Nel 2050 il rapporto tra pensionati e lavoratori sarà di 1 a 1
Il 29 maggio 2025 l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha presentato, in un convegno al Cnel a Roma, il suo numero monografico sul cambiamento demografico nella realtà italiana: prospettive, cause e conseguenze.
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L’Inapp, attraverso i migliori studiosi della demografia, è giunto alla conclusione che nel 2050 il rapporto tra pensionati e lavoratori sarà di 1 a 1 con la conseguenza, aggiungo io, che gli attuali sistemi previdenziali, basati sul sistema di finanziamento a ripartizione, non saranno più sostenibili.
L’Italia è il primo paese al mondo che, nella prima metà degli anni ‘90, ha assistito al sorpasso degli over 65 sugli under 15.
Siamo il terzo paese più popoloso della UE, con una densità di abitanti per chilometro quadrato tra le più elevate, ma dagli anni ‘70 siamo scesi sotto al tasso di sostituzione tra le generazioni.
Dai tempi dell’unità d’Italia non abbiamo mai fatto così pochi figli e da oltre un decennio abbiamo iniziato a decrescere, dopo aver toccato, a fine 2013, il record storico della più alta popolazione (Fonte: Comunicato Inapp).
Fra le tante relazioni monografiche, propongo qui una parte di quella dei professori Paolo Quercia e Federico Sacchi che mi sembrano ben in grado di documentare la situazione italiana.
«4. Italia, la culla vuota dell’Europa
In questo contesto globale ed europeo, la situazione demografica dell’Italia è estremamente particolare e delicata. Siamo il terzo Paese più popoloso dell’Unione europea, abbiamo una densità di abitanti per chilometro quadrato tra le più elevate al mondo, ma come mostrato nella figura 4 già dagli anni Settanta siamo scesi sotto al tasso di sostituzione tra le generazioni.
Dall’Unità d’Italia non abbiamo mai fatto così pochi figli e da quasi un decennio abbiamo iniziato a decrescere, dopo aver toccato, a fine 2013, il record storico della popolazione. Nella figura 4 si può osservare l’evoluzione della popolazione italiana dal 1960 al 2023. Si vede bene la fase di crescita della popolazione tra gli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, seguito da un plateau di stagnazione della popolazione di quasi venticinque anni, fino al 2002 quando si registra una certa ripresa della crescita, in gran parte dovuta all’accentuarsi del fenomeno migratorio, che ha comportato un contributo significativo a compensazione del saldo naturale (differenza tra nati e morti) che già da un decennio era quasi sempre negativo. La stagnazione demografica del ventennio 1980-2000 è certamente da attribuirsi alla caduta del tasso di fecondità sotto il tasso di sostituzione, avvenuto per la prima volta nella storia d’Italia nel 1977. Si può chiaramente osservare che, quando il tasso di fecondità era sopra la soglia di sostituzione, la popolazione italiana è cresciuta di 6 milioni di persone in 16 anni, raggiungendo i 56 milioni nel 1977. Per passare da 56 a 60 milioni di abitanti ci sono voluti invece ben 38 anni. Nella figura 4 si evidenzia, nel 2013, l’ultimo anno di crescita della popolazione, prima di iniziare la discesa demografica iniziata nel 2014. Il massiccio contributo migratorio netto, di quasi 4 milioni di persone tra il 2002 ed il 2013 (Istat 2023; Cnel 2024), ha aumentato la popolazione assoluta, ma non ha contribuito a invertire la tendenza demografica complessiva. La fecondità è aumentata in questo periodo da 1,3 a poco più di 1,4 per poi tornare a scendere a 1,2, dove si trova tuttora.
Le previsioni demografiche che attendono il nostro Paese mostrate nella figura 5 vedono un imminente effetto ‘valanga di neve’ in cui apparentemente piccoli, sottovalutati, ma costanti cambiamenti nella natalità possono generare effetti esponenziali sul numero totale della popolazione, creando una spirale negativa estremamente difficile da invertire, anche perché la denatalità del passato determinerà in futuro un calo nella stessa popolazione di potenziali genitori.
L’Italia ha necessità assoluta di riportare stabilmente e rapidamente il tasso di fecondità totale almeno sopra 1,5 figli per donna. Solo in questo modo si potrà attenuare il piano inclinato che, dopo il 2050, vedrà il Paese decrescere verso i 50 milioni di abitanti a fine secolo.
Dal punto di vista quantitativo il crollo delle nascite ha portato il saldo naturale a essere negativo per la prima volta (dopo il biennio 1917-1918) a partire dal 1993, ed è rimasto tale fino ad oggi, con uniche modeste eccezioni nel 2004 e 2006 (figura 6).
Nel 1964 l’Italia aveva toccato un milione di nati che, a fronte di una mortalità attestatasi attorno al mezzo milione, garantiva un saldo ‘tesoretto’ di crescita della popolazione pari a circa mezzo milione di persone. La caduta verso il basso dei nuovi nati per effetto dei cambiamenti sociali e culturali nel Paese, per cui gli italiani hanno iniziato a fare sempre meno figli e sempre più tardi, ha portato nel 1993 al pareggio del rapporto tra nati e morti. Dopo questa data, il trend negativo è proseguito e si è consolidato portando, specie a partire dal 2008, a una forbice che si è sempre più allargata, arrivando nel 2023 a contrapporre 380 mila nascite a 661 mila decessi. Peraltro, i dati provvisori dei primi 11 mesi del 2024 segnano un ulteriore calo del 3% circa nei nati e lasciano immaginare un saldo annuo negativo per circa 250 mila unità.
