Anno: XXVI - Numero 245    
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Il XV rapporto adepp sulla previdenza privata per il 2025

Il Rapporto, curato dal Centro studi Adepp, è stato presentato in questi giorni ed è pubblicato sul sito istituzione dell’Adepp. Si tratta di un tomo di 135 pagine, ricco di numeri e di grafici, che invito a leggere, con le slides illustrative.

Il XV rapporto adepp sulla previdenza privata per il 2025

Come sempre però mancano tre dati che sono:

– l’ammontare dei crediti contributivi delle Casse verso gli iscritti (al capitolo 5 non se ne parla proprio);

– la quantificazione del debito previdenziale latente;

– il funding ratio, come il rapporto tra la patrimonializzazione e il debito previdenziale latente.

Sui crediti contributivi degli iscritti, ho già scritto nel mio “I crediti contributivi delle Casse di previdenza” (https://www.mondoprofessionisti.it/primo-piano/i-crediti-contributivi-delle-casse-di-previdenza/)

Sul debito previdenziale latente: si veda al link https://www.mondoprofessionisti.it/intervento/il-debito-pensionistico-implicito-nelle-stime-eurostat/

Ua contribuzione previdenziale si configura come un contratto che vede l’iscritto maturare un “diritto”, cioè ricevere la pensione, e l’Ente Previdenziale assumere un “obbligo”, cioè corrispondergli la pensione, secondo regole in gran parte prestabilite. Per “Debito previdenziale” si intende il valore economico totale del debito che l’Ente di Previdenza ha contratto verso gli iscritti, sia quelli che non hanno ancora maturato i requisiti per andare in pensione, sia quelli che lo sono già e che continueranno a percepirla. Al fine di onorare questo debito, l’Ente fa affidamento sulle contribuzioni previdenziali degli iscritti attivi, sul patrimonio nel tempo accumulato e sui versamenti delle future generazioni di iscritti attivi. (Vocabolario della Previdenza).

“Lo schema redistributivo delle risorse monetarie prevede, per gli Enti previdenziali, un ciclo finanziario invertito per cui le entrate (contributi) precedono di molto tempo le uscite (pensioni). Vista la rilevanza costituzionale della funzione pubblica esercitata, in questo ampio lasso di tempo deve essere data ampia garanzia agli aderenti al sistema di poter recuperare in periodo di quiescenza i contributi versati in età lavorativa. Durante questo periodo infatti l’Ente matura un debito nei confronti dei propri iscritti, misurato sulla base delle proprie regole di calcolo, che diventa poi esigibile all’atto del pensionamento.

Si comprende quindi come i debiti complessivi maturati in ciascun istante dalle Casse di Previdenza non si limitino a quelli già liquidati ai pensionati sotto forma

di rendita previdenziale, ma comprendano anche i ratei di pensione maturati dai

lavoratori attivi fino all’età di pensionamento. Si parla di debito latente in riferimento alla sommatoria complessiva delle due componenti. Tale valore non è

esplicitato nel Bilancio civilistico che si limita a riservizzare un importo pari almeno al 95% delle entrate nette contributive e finanziarie al lordo delle prestazioni: questa misura, certamente utile alla progressiva ricapitalizzazione del sistema, risulta pero inadeguata allo scopo di quantificare il reale valore del debito attualizzato in capo all’Ente. Ad esempio, per la CDC il valore della “riserva legale per prestazioni previdenziali” nel Bilancio 2022 e pari ad euro 10,4 miliardi mentre il reale valore del debito latente complessivo ammonta, secondo i nostri calcoli, a circa euro 18,4 miliardi. L’unica condizione normativa di salvaguardia (del tutto anacronistica) e quella per cui il totale del Patrimonio Netto deve mantenersi al di sopra di cinque volte le pensioni correnti (oggi pari a circa trenta volte!).

Per tale ragione la vigilanza ed il monitoraggio degli Enti privatizzati di previdenza obbligatoria avviene sulla base delle risultanze dei Bilanci attuariali redatti con orizzonti temporali di lunghissimo periodo. Questo tipo di analisi, a carattere fortemente previsivo, richiederebbero un approccio molto prudenziale e comunque scontano l’impossibilita di prevedere con precisione tutti gli andamenti demografici, finanziari ed economici che lo compongono. La loro funzione e piuttosto quella di indicare una direzione da monitorare con assidua frequenza al fine di poter tempestivamente intervenire con i necessari correttivi in caso di scostamenti o shock esogeni.

