Anno: XXVI - Numero 149    
Mercoledì 31 Luglio 2025 ore 13:45
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Europa debole, Europa inutile?

L'Europea sembra più una chimera che un progetto concreto. E intanto pagano i cittadini.

Europa debole, Europa inutile?

Qui l’economia non basta più a spiegare né a giustificare. L’Europa si è costruita come un’unione di mercati, non di popoli. E ora che la storia chiama a scelte politiche vere, la risposta è afona, dettata da compromessi deboli, pressioni incrociate e interessi divergenti.

Se l’Unione Europea è solo una somma di debolezze, allora non è un’Unione. È un involucro, un contenitore vuoto. E la recente vicenda dei dazi e delle spese militari lo dimostra: l’Italia resta a secco, mentre si accetta senza battere ciglio la linea di Washington, veicolata da una Von der Leyen sempre più ostaggio di Meloni e delle sue ambizioni di mediazione transatlantica.

Il costo ricade sui cittadini: aumento delle bollette, spese militari crescenti, tagli al welfare. Un 15% di dazi e un 5% di riarmo che non colpiscono i governi, ma le famiglie. L’illusione di un’Europa capace di difendere i suoi membri si infrange, ancora una volta, sulla dura realtà dei fatti.

È un fallimento che affonda le sue radici negli anni Sessanta, quando la Francia di De Gaulle ostacolò l’integrazione politica in favore di una cooperazione economica. Da allora, si è preferito il PIL al popolo, il libero scambio alla solidarietà. E il risultato è che oggi, di fronte a crisi sistemiche, ci si scopre incapaci di una risposta comune.

La Costituzione Europea è naufragata vent’anni fa sotto i “no” di Francia e Olanda. Da allora si continua a inseguire una “unità politica” come se fosse una favola a lieto fine, mentre la realtà si fa ogni giorno più disillusa. I partiti sovranisti crescono perché riempiono il vuoto lasciato da Bruxelles.

Vale ancora la pena crederci? Forse sì. Ma non più come un atto di fede. Senza un cambio di passo deciso, realistico, coraggioso, l’unità politica dell’Europa rimarrà solo un’altra promessa da campagna elettorale. O peggio: una nuova forma di retorica istituzionale, stanca e autoreferenziale.

 

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