Il naufragio rosso nelle Marche
Il centrosinistra perde malamente nonostante il “campolargo”: Pd inchiodato, M5S e Avs irrilevanti, astensione record. Il voto marchigiano certifica il fallimento della linea Schlein e apre crepe pesanti in vista di Campania, Toscana, Puglia e Calabria.
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La sconfitta se la sono cercata. I partiti del centrosinistra, pur ricomposti nella formula del “campolargo”, non sono riusciti a strappare le Marche. I dati parlano chiaro: Fratelli d’Italia si conferma forza leader della coalizione di governo con il 28,1%, mentre il Pd guidato da Elly Schlein rimane inchiodato al 22,8%, senza slancio, penalizzato dal risultato deludente del M5S di Giuseppe Conte e dall’irrilevanza di Avs di Fratoianni e Bonelli.
Il quadro è aggravato dall’astensione. Alle urne si è recato appena il 50,01% degli elettori, contro il 59,74% del 2020. Significa che oltre 660 mila marchigiani hanno votato, ma quasi altrettanti hanno scelto di restare a casa. Non è la destra ad averli allontanati, bensì il centrosinistra, incapace di motivare chi, deluso e disilluso, non trova più un motivo per alzarsi dal divano.
La campagna elettorale non ha aiutato. Sul finale, la linea del centrosinistra si è spostata su Gaza e sulla politica internazionale, trascurando i temi concreti che toccano la vita quotidiana: carovita, liste d’attesa negli ospedali, tasse in crescita. Una scelta incomprensibile, che ha lasciato campo libero alla destra di Giorgia Meloni, capace di presentarsi come forza coesa e “patriottica” proprio mentre il fronte opposto mostrava divisioni e incertezze.
Sul versante centrista, nessuna traccia. La predicata “tenda” riformista-moderata di Renzi, Bettini, Guerini e Onorato non ha lasciato alcun segno. L’operazione è rimasta senza appeal, non ha raccolto fiducia né consenso, confermando l’irrilevanza di quell’area che pure si propone come alternativa al populismo di destra e al massimalismo di sinistra.
Il vero nodo, però, resta la leadership. L’“unità dell’opposizione” invocata a più riprese si regge su un equilibrio precario, e il voto marchigiano rischia di accelerare le fratture interne. In Campania, soprattutto, si annuncia il redde rationem: Schlein e Conte dovranno decidere se mettere fine ai contrasti con Vincenzo De Luca, governatore potente e ingombrante, o se consegnare la regione alla destra. Toscana, Puglia e Calabria non promettono minori tensioni.
Intanto, sul versante avversario, Meloni appare pronta a giocare una partita più larga. In Veneto, con ogni probabilità, concederà alla Lega di Salvini un candidato di bandiera come Alberto Stefani, pupillo di Zaia, garantendo però che non vi siano liste concorrenti capaci di rosicchiare voti. Una prova di generosità calcolata, che rafforzerà la tenuta della coalizione.
Il problema del Pd, e più in generale del campo progressista, resta sempre lo stesso: la comunicazione. Elly Schlein non riesce a “bucare lo schermo”, non scalda il cuore dell’elettorato, non parla alla pancia del Paese. L’eloquenza ruvida e popolare di Giorgia Meloni la sovrasta senza fatica. E mentre la premier costruisce una narrazione efficace, la segretaria dem appare impacciata, distante, prigioniera di un linguaggio elitario.
La domanda a questo punto è inevitabile: se davvero Schlein dovesse essere accompagnata verso l’uscita dal Nazareno, chi potrebbe sostituirla? Le “teste d’uovo” del partito – Franceschini, Guerini, Bonaccini – non hanno ancora trovato un nome capace di unire visione, oratoria e popolarità. Eppure senza una leadership forte, trascinante, capace di parlare al Paese, il centrosinistra rischia di ripetere la stessa scena in Campania, Toscana, Puglia e Calabria: una disfatta annunciata.
Per ora resta una certezza: il voto marchigiano è un campanello d’allarme fragoroso. E se il centrosinistra non saprà cambiare passo, Meloni e i suoi Fratelli possono già cominciare a brindare.
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