Sulla base delle suesposte considerazioni riteniamo che il sistema di vigilanza e controllo esterno, espletato dalla amministrazione pubblica, possa/debba essere affiancato da un impianto di controllo di gestione interno attraverso opportuni indicatori volti a misurare nel tempo lo stato di salute finanziaria dell’Ente. Lo scopo e quello di dare garanzia, per tutti gli iscritti e in ciascuna epoca, di completa restituzione di quanto fino ad allora maturato. (Fonte: Attuario prof. Alessandro Trudda in Centro Studi CDC, Quaderno 01/2023).

Per quanto riguarda il debito previdenziale conosco quello della Cassa dei commercialisti, che ha un funding ratio superiore al 60% e se occupa funditus, e conosco quello di Cassa Forense, che ha un funding ratio inferiore al 40% (Nel 2023 risultava pari al 38,1%, confermando il trend di crescita degli ultimi anni. Il Funding ratio è calcolato anche da Link Consulting Partners, in qualità di Risk Advisor, applicando ipotesi più propriamente finanziarie; risulta pari al 52,80% nel 2024, in crescita rispetto al 2023 di oltre 10 punti percentuali).

Il Report, comunque, offre però alcune valutazioni che reputo molto interessanti.

Alla pag. 76, trovate scritto che: “In valori deflazionati, le contribuzioni medie sono cresciute significativamente, (+ 47%) passando da € 4.046,00 a € 5.958 tra il 2005 e il 2024, evidenziando un miglioramento della capacità contributiva degli iscritti e l’adeguamento delle aliquote. Al contrario, le prestazioni IVS medie per beneficiario hanno registrato un aumento reale del 2,79%.”

Per l’Adepp la divergenza tra la crescita reale delle contribuzioni medie (+ 47%) e l’incremento contenuto delle prestazioni IVS reali (+ 2,79%) evidenzia un assetto previdenziale orientato alla sostenibilità di lungo periodo, in cui il rafforzamento delle entrate consente di preservare il valore reale delle prestazioni senza generare pressioni squilibranti sulla dinamica della spesa.

Ma si può anche dire che il sistema delle Casse di previdenza viene mantenuto in asse con l’aumento, progressivo, dei contributi obbligatori, mentre le prestazioni riescono solo a mantenere inalterato il loro potere di acquisto.

Alla pag. 29 si definisce l’indice di dipendenza Adepp.

Questo indicatore misura il rapporto tra il numero di pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti e tutti i contribuenti attivi, ivi compresi i pensionati attivi che nelle Casse è dimostrato avere un ruolo fondamentale: infatti i dati mostrano come questa fascia di professionisti continui ad esprimere una capacità reddituale significativa, contribuendo sia alla produzione di reddito sia al finanziamento del sistema previdenziale.

Un dato che chi invoca la cancellazione dagli Albi per i pensionati, dovrebbe tenere in debita considerazione.

Questo indicatore offre una valutazione diretta del carico previdenziale sui lavoratori attivi, ed è un elemento chiave per stimare la sostenibilità economica degli enti previdenziali privati.

L’andamento dell’indice di dipendenza, di cui alla figura 2.6 del Rapporto, a pag. 30, mostra un aumento graduale, riflettendo la crescita del numero di pensionati rispetto a una platea di contribuenti attivi che si sta riducendo in termini relativi.

Come dire, in parole più semplici, che si va verso il rapporto di un professionista iscritto verso un pensionato il che, nel sistema di finanziamento a ripartizione, fa esplodere il sistema stesso!

L’indice di dipendenza Adepp segue lo stesso andamento dell’indice di dipendenza dell’ISTAT, dato che i due sistemi convergono verso problematiche comuni: un numero crescente di individui anziani rispetto ai giovani e un carico previdenziale sempre più gravoso sulle generazioni attive.

