Medicina, il 90% non supera i “test filtro”: il futuro degli ospedali e il problema del ricambio generazionale.
Chi ci curerà? Ciò che è successo nei tre test della facoltà di Medicina che dovevano funzionare come filtro dopo il primo semestre, rappresenta una mannaia sul futuro.
Negli ultimi 20 anni 131mila medici hanno lasciato il Paese per andare a lavorare all’estero. Oggi, nelle corsie degli ospedali, il 44 per cento dei camici bianchi ha più di 55 anni, il 20 addirittura più di 65. Entro un decennio circa 39mila andranno in pensione. E già si stima una carenza di 30mila camici bianchi in corsia. In alcune specialistiche la mancanza di medici è gravissima. Vale per i pronto soccorso (servono 3.500 specialisti), per anestesia, rianimazione, radiologia. Ci sono regioni come la Calabria che per coprire i posti vacanti chiamano medici da Cuba. E non va meglio negli studi dei medici di base: erano 42mila nel 2019, oggi sono 37mila ed entro il 2027 ne andranno in pensione 7.300. Alla luce di questi numeri, ciò che è successo nei tre test della facoltà di Medicina che dovevano funzionare come filtro dopo il primo semestre, rappresenta una mannaia sul futuro: il 90 per cento non ha superato le prove nelle materie di Chimica, Biologia e Fisica. Spiega Anaao-Assomed, associazione sindacale dei dirigenti medici: «Alla prima sessione di tre esami di 31 domande ciascuno, secondo i dati diffusi dai singoli atenei, tra l’83 e il 92 per cento dei 53.033 studenti (per 19.707 posti disponibili), non ha superato il punteggio minimo obbligatorio». I picchi riguardano proprio Fisica. Ora c’è lo spettro dei ricorsi: ne sono già stati presentati 8mila, il sistema può andare in tilt. Rapido recap: Medicina era a numero chiuso all’ingresso. Da quest’anno è stata applicata la riforma che non limita le iscrizioni, ma frappone un filtro con i test di verifica perché sono stati programmati 19mila posti. Ad affrontarli sono stati in 53mila: con la percentuale così bassa di successo, non sarà raggiunto neppure l’obiettivo minimo. Ci sarà un secondo appello, il 10 dicembre, chi lo fallirà, sarà fuori. Altro problema: l’esito del secondo appello causerà nuove polemiche, perché alimenterà il dubbio che per non svuotare il serbatoio di Medicina siano stati allentati i criteri. Già oggi paghiamo gli effetti di un numero insufficiente di medici in alcuni reparti perché si è creato un imbuto formativo; per i medici di famiglia c’è l’allarme rosso visto che sono sempre di meno e sempre più anziani; la fuga verso l’estero e il settore privato è inarrestabile; il ricambio atteso con le nuove generazioni sembra essersi ingolfato. Spiega il professor Walter Ricciardi, presidente del “Mission Board for Cancer” istituito dalla Commissione Europea: «A mio avviso, più che a un deficit numerico siamo di fronte a un problema di serietà nell’approccio formativo dei futuri medici. Ma diventa anche un problema numerico per il fatto che il 20 per cento dei nuovi medici se ne va via, in gran parte all’estero». Paolo Petralia è presidente vicario di Fiaso, la federazione delle aziende ospedaliere. Su ciò che è successo nei test filtro di Medicina dice: «I dati emersi dalla prima sperimentazione del semestre valutativo devono far riflettere. Questa riforma nasce con l’intento, condivisibile, di rendere più oggettivo e meritocratico l’accesso. Tuttavia, la percentuale molto alta di esclusi rischia di trasformare un modello inclusivo in una nuova forma di selezione rigida. Il problema principale oggi non è tanto il numero di medici in senso assoluto, quanto il fatto che sempre meno professionisti scelgono di lavorare stabilmente nel Servizio Sanitario Nazionale. È essenziale che la formazione sia qualificata, sì, ma anche finalizzata a costruire una vera filiera: dall’università al Servizio sanitario nazionale. Nel nostro Paese si formano ogni anno migliaia di medici, ma molti – comprensibilmente – scelgono altre strade: il privato, l’estero, o forme di lavoro meno gravose rispetto alle attuali condizioni del Ssn». Detto in un altro modo: dobbiamo preoccuparci perché l’esito dei test rallenta la formazione di nuovi medici, ma anche perché quelli che arriveranno a fine percorso poi non andranno a lavorare negli ospedali pubblici.
Secondo l’ultimo rapporto Censis «l’Italia continua a invecchiare rapidamente. Le persone dai 65 anni in su rappresentano il 24,7 per cento della popolazione (14,6 milioni); erano il 18,1 nel 2000 (10,3 milioni) e il 9,3 nel 1960 (4,6 milioni)». Una popolazione più anziana ha maggiore necessità di rivolgersi al medico di base o andare in ospedale. Ma se i medici vanno in pensione senza essere sostituiti, un sistema già in crisi (vedi liste d’attesa e carenza di posti letto) affonda. Petralia: «Le conseguenze di una disconnessione tra università e sistema sanitario sono già visibili: reparti in affanno, copertura insufficiente nei pronto soccorso, difficoltà a garantire la medicina territoriale. Se non interveniamo adesso, tra 5 o 10 anni rischiamo una sanità pubblica in grave crisi strutturale, non per mancanza di medici, ma per mancanza di condizioni che li motivino a restare nel sistema pubblico». E qui torna utile un passaggio sulla sanità del rapporto Censis diffuso ieri: «Il 91,2 per cento dei medici ritiene che lavorare nel servizio sanitario nazionale sia diventato più difficile e stressante. Sono 22.049 gli episodi di aggressione registrati in un anno contro medici, infermieri e operatori sanitari».
Ancora: il 66 per cento dei medici «non ha tempo sufficiente per dialogare con pazienti e familiari» e il 65,9 lavora in strutture «con gravi carenze di personale». Ecco, c’è urgenza di forze fresche, ma l’esito dei test filtro di Medicina non alimenta l’ottimismo. Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed e Giammaria Liuzzi, responsabile Anaao Giovani, scrivono in una lettera inviata a Quotidiano Sanità su ciò che è successo ai test filtro: «La causa della debacle non può essere attribuita a un’epidemica ignoranza dei giovani iscritti a medicina, ma è piuttosto il risultato di un semestre filtro male organizzato, con aule strapiene e l’obbligo di troppe lezioni a distanza, con studenti catapultati in un impianto fasullo di formazione e selezione, che peraltro in Francia (dove si sta decidendo di abbandonarlo) ha dimostrato essere deleterio».
