Barchette verso Gaza: propaganda a vela e martiri fai-da-te Invece di aiuti veri, mettono in mare ego e telecamere.
E intanto il teatrino della politica italiana si sposta dal porto di partenza al palcoscenico internazionale.
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Barchette verso Gaza: propaganda a vela e martiri fai-da-te
Invece di aiuti veri, mettono in mare ego e telecamere. E intanto il teatrino della politica italiana si sposta dal porto di partenza al palcoscenico internazionale.
«Perché dovrei scendere?», domanda retorica di Marco Croatti, senatore del M5S. Domanda che fotografa in maniera perfetta la natura del problema: questa spedizione di barche verso Gaza non è una missione umanitaria, ma un set cinematografico in cerca di protagonisti. Con tanto di copione già scritto: eroi improvvisati che si imbarcano contro ogni ragionevole avvertenza, un pubblico a casa diviso tra applausi e fischi, e soprattutto i riflettori accesi sul palcoscenico politico.
Direi che l’unica cosa è lasciarli al loro destino, sono tutti adulti e vaccinati.
Questa è incoscienza, non solidarietà.
La verità, banale quanto indigesta, è che quegli aiuti non arriveranno mai. O se arriveranno, saranno quantitativamente irrilevanti, simbolici fino alla caricatura. Gaza non si salva con qualche cassa stipata su barchette di fortuna, sotto la minaccia costante di essere fermate in mare. Si salva, se mai, con canali diplomatici, corridoi negoziati, vie ufficiali. Tutto il resto è sceneggiato.
Il punto è che Avs, M5s e un Pd a rimorchio scelgono di appoggiare l’iniziativa non per convinzione, ma per paura di sembrare meno “solidali” degli altri. Una competizione al rialzo che rischia di trasformarsi in roulette russa. Perché nella migliore delle ipotesi finirà in un nulla di fatto; nella peggiore, metterà davvero a rischio vite umane, trasformando un manipolo di militanti in aspiranti martiri.
La novità politica, rispetto al passato, è evidente: il governo Meloni si muove in sintonia con Mattarella, mentre il Pd e i suoi alleati scelgono di marciare in senso opposto. Una rottura dello schema tradizionale, dove il centrosinistra era sempre in perfetta armonia con il Quirinale. Questa volta no: a spingersi verso il radicalismo non è il centrodestra, ma l’altra parte dello schieramento. Con conseguenze tutte da valutare sulla sostenibilità istituzionale del sistema politico italiano.
Perché se Meloni e Tajani, paradossalmente, stanno riuscendo a normalizzare perfino Salvini, Conte e compagni stanno invece estremizzando la loro postura. Trasformano la politica estera in un campo di battaglia simbolico, in cui l’unica moneta di scambio è il consenso interno.
Ma proviamo per un attimo a spostare lo sguardo. Se lei fosse a Gaza, senza casa, senza cibo, sotto i bombardamenti, quanto le interesserebbero le vicende di queste barchette? Le importerebbe più il rifornimento di grano, elettricità, medicine, che magari potrebbero arrivare attraverso il patriarcato latino o altre vie ufficiali, oppure la passerella di politici e attivisti in cerca di telecamera? Diciamolo con onestà: di fronte alla fame e alle macerie, nessuno pensa alle imprese epiche di chi arriva con una quantità irrisoria di aiuti.
C’è un retrogusto beffardo in tutto questo. Gaza sopravvive da decenni grazie agli aiuti internazionali, con o senza guerre. Eppure ogni volta la comunità internazionale si divide tra chi vuole usare quella sofferenza come arma politica e chi, dall’altra parte, sfrutta il dramma per auto-rappresentarsi come benefattore. Nel mezzo, resta la popolazione civile, ostaggio di propaganda a più livelli.
L’ironia della storia è che quando Israele si ritirò da Gaza, lasciando anche moderne infrastrutture agricole, queste furono distrutte invece di essere utilizzate. Oggi, dopo anni di isolamento, il territorio è ridotto in macerie e la politica italiana pensa di poterlo salvare con un paio di barche e qualche intervista. È un’illusione grottesca.
Rispetto chi si mette in gioco in prima persona. Ma il coraggio non basta se è mal indirizzato. Questa missione non serve a portare aiuti, serve a creare un incidente diplomatico. E ciò, paradossalmente, non è a favore dei palestinesi, ma contro i loro interessi più immediati: perché ogni provocazione rischia di irrigidire ancora di più Israele, complicando ulteriormente la possibilità di far arrivare davvero cibo e medicinali.
Alla fine, resta il sospetto che l’obiettivo sia solo “fare pubblicità a se stessi”. Una pubblicità di bassa lega, fatta sul dolore degli altri. E qui sta il vulnus politico più grande: se anche la solidarietà diventa spettacolo, allora abbiamo perso il senso delle istituzioni, il rispetto della tragedia altrui e perfino la misura del ridicolo.
Vedremo dove ci porterà questo schema nuovo, in cui il governo si veste da istituzione responsabile e l’opposizione gioca al radicalismo di facciata. Intanto, però, le barchette salpano. Non per portare aiuti, ma per navigare in diretta TV.
Nel momento in cui qualunque nave militare di qualunque paese entra in acque che Israele considera proprie, e in cui è comunque in atto un conflitto, ci si deve aspettare una reazione ostile. Quanto ai corridoi umanitari, alle opposizioni nostrane non va bene quanto proposto dal Patriarcato di Gerusalemme?
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