Separazione delle carriere è civiltà
Penalisti in piazza a Macerata per il sì con Francesca Scopelliti.
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Ieri piazza della Libertà ha ospitato il banchetto informativo per il Sì al referendum sulla giustizia, che si terrà nel nuovo anno. L’iniziativa rientra nella mobilitazione nazionale “129 piazze per il Sì”, promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane, con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sul tema della separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante.
All’incontro erano presenti Paolo Giustozzi, referente per il Sì della Camera Penale di Macerata, Donato Attanasio, presidente della Camera Penale di Macerata, e Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora e presidente della Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora, la cui testimonianza rappresenta uno dei “simboli più forti degli errori giudiziari nel dibattito sulla riforma”.
Nel suo intervento Paolo Giustozzi ha spiegato le ragioni della campagna referendaria: “Stiamo promuovendo in tutte le piazze d’Italia questa campagna che riteniamo sia una campagna di civiltà, di attuazione della Costituzione italiana. È una battaglia che gli avvocati penalisti combattono da tantissimi anni e che ci ha visto impegnati nel territorio a raccogliere firme di tanti cittadini che hanno compreso il valore prima ancora che questo Governo e questa maggioranza inserisse la separazione delle carriere nel suo programma e che ha avuto attuazione e approvazione in sede parlamentare”.
Giustozzi ha poi chiarito il senso della riforma, sottolineando come non si tratti di uno scontro con la magistratura: “Oggi siamo qui nelle piazze per spiegare il senso di questa riforma che non è una riforma che va contro i magistrati, anzi dà voce ai tantissimi magistrati che sono stanchi di subire il potere delle correnti. L’Italia sa cosa significa la deriva correntizia all’interno dell’Organo di Governo della Magistratura”. Al centro della proposta resta il principio del giusto processo, fondato sulla parità tra accusa e difesa: “Riteniamo che l’attuazione del giusto processo, la parità fra le armi, fra la difesa e l’accusa, sia un principio di diritto e di civiltà costituzionale irrinunciabile, che deve allineare l’Italia alle democrazie avanzate occidentali”.
Particolarmente intenso l’intervento di Francesca Scopelliti, che ha richiamato il valore simbolico del caso Tortora nel percorso di riforma della giustizia: “Più che sulla figura di Enzo, mi soffermo su quello che rappresenta il suo caso giudiziario in quest’occasione di riforma per la giustizia giusta”. Scopelliti ha ricordato come la separazione delle carriere fosse uno dei progetti che Enzo Tortora avrebbe voluto portare avanti: “La separazione delle carriere è fondamentale ed era uno di quei progetti che Enzo avrebbe voluto portare avanti insieme ai radicali di Pannella se quella bomba al cobalto provocata dall’avviso di garanzia non l’avesse poi stroncato nel 1988”.
Secondo la presidente della Fondazione Tortora, la vicenda giudiziaria del marito dimostra le conseguenze della mancanza di una netta distinzione dei ruoli: “La condanna a primo grado è stata provocata proprio da questa mancanza di divisione tra la procura che accusava e il giudice che doveva giudicare. Il giudice ha pedissequamente, in maniera automatica, seguito le indicazioni della procura senza nessuna aggiunta o ricerca della verità”. Una verità che, ha ricordato, “è stata poi raggiunta dal giudice di Appello, che fece un’indagine come davvero un giudice terzo e indipendente deve fare”.
A concludere gli interventi è stato Donato Attanasio, che ha illustrato il significato dell’iniziativa nazionale: “129 piazze per il Sì è un’iniziativa dell’Unione delle Camere Penali che ha coinvolto tutte le Camere Penali territoriali. Cerchiamo di parlare con tutti per spiegare le ragioni per cui pensiamo sia giusto votare Sì al prossimo referendum, che si terrà nel mese di marzo, per la separazione delle carriere”.
Attanasio ha ribadito come la riforma rappresenti una garanzia di libertà: “Riteniamo che soltanto la separazione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante possa garantire un giusto processo. Garantire un giusto processo è fonte di primaria garanzia di libertà, perché soltanto un giudice terzo può garantire a tutti noi una giusta giustizia”. Un modello già adottato nelle democrazie liberali: “L’Italia è quasi un unicum da questo punto di vista e questo ci stimola a ritenere che soltanto con il Sì si possa avere ciò che costituzionalmente è garantito, ovvero il giusto processo”.
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