PAGAMENTI PA, SVOLTA A METÀ
Chiarezza normativa, ma restano disparità.
La riformulazione dell’emendamento a firma del senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, segna un passaggio rilevante nel dibattito sui pagamenti della Pubblica amministrazione ai professionisti. Un intervento che il suo promotore definisce di “equilibrio e buon senso”, capace di rafforzare l’efficacia della riscossione senza compromettere la continuità dell’attività professionale, ma che continua a sollevare forti perplessità tra le categorie coinvolte, le quali denunciano il permanere di una disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori e creditori della Pa.
Il via libera della Commissione Bilancio riguarda una riscrittura mirata della norma contenuta nella manovra economica, con un intervento diretto sull’articolo 48-bis del Dpr 602 del 1973. Il cuore della modifica è il superamento del generico riferimento alla “regolarità degli obblighi fiscali”, formula ritenuta ambigua e potenzialmente foriera di blocchi automatici dei pagamenti anche in presenza di contenziosi non definiti. Al suo posto, la verifica viene circoscritta alle sole cartelle esattoriali iscritte a ruolo relative ai tributi erariali. Un chiarimento che, nelle intenzioni del legislatore, punta a ridurre l’incertezza applicativa e a garantire maggiore certezza del diritto, evitando interpretazioni arbitrarie da parte delle amministrazioni.
Un secondo elemento qualificante dell’emendamento riguarda la soglia dei 5.000 euro. Per i compensi professionali, tale limite non trova più applicazione ai fini dell’attivazione della verifica: ciò significa che il controllo potrà scattare anche per importi inferiori. Tuttavia, ed è questo uno dei punti su cui Calandrini rivendica il carattere equilibrato della norma, il blocco del pagamento non sarà più integrale, ma limitato esclusivamente all’importo effettivamente iscritto a ruolo. In altre parole, il professionista avrà comunque diritto a ricevere la parte eccedente rispetto al debito fiscale accertato. Resta invece ferma la disciplina generale per i compensi superiori a 5.000 euro: se il debito iscritto a ruolo supera tale soglia, il pagamento viene bloccato integralmente; se è inferiore, l’erogazione può proseguire.
Secondo il presidente della V Commissione di Palazzo Madama, la riformulazione rafforza la capacità dello Stato di recuperare i crediti senza introdurre automatismi sproporzionati e senza mettere a rischio la sopravvivenza economica dei professionisti che lavorano con la Pubblica amministrazione. Una lettura che, però, non convince pienamente le rappresentanze professionali, pur riconoscendo che il testo approvato costituisce un miglioramento rispetto alla versione originaria della manovra.
Il Consiglio nazionale forense, per voce del suo presidente Francesco Greco, parla apertamente di una sperequazione che resta intatta. La norma, secondo gli avvocati, continua a discriminare i liberi professionisti rispetto ai lavoratori dipendenti, configurando una disparità di trattamento che rischia di porsi in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. Greco ha annunciato che, una volta entrata in vigore la disposizione, verranno valutati eventuali profili di incostituzionalità, aprendo così alla possibilità di un ricorso.
Un giudizio articolato arriva anche da Confcommercio Professioni. La presidente Anna Rita Fioroni riconosce che l’emendamento Calandrini rappresenta un passo avanti rispetto alla proposta iniziale, soprattutto perché supera l’onere, definito irragionevole, di dimostrare la regolarità fiscale posto in capo ai professionisti. Il riferimento a un impianto normativo già esistente rende la verifica più oggettiva e, almeno nelle intenzioni, più semplice. Tuttavia, la delusione per l’impostazione complessiva della manovra resta: secondo Confcommercio, ci si sarebbe aspettati misure di incentivo al lavoro autonomo, non interventi percepiti come ulteriori vincoli. Fioroni segnala inoltre che l’introduzione della verifica anche per compensi inferiori a 5.000 euro, con il possibile blocco in presenza di cartelle scadute di qualsiasi importo, riguarda esclusivamente i professionisti e potrebbe creare difficoltà soprattutto a chi ha redditi più bassi.
Sulla stessa linea si colloca il Consiglio nazionale dei commercialisti. Il presidente Elbano de Nuccio definisce l’emendamento un passo avanti, ma insufficiente a sanare la disparità di trattamento con le altre categorie di creditori della Pa. I commercialisti avevano chiesto l’abrogazione della norma, ritenuta sbilanciata e priva di soglie minime sia per i pagamenti sia per i debiti fiscali e contributivi scaduti. Se da un lato la possibilità di sbloccare la quota eccedente il debito rappresenta un elemento positivo, dall’altro permane una disciplina che colpisce in modo selettivo i professionisti. De Nuccio sottolinea come l’obiettivo di accelerare la riscossione sia condivisibile, ma non possa gravare su una sola categoria di contribuenti. In quest’ottica, il differimento dell’entrata in vigore della norma a metà giugno viene visto come un’occasione per ripensare l’introduzione di soglie minime, utili a semplificare le procedure e a ridurre l’aggravio burocratico per la Pa in caso di pagamenti di importo marginale.
Ancora più critico il giudizio dell’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili. Il presidente Francesco Cataldi riconosce come positiva l’eliminazione del riferimento generico alla regolarità fiscale e la scelta di limitare la verifica alle sole cartelle esattoriali per tributi erariali, ma fatica a comprendere la ratio di un ulteriore appesantimento delle procedure di pagamento. I professionisti, osserva, non rientrano storicamente tra le categorie più morose e, anzi, tendono a rispettare con regolarità gli obblighi fiscali anche per ragioni reputazionali. Introdurre verifiche anche per importi inferiori ai 5.000 euro rischia di aumentare la complessità amministrativa e di rallentare ulteriormente i pagamenti, con benefici marginali per l’Erario e un impatto potenzialmente significativo sulla liquidità di chi lavora con la Pa, spesso già penalizzato da tempi di incasso lunghi.
Il quadro che emerge è dunque quello di una riforma accolta con soddisfazione prudente dal legislatore e con cautela dalle categorie. La norma appare più definita, meno esposta a interpretazioni arbitrarie e più attenta a evitare blocchi indiscriminati. Ma, al tempo stesso, lascia irrisolti nodi strutturali: la disparità di trattamento tra professionisti e altri lavoratori, l’assenza di soglie minime che evitino controlli su importi irrisori, il rischio di nuovi rallentamenti nei rapporti finanziari tra Stato e autonomi. Una svolta, sì, ma a metà, che difficilmente chiuderà il confronto politico e professionale sul tema.
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