Anno: XXVI - Numero 246    
Martedì 23 Dicembre 2025 ore 12:30
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Cassa Forense: la riliquidazione della pensione di vecchiaia

Dove il contributo del 3% deve essere calcolato.

Cassa Forense: la riliquidazione della pensione di vecchiaia

La Suprema Corte di cassazione, con le sentenze dd. 12.12.2025 n. 32497 e 32499, è tornata sulla nota  questione confermando i precedenti e cioè che l’avvocato ha diritto alla riliquidazione della pensione di vecchiaia, previa rivalutazione dei propri redditi a partire dal 1980, secondo l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e 1980, pari al 21,1%, anziché a partire dal 1981, secondo l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1981, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1981, pari al 18,7%, come applicato invece da Cassa Forense e rinviando alla Corte di Appello di competenza per accertare se il mancato versamento della rivalutazione al 21,1%, rispetto al 18,7%, sui contributi, sia dovuto ad un errore non imputabile all’avvocato ,in base all’art. 1218 c.c.

Nella motivazione, questa volta, la Suprema Corte ha affermato che “l’inadempimento nemmeno può essere sanato dal fatto che siano stati poi pagati i contributi di cui all’art. 10, comma 1, lettera b), [Art. 10 Contributo soggettivo Il contributo soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla Cassa e di ogni iscritto agli albi professionali tenuto all’iscrizione è pari alle seguenti percentuali del reddito professionale netto prodotto nell’anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell’IRPEF e dalle successive definizioni: a) reddito sino a lire 40 milioni: dieci per cento; b) reddito eccedente lire 40 milioni: tre per cento. È in ogni caso dovuto un contributo minimo di L. 600.000. Il contributo di cui ai commi precedenti è dovuto anche dai pensionati che proseguano nell’esercizio della professione] nonché il contributo integrativo dell’art. 11. Nel caso di specie rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell’art. 10, essendo tale obbligazione l’unica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (si veda l’art. 2, comma 2, che richiama la sola lettera a) dell’art. 10, comma 1).”

Per l’avvocato, titolare di un reddito superiore al tetto pensionabile, avanti al Giudice di rinvio sarà facile dimostrare di non essere inadempiente, perché la forchetta mancante, che va dal 18,7% al 21,1%, e quindi pari al 2,4%, risulta inferiore al 3%, mentre l’avvocato ha versato il 3% sopra il tetto pensionabile che dovrà essergli riconosciuto, imputandolo a contributo soggettivo sino al tetto pensionabile.

Questo il ragionamento tecnico a supporto della conclusione.

La sentenza della Corte di cassazione afferma il principio di corrispettività tra prestazione previdenziale e contribuzione, stabilendo che, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia forense, devono essere presi in considerazione i redditi sui quali sia stata effettivamente versata contribuzione soggettiva, ai sensi dell’art. 10, primo comma, lettera a), della legge n. 576/1980.

Su questo principio io ho sempre concordato, tanto è vero che il mio caso in Cassazione si è concluso, per me positivamente, con la sentenza 24445/2025 del 03.09.2025, senza rinvio.

Tale principio deve essere correttamente inteso e rigorosamente circoscritto al suo ambito applicativo, che riguarda esclusivamente la determinazione del reddito medio pensionabile di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, in combinato disposto con la disciplina del tetto reddituale di cui all’art. 10, senza possibilità di estensione automatica alla fase di liquidazione della prestazione pensionistica.

Va infatti precisato che, per effetto della corretta applicazione della rivalutazione ISTAT ai tetti reddituali, una porzione di reddito che, secondo i conteggi originari della Cassa, risultava collocata nella fascia eccedente il tetto pensionabile, rientra a pieno titolo nella fascia pensionabile. Tale fenomeno non comporta alcuna modificazione del reddito complessivamente dichiarato dal professionista, ma esclusivamente una diversa allocazione dello stesso tra le fasce rilevanti ai fini previdenziali.

La porzione di reddito così ricondotta entro il tetto pensionabile non può, però, ritenersi priva di copertura contributiva, poiché su di essa il professionista ha comunque assolto l’obbligazione contributiva nella misura del 3% prevista per la fascia eccedente. Detta contribuzione integra a tutti gli effetti una contribuzione effettivamente versata e giuridicamente rilevante, che deve essere necessariamente valorizzata, ai fini del calcolo del reddito medio pensionabile.

In termini sostanziali e di fatto (riservato al giudice di merito…), l’innalzamento del tetto pensionabile determina dunque lo spostamento di una parte di reddito dalla fascia b) alla fascia a) di cui al primo comma dell’art. 10 della legge n. 576/1980. Tuttavia, su tale porzione di reddito il professionista ha già assolto l’obbligazione contributiva nella misura del 3%. Poiché il contributo soggettivo pieno previsto per la fascia a) è pari al 10%, l’eventuale differenza contributiva non può che riguardare la sola aliquota residua del 7%, e non l’intero contributo del 10%. Ne discende che l’ampliamento della quota a) non risulta scoperto dal punto di vista contributivo, ma è già coperto, quantomeno, nella misura del 30% mediante i versamenti effettuati ai sensi della lettera b) dell’art. 10, con la conseguenza che l’eventuale onere sopravvenuto è esclusivamente di natura differenziale e non integrale.

