La politica migratoria non può passare dalle aule giudiziarie
La recente sentenza della Corte di Giustizia UE, accolta con entusiasmo da alcuni ambienti politici, pone interrogativi seri sul rapporto tra diritto e democrazia. Quando la giurisdizione si sostituisce alla politica, il rischio è che una deriva tecnocratica svuoti il ruolo dei parlamenti.
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La recente sentenza della Corte di Giustizia UE, accolta con entusiasmo da alcuni ambienti politici, pone interrogativi seri sul rapporto tra diritto e democrazia. Quando la giurisdizione si sostituisce alla politica, il rischio è una deriva tecnocratica che svuota il ruolo dei parlamenti.
E in più se è carta straccia la lista dei paesi sicuri approvata in Italia lo stesso varrà per Germania e Francia e altri paesi europei. In questo contesto che senso ha il regolamento di Dublino che impedisce la circolazione dei richiedenti asilo? Se la lista dei paesi insicuri è europea i richiedenti devono essere liberi di stabilirsi in Europa. O debbono essere confinati in Italia, con annessa violazione della libertà di movimento? Assisteremo ad un veloce cambiamento delle regole europee perché nessuno vuole il dentro tutti indiscriminatamente!!
E si arriverà all’assurdo di un cittadino ebreo francese che scappa da un quartiere “ostile” di Parigi, determina che la Francia sia un paese non sicuro? Se un qualsiasi stato di diritto che aderisce a tutti i trattati di protezione internazionale, ma che non protegge a sufficienza i propri cittadini, specie i ceti più svantaggiati è da considerarsi insicuro?
C’è un entusiasmo fuori luogo che accompagna, in queste ore, l’ultima decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di immigrazione. Un entusiasmo che rischia di offuscare il vero nodo della questione: può la politica migratoria europea essere definita per via giudiziaria? La risposta, per chi ha a cuore il principio di rappresentanza democratica, dovrebbe essere chiara: no.
I giudici europei applicano il diritto comunitario vigente, com’è giusto che sia. Ma se le norme europee producono effetti politici contrari alla volontà espressa dagli elettorati, il problema non è la Corte: è l’architettura istituzionale dell’Unione. Gli elettori europei hanno dimostrato, in modo crescente, di non volere più tolleranza verso la migrazione irregolare. Continuare a delegare alle Corti decisioni su materie così sensibili significa ignorare la sovranità popolare. E alimentare quella disaffezione che sta portando, in tutta Europa, alla crescita di forze populiste.
Si aggiunge un secondo elemento, troppo spesso trascurato: la CGUE opera in assenza di un vero bilanciamento politico a livello sovranazionale. L’Unione, nata su basi economiche, resta un’entità giuridicamente vincolante ma politicamente fragile. Non ha una magistratura unificata, né una difesa comune, né tantomeno un’autorità legislativa dotata della piena legittimità democratica. In questo vuoto, l’azione delle corti — seppur legittima — rischia di trasformarsi in surroga della politica.
Lo ha ricordato recentemente Claudio Cerasa: quando la giurisdizione si espande su scelte ad alta intensità politica, come l’immigrazione, si indebolisce la responsabilità democratica degli organi eletti. Il diritto deve essere applicato, ma la politica va rispettata. E la politica, in democrazia, è figlia del voto, non delle sentenze.
Infine, l’asimmetria tra Stati membri non è solo una percezione. Francia e Germania esercitano da anni una forma di “sovranismo europeo”, piegando gli strumenti dell’Unione ai propri interessi. È un europeismo a geometria variabile, che mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni comuni e rende più profonda la frattura tra centro e periferia.
Discutere una sentenza senza conoscerne le motivazioni è sbagliato. Ma esultare per una decisione che scavalca i governi democraticamente eletti, come fanno oggi alcuni settori della sinistra, è un errore ancora più grave. Significa indebolire il principio di responsabilità politica. E preparare il terreno per reazioni ben più radicali.
Occorre riportare equilibrio tra poteri. Il diritto comunitario va rispettato, ma anche aggiornato laddove non rispecchia più il sentimento comune. E, soprattutto, va preservato il ruolo delle istituzioni democratiche. Perché non può essere la Corte di Giustizia a decidere, da sola, quale direzione debba prendere l’Europa.
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