Salvini al bivio
Tra la fedeltà alla maggioranza e la tentazione di marcare il dissenso, il leader della Lega tiene in ostaggio Meloni: intercetta i voti filorussi e anti-Ue ma non può permettersi di far cadere il governo. I nodi, presto o tardi, verranno al pettine.
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Matteo Salvini torna a piantare paletti dentro la maggioranza. Il leader della Lega, dopo settimane di tensioni sotterranee, sceglie di alzare la voce sui temi più delicati per Palazzo Chigi: la guerra in Ucraina, l’invio di armi, i rapporti con Mosca. Una presa di distanza che ha un obiettivo chiaro: intercettare la fascia di elettorato contraria alla linea atlantista e filoeuropea, evitando che scivoli verso il Movimento 5 Stelle. Salvini presidia quello spazio politico, ma senza rompere. Perché, nonostante le schermaglie, la Lega resta decisiva per tenere in piedi la maggioranza e una crisi di governo non conviene né a lui né a Giorgia Meloni.
La premier osserva la manovra con attenzione. Da un lato, le sortite del vicepremier rischiano di indebolire l’immagine di compattezza che Fratelli d’Italia vuole trasmettere in Europa e agli alleati. Dall’altro, paradossalmente, Salvini le torna utile: è lui a dare voce al malcontento diffuso su armi, sanzioni e rapporti con Bruxelles, mantenendo dentro la coalizione un pezzo di opinione pubblica che altrimenti potrebbe scivolare nell’area dell’opposizione.
Il margine però è stretto. Salvini è stretto tra due pressioni opposte: da un lato l’anima di piazza, identitaria e sovranista, che lo spinge a differenziarsi; dall’altro la Lega dei governatori del Nord e degli amministratori, che guarda con crescente insofferenza a mosse considerate dannose per il radicamento del partito nei territori produttivi. Anche per questo il leader non ha mai davvero forzato la mano: quando si tratta di votare, alla fine si allinea.
La partita resta aperta. Finora Salvini ha scelto di cedere sul punto decisivo, limitandosi a segnali e dichiarazioni. Ma se un giorno decidesse di irrigidirsi e mettere il governo davanti a un aut aut, lo scenario cambierebbe radicalmente. Perché Giorgia Meloni non può fare a meno dei voti leghisti e Salvini, allo stesso tempo, non può permettersi di far cadere il governo. È un equilibrio fragile, destinato prima o poi a essere messo alla prova. Con i nodi che, inevitabilmente, arriveranno al pettine.
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