3 miliardi per un posto a tavola vicino a Trump mi sembra un tantino esagerato
Il governo Meloni, in sintonia con la Presidenza della Repubblica, rappresenta oggi il punto di equilibrio più avanzato sul tema della difesa per un Paese con le caratteristiche dell’Italia.
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Soprattutto considerando che, all’opposizione, il massimo della riflessione strategica è che “se vuoi la pizza, devi preparare la pizza”.
Gli ostacoli alla nascita di una difesa comune europea non sono contingenti, ma strutturali. Risiedono nella natura stessa dell’Unione Europea e nel funzionamento delle democrazie che ne fanno parte. L’UE è nata rinunciando alla sovranità politica, scegliendo l’integrazione economica sotto l’ombrello militare statunitense. Da qui la retorica dell’“Europa potenza civile”, spesso usata per nobilitare l’assenza di una reale capacità strategica.
Ma non può esistere una difesa comune senza una politica estera comune. L’ostacolo è politico. Anche leader europeisti come Scholz e Macron si muovono in una logica che privilegia l’interesse nazionale. Scholz ha avviato un programma di riarmo per fare della Germania la prima potenza militare europea. Macron solo a parole ha ipotizzato di condividere la forza nucleare francese.
Senza un chiaro consenso elettorale, la difesa comune è solo un’ipotesi di scuola. A meno che l’Europa non si trovi a fronteggiare una minaccia esistenziale percepita come tale dalla maggioranza dei suoi cittadini — cosa che oggi accade solo nel Nordest del continente.
In questo contesto, l’Italia ha una specificità: è l’unico Paese europeo in cui l’opinione pubblica è apertamente ostile a qualsiasi idea di riarmo. Meglio dunque il pragmatismo del governo Meloni che l’infantilismo retorico di chi si rifugia negli slogan da assemblea scolastica.
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