Medicina, la farsa del semestre filtro
Regole cambiate a giochi chiusi, prove sbagliate e toppa politica finale: così lo Stato tradisce migliaia di studenti.
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Doveva essere la grande riforma, il segno di una modernizzazione attesa da anni. Il semestre filtro per l’accesso a Medicina, presentato come alternativa “più giusta” al vecchio test a crocette, si sta rivelando per quello che è: una selezione mal mascherata, costruita in fretta, gestita peggio e ora rattoppata con annunci improvvisati. Non un percorso universitario, ma un concorso pubblico travestito da corso, in cui gli studenti non sono matricole bensì cavie di un esperimento istituzionale riuscito male.
Le due tornate di esami del 20 novembre e del 10 dicembre hanno fatto saltare il banco. Percentuali di bocciature senza precedenti, soprattutto in Fisica. Prove giudicate eccessivamente tecniche, disomogeneità nei controlli, segnalazioni di irregolarità durante le vigilie, perfino l’uso di smartphone. Come se non bastasse, due domande errate proprio nella parte più selettiva. Il risultato era scritto: si è voluto sostituire un test nazionale con tre esami identici, simultanei in tutti gli atenei, senza che l’apparato organizzativo fosse pronto. Un meccanismo che non seleziona, ma blocca; non valuta, ma esclude.
Il paradosso è clamoroso. Negli anni del “quizzone”, per quanto contestato, i candidati superavano sempre i posti disponibili. Oggi accade l’opposto: i posti rischiano di restare vuoti. Non perché gli studenti siano peggiori, ma perché il sistema è stato progettato senza misurare l’impatto reale delle prove. Di fronte allo spettro di un 70–80% di esclusi, la ministra Bernini ha scelto la strada più rischiosa: aprire le graduatorie anche agli insufficienti, rinviando il problema a fantomatici “debiti formativi” da recuperare nel semestre successivo. Una pezza che, però, straccia l’intero impianto normativo.
Gli avvocati Francesco Leone e Simona Fell lo hanno spiegato senza giri di parole: la soluzione non è solo politicamente discutibile, è giuridicamente impraticabile. La legge delega e il decreto legislativo parlano chiaro: per accedere al secondo semestre occorre superare tutte e tre le materie. Non un auspicio, ma un requisito vincolante. Cambiarlo ora significherebbe alterare retroattivamente le regole, danneggiare chi si è attenuto al bando e creare una disparità intollerabile tra candidati. C’è chi ha rinunciato a un voto per riprovare, chi ha affrontato prove più dure senza sapere che sarebbero diventate ininfluenti, chi è rimasto fuori per uno o due punti. Gli stessi punti che oggi il ministero vorrebbe “compensare” con corsi di recupero inventati sul momento.
Emblematica anche la gestione delle domande errate. La proposta è assegnare un punto aggiuntivo a tutti per uno dei quesiti sbagliati. Ma se gli errori sono due, i punti devono essere due. Non lo dice il buonsenso, lo dice la giurisprudenza consolidata in materia di concorsi pubblici. Anche qui, la sensazione è che si navighi a vista, piegando le regole all’emergenza politica del giorno.
La verità è semplice e scomoda: il semestre filtro è stato costruito come un corso universitario, ma funziona come un concorso. E come concorso deve rispettare princìpi inderogabili: par condicio, trasparenza, stabilità delle regole. Tutto ciò che è mancato. Non stupisce, allora, che la tensione sociale stia esplodendo. Le contestazioni pubbliche alla ministra non sono folklore, ma il sintomo di una frattura profonda tra istituzioni e studenti.
Il rischio ora è enorme. Un intervento del TAR potrebbe travolgere l’intera procedura, lasciando migliaia di ragazzi senza anno accademico e le università paralizzate. Con un effetto domino che arriverebbe fino al sistema sanitario: un anno perso oggi significa meno medici domani, in un Paese che già soffre una carenza strutturale di personale.
E viene da chiedersi se davvero fosse necessario buttare tutto. Uno studio dell’Università di Torino e del Piemonte Orientale dimostra che il vecchio test, pur imperfetto, non era una lotteria: aveva una buona capacità predittiva. Chi lo superava tendeva a laurearsi prima e meglio; chi restava fuori incontrava maggiori difficoltà. Forse sarebbe bastato correggerne le storture, a partire dalle assurde domande di cultura generale, invece di sostituirlo con un sistema improvvisato.
Il semestre filtro doveva essere la risposta ai limiti del numero chiuso. È diventato l’ennesima prova che le riforme fatte in fretta, senza strutture adeguate e senza un quadro normativo solido, producono solo caos. E che quando la politica riscrive le regole a giochi chiusi, non corregge un errore: mina la fiducia, alimenta conflitti e trasforma una riforma in una farsa istituzionale.
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