichi le proprie dimissioni, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento”. In caso di dimissioni per giusta causa – prosegue il Dicastero – la verifica della sussistenza delle ragioni che hanno portato al recesso del lavoratore potrà essere oggetto in un successivo contraddittorio tra le parti, anche in sede giudiziale.
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