Qualora si ritenga che l’integrazione della contribuzione fino all’aliquota piena del 10% non sia più giuridicamente esigibile, in quanto riferita a periodi ormai prescritti, tale circostanza non può in alcun modo giustificare l’esclusione del reddito dal calcolo del reddito medio pensionabile. L’impossibilità di integrazione non trasforma, infatti, una contribuzione parziale in una contribuzione inesistente.

Il principio affermato dalla Cassazione, non consente di azzerare o espungere dal calcolo pensionistico redditi che risultino coperti, anche solo parzialmente, da contribuzione effettivamente versata. Esso impone, al contrario, di valorizzare ciò che è stato concretamente e legittimamente versato, senza introdurre effetti ablativi, non previsti dalla legge.

Ne consegue che, qualora la porzione di reddito che, per effetto della corretta rivalutazione ISTAT del tetto pensionabile, transiti dalla fascia b) alla fascia a) sia, a titolo esemplificativo, pari a euro 10.000, tale importo non può essere considerato integralmente privo di copertura contributiva. Su detta porzione di reddito, infatti, il professionista ha già versato il contributo del 3% previsto per la fascia eccedente, equivalente, quantomeno, al 30% del contributo pieno del 10%, ma si dovrà tener conto-posizione per posizione-di quanto 3% versato sopra il tetto. Pertanto, ai fini del calcolo del reddito medio pensionabile, a fronte di una porzione aggiuntiva di reddito pari a euro 10.000, deve essere quantomeno computata una quota di reddito proporzionalmente coperta, pari a euro 3.000, in aggiunta al reddito già originariamente integralmente coperto dalla contribuzione del 10%, da aumentare a seconda di quanto 3% versato sopra il tetto.

Una volta determinato il reddito medio pensionabile ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 576/1980 (FASE 1 del calcolo), si apre una fase del tutto autonoma e distinta, disciplinata dall’art. 2, comma 5, della medesima legge (FASE 2), relativa alla trasformazione del reddito medio in prestazione pensionistica.

La FASE 2 è governata da una formula legale di liquidazione, che prevede la suddivisione del reddito medio in scaglioni e l’applicazione a ciascuno di essi delle aliquote di rendimento stabilite dalla legge, scaglioni che devono essere correttamente rivalutati secondo gli indici ISTAT. Tale meccanismo è strutturalmente indipendente dalla misura della contribuzione versata dal singolo iscritto e non presenta alcun rinvio all’art. 10 né al concetto di copertura contributiva di cui all’art. 2, comma 2.

Su tale metodo di calcolo si sono già pronunciate le sentenze di primo grado, confermate in appello, le quali hanno espressamente affermato che la rivalutazione ISTAT nella misura del 21,1%, correttamente applicata, non incide soltanto sul tetto pensionabile, ma si estende necessariamente anche agli scaglioni di cui all’art. 2, comma 5, della legge n. 576/1980, ampliandone la base di applicazione. Tali statuizioni non mi risulta siano state oggetto di impugnazione sul punto e sono pertanto passate in giudicato.

Ne consegue che il diritto alla corretta applicazione della rivalutazione sugli scaglioni, nonché all’utilizzo delle aliquote di rendimento nella loro corretta estensione, costituisce un diritto ormai acquisito e inopponibile, sul quale la sentenza della Corte di Cassazione non ha in alcun modo inciso, non avendo essa statuito sulla FASE 2 del calcolo pensionistico.

In definitiva, le statuizioni della Cassazione producono effetti esclusivamente sulla FASE 1 del calcolo pensionistico, mentre restano del tutto estranee alla FASE 2, già definita in primo grado con formazione del giudicato. Qualsiasi diversa interpretazione finirebbe per attribuire alla sentenza di legittimità un’estensione non consentita, in violazione della struttura bifasica del sistema di calcolo e dei limiti oggettivi del principio di diritto affermato.

Si precisa che la rivalutazione corretta al 21,1% degli scaglioni di cui al comma 5 dell’art. 2 della legge n. 576/1980 comporta che una porzione maggiore del reddito medio pensionabile venga assoggettata alle aliquote di rendimento più elevate, secondo la progressione stabilita dal legislatore e, in particolare, all’aliquota dell’1,75% per il primo scaglione, dell’1,50% per il secondo scaglione e dell’1,30% per il terzo scaglione.

Ne consegue che l’aumento degli scaglioni, derivante dalla corretta rivalutazione, produce un effetto diretto sulla misura della pensione, in quanto consente l’applicazione delle aliquote più favorevoli su una base reddituale più ampia, in conformità alla formula legale di liquidazione e indipendentemente dalle questioni attinenti alla copertura contributiva, che restano circoscritte alla sola determinazione del reddito medio pensionabile.

Venendo così meno ogni ipotesi di inadempimento, svanisce anche l’eccezione di prescrizione sollevata da Cassa Forense!

 

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