Un aspetto particolare della questione demografica italiana è legato alla sua asimmetrica distribuzione territoriale. Difatti l’Italia è un Paese ad alta densità abitativa e fortemente antropomorfizzato, con un numero di abitanti per chilometro quadrato, pari a 200, superiore alla Francia e alla Spagna (figura 8).
Tuttavia, la concentrazione della popolazione in alcune province e regioni è estremamente disomogenea, come si evidenzia dalla figura 7 in cui le province e le regioni con una densità abitativa superiore alla media nazionale sono riportate in blu.
È interessante osservare l’evoluzione nell’arco di un secolo del peso demografico dell’Italia rispetto all’Europa e al Mondo. Come mostrato nella tabella 3, nel 1975 in Italia viveva l’11% della popolazione europea e l’1,4% di quella mondiale. Nel 2075 il peso demografico relativo dell’Italia rispetto all’Unione europea e rispetto al Mondo dovrebbe scendere rispettivamente all’8,8% e allo 0,4%.
Appare evidente quanto questo scenario di decrescita demografica relativa sia preoccupante per il futuro del Paese, non solo dal punto di vista economico interno ma anche da quello politico internazionale, in quanto sussiste una chiara relazione tra peso demografico e ruolo politico nel mondo degli Stati. Tale rapporto è, ad esempio, formalmente riconosciuto nei meccanismi politici dell’Unione europea dove la regola della doppia maggioranza nei meccanismi di voto del Consiglio della UE prevede una maggioranza qualificata del 65% della popolazione dell’Unione.
La particolarità della situazione demografica dell’Italia nel contesto europeo è aggravata dalla combinazione del drastico calo delle nascite, di cui si è detto, con un’elevata emigrazione giovanile che, dal 2012, ha determinato una perdita di oltre 600 mila persone (Istat 2024)4.
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4 I Paesi di destinazione sono prevalentemente Regno Unito, Germania e Svizzera.
In un contesto di natalità cronicamente bassa è fondamentale attuare efficaci politiche giovanili per contrastare il brain drain e la perdita di capitale umano, soprattutto se qualificato. Nella figura 9 sono evidenziati i Paesi dove sono emigrati più di 20 mila italiani nel ventennio 2002-2022.
Conclusioni.
Dalla popolazione al ‘capitale umano tecnologico’: il ruolo della nuova politica industriale
I cambiamenti demografici che l’Italia sta attraversando da alcuni decenni vedono il nostro Paese dirigersi rapidamente verso uno scenario di una molto probabile riduzione del nostro peso politico internazionale e di forte rischio di stagnazione economica, entrambi causati da una prolungata decrescita della popolazione. Un’Italia sempre più piccola in un mondo che corre verso i 10 miliardi di abitanti è uno scenario negativo sotto ogni punto di vista, dallo sviluppo economico, alla tenuta del sistema pensionistico, alla capacità di difesa, alla pressione migratoria fino alla stabilità socioeconomica interna. Non potendo alterare nel breve termine questo scenario è necessario prendere consapevolezza della dimensione storica della sfida e prendere sul serio la necessità di attuare immediatamente politiche demografiche di contrasto alla denatalità, anche nella consapevolezza che il declino demografico non è un destino ma una scelta. Tuttavia, affinché queste politiche siano sostenibili economicamente e producano gli effetti desiderati di contrasto al depopolamento dell’Italia, esse vanno affiancate con politiche economiche e industriali di nuovo tipo, che affrontino il problema della crescita in un Paese con una popolazione in diminuzione. I cambiamenti demografici in corso spingono necessariamente verso un mondo della produzione in cui una forza lavoro numericamente inferiore, ma più qualificata e meglio retribuita, lavora più a lungo in sistemi industriali fortemente automatizzati e digitalizzati. Il possibile rischio di una futura deindustrializzazione non sarà la conseguenza esclusivamente del depopolamento, ma del non aver risposto a questa sfida con l’elevazione formativa e tecnologica del capitale umano.
Questo nuovo paradigma deve spingere le nuove politiche industriali a rispondere, in maniera simultanea e coerente, a due principali fabbisogni delle economie, quali la contrazione della forza lavoro e l’aumento della complessità tecnologica. L’obiettivo centrale delle politiche sarà rappresentato dalla massimizzazione delle competenze del capitale umano in un sistema industriale fortemente concentrato sull’innovazione tecnologica, prioritizzando l’impiego delle nuove tecnologie nei settori che hanno maggiore capacità di accrescere il valore aggiunto, la produttività e, di conseguenza, i salari reali. I sistemi industriali del futuro non dovranno più puntare sulla quantità ma sulla qualità, al fine di vincere la competizione con quei Paesi che avranno una maggiore disponibilità di forza lavoro. La creatività e l’innovazione dei giovani dovranno essere incentivate e premiate, sia nel mondo dell’educazione che del lavoro, perché sono la vera risposta alla scarsità delle risorse umane.
L’inverno demografico verso cui il nostro Paese si sta dirigendo può essere mitigato bloccando la decrescita della popolazione con politiche della natalità, affiancandole con politiche integrate di transizione verso un modello industriale costruito attorno ad una alleanza tra tecnologia, formazione e imprese. Un’alleanza complessa che ha bisogno di uno Stato stratega in grado di costruire i ponti necessari tra politiche pubbliche diverse ma, mai come in questo momento storico, complementari.»
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