In tale contesto, scrive l’Adepp, “La proposta – che periodicamente qualcuno suggerisce – di prevedere l’accorpamento delle Casse, per fronteggiare il rischio di contrazione demografica nel mondo professionale, avrebbe unicamente un effetto compensativo di breve periodo senza, in realtà, configurare una reale soluzione sistemica. Tentare di unificare Casse caratterizzate da categorie professionali, età degli iscritti e dinamiche contributive molto eterogenee, rischierebbe di non migliorare la situazione, ma anzi di amplificare le complessità gestionali. Le specificità delle diverse Casse – legale alla tipologia di professione, ai redditi medi, ai percorsi formativi e all’età di pensionamento – richiedono interventi mirati e calibrati sulle peculiarità di ciascun gruppo. Una gestione unificata potrebbe invece diluire l’efficacia delle strategie individuali, riducendo la capacità di risposta alle esigenze specifiche degli iscritti e compromettendo l’equilibrio del sistema complessivo.”

È sin troppo facile ribattere che proprio l’indice di dipendenza Adepp, dimostra esattamente il contrario e cioè che siamo di fronte a un numero crescente di professionisti anziani, rispetto ai giovani, con un carico previdenziale sempre più insostenibile sulle generazioni attive.

In questo quadro solo l’unione delle forze può cercare di arginare i due fenomeni che sono esplosivi per ogni sistema previdenziale e che sono l’effetto combinato, da un lato dell’inverno demografico, quanto alle nascite, e dall’altro l’allungamento della vita probabile, al pensionamento.

Come ha ricordato la Ministra Calderone “La vera inclusione si fa attraverso il lavoro. Il lavoro è l’elemento unificante non bisogna dividere i lavoratori e le lavoratrici.”

Questo richiede politiche di incentivazione alle nascite e politiche dirette ad aumentare il volume d’affari dei professionisti e una migliore distribuzione dei redditi, sia sul territorio che tra i generi.

Nel 2024 i redditi medi dei professionisti del Sud sono inferiori del 46% rispetto al Nord, mentre la differenza tra Centro e Nord è del 19%, con una disparità di genere persistente in tutte le macroaree geografiche.

L’analisi di genere di pag. 52 attesta che “il dato complessivo, al 2024, fa registrare una differenza di reddito pari a circa il 46%”.

Per quanto riguarda il reddito medio dei liberi professionisti Adepp, la tabella 3.1, di pag. 48, evidenzia la decrescita iniziata nel 2010 che sino al 2016 ha comportato una diminuzione di circa il 12%, per fortuna con una variazione che è tornata positiva nel 2017 con una ripresa significativa negli anni 2023 e 2024.

La tabella pubblicata da Adepp ha evidenziato la maggiore capacità reddituale di chi esercita una libera professione (€ 47.601 per il 2024), rispetto al dipendente privato (€ 24.768) e al dipendente pubblico (€ 37.262), ma deve essere contestualizzata tenendo conto delle fluttuazioni più marcate che caratterizzato i redditi professionali, rispetto alla stabilità tipica dei salari dipendenti.

Significativa la sproporzione reddituale tra i professionisti del nord (reddito medio € 57.296) rispetto al centro (reddito medio € 48.836) e al sud (reddito medio € 33.692) e di genere.

Sull’accorpamento delle Casse, per ragioni di economia di scala (le economie di scala sono i risparmi che si verificano quando un’entità cresce di dimensioni e può produrre in modo più efficiente, o a costi inferiori) , si pensi solo al risparmio di spese amministrative di cda, assemblee di delegati e collegi sindacali per il loro funzionamento, è vero che le Casse professionali (regolate dai D.lgs. 509/1994 e 103/1996) godono di autonomia gestionale e finanziaria, che permette loro di calcolare contributi e prestazioni in base alle dinamiche reddituali e ai rischi specifici di ogni categoria (es. avvocati, ingegneri, medici).

È vero che hanno diversità dei sistemi di calcolo: nel 2025, mentre alcune casse completano il passaggio al sistema contributivo (come la Cassa Forense dal 1° gennaio 2025), altre mantengono regimi di calcolo e aliquote soggettive differenti (che variano significativamente tra le diverse gestioni).

È però, altrettanto vero, che l’unificazione è spesso avversata perché, cancellerebbe molte rendite di posizione e diluirebbe il principio di solidarietà interna alla singola professione, rischiando di penalizzare le categorie con bilanci più solidi o patrimoni più consistenti (che nel 2025 hanno superato i 125 miliardi di euro complessivi).

Ed è proprio qui che servirebbe uno sforzo visionario sul futuro per contrastare ciò che nuoce gravemente alla salute di ogni sistema previdenziale, vale a dire l’inverno demografico e l’aumento della speranza di vita, al pensionamento.

Da soli si va verso il tracollo, uniti, si può tentare di contrastare il fenomeno.

Nella sostanza l’auspicio lo colgo anche nelle considerazioni dell’On Freni per il quale:

“Questo Rapporto – ha concluso il Sottosegretario on. Freni – non è soltanto una raccolta di dati, ma un invito alla riflessione e al dialogo tra istituzioni, professioni e decisori pubblici. Comprendere le dinamiche in atto significa costruire politiche più eque ed efficaci, in grado di valorizzare il contributo dei liberi professionisti e di rafforzare il loro ruolo in una società in continuo cambiamento. Con questo spirito, il lavoro dell’AdEPP si conferma un punto di riferimento autorevole e una base solida per affrontare le sfide presenti e future del sistema previdenziale e del mondo delle professioni”.

Per concludere questo excursus, ho posto questa domanda alla IA di Google:

Se il rapporto tra attivi e pensionati è di 1 a 1 nel sistema di finanziamento a ripartizione si va al tracollo?

che così risponde:

“Un rapporto di 1 a 1 tra lavoratori attivi e pensionati in un sistema previdenziale a ripartizione (dove le pensioni odierne sono pagate dai contributi attuali) rappresenta una condizione di estrema criticità, spesso definita come il “punto di rottura” della sostenibilità finanziaria. Ecco le conseguenze principali e le sfide che ne derivano:

  1. Il cuneo contributivo insostenibile

In un sistema a ripartizione, la formula semplificata è:

Contributi degli attivi = Spesa per le pensioni.

Se c’è un solo lavoratore per ogni pensionato, quel lavoratore dovrebbe versare una percentuale del proprio stipendio pari all’importo della pensione erogata. Se la pensione media fosse l’80% dell’ultimo stipendio, l’aliquota contributiva dovrebbe salire all’80%, lasciando al lavoratore solo il 20% del reddito. Questo è economicamente e socialmente impraticabile.

  1. Squilibrio dei conti pubblici

Quando i contributi versati non bastano più a coprire le prestazioni, lo Stato deve intervenire tramite la fiscalità generale (tasse). Questo sottrae risorse ad altri settori vitali come sanità, istruzione e infrastrutture, o costringe all’aumento del debito pubblico.

  1. Le leve di correzione (Riforme)

Per evitare il tracollo totale, i governi sono solitamente costretti ad agire su tre fronti:

  • Innalzamento dell’età pensionabile: Per ridurre il numero di pensionati e aumentare quello degli attivi.
  • Riduzione degli assegni: Passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo (come avvenuto in Italia), che lega la pensione ai contributi effettivamente versati.
  • Aumento della produttività: Se i lavoratori producono più ricchezza, possono sostenere costi pensionistici più alti, ma questo richiede una crescita economica costante che l’Europa fatica a mantenere.
  1. Il contesto italiano

L’Italia è tra i paesi più vicini a questa soglia. Secondo le proiezioni attuali dell’ISTAT e dell’INPS, il rapporto attivi/pensionati è previsto scendere verso livelli prossimi all’1:1 nei prossimi decenni a causa del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione.

In sintesi, senza una crescita della base occupazionale o un aumento significativo della natalità/immigrazione regolare, un rapporto 1:1 rende il sistema a ripartizione tecnicamente insolvente senza tagli drastici alle prestazioni o sussidi massicci dallo Stato”.

Ecco perché sarebbe fondamentale conoscere i dati relativi al debito previdenziale latente e al funding ratio, per capire se la patrimonializzazione potrà sopperire al saldo previdenziale negativo!

Perché i Ministeri Vigilanti e le altre Autorità di controllo sulle Casse di Previdenza non si fanno carico del problema?

La scienza economico-finanziaria insegna che un sistema a capitalizzazione garantisce rendimenti maggiori di uno a ripartizione se e solo se il rendimento ottenibile investendo sui mercati finanziari (r) e maggiore della somma del tasso di crescita dell’occupazione (n) e del tasso di crescita dei salari (m).

Questo perché, nel lungo periodo, il sistema a ripartizione dipende dalla crescita demografica e salariale, mentre quello a capitalizzazione si basa sull’accumulo di capitale e sui rendimenti finanziari.

Intelligenti pauca!!

 

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