Il ddl “merito” sulla riforma della dirigenza pubblica.
Più ombre che luci La recente proposta di legge denominata DDL “Merito”, volta a riformare in modo organico la dirigenza pubblica, solleva rilevanti criticità sotto il profilo costituzionale.
In evidenza
Pur presentandosi come un intervento orientato all’efficienza e alla valorizzazione del merito, il disegno di legge introduce meccanismi che incidono in modo significativo sull’autonomia, sull’imparzialità e sulla continuità dell’azione amministrativa, principi tutelati dalla Costituzione. Per questi motivi, il DDL — se approvato nella sua formulazione attuale — presenterebbe seri profili di incostituzionalità, incidendo su equilibri istituzionali che la Costituzione protegge per garantire legalità, continuità e imparzialità dell’azione amministrativa.
– Il Disegno di Legge (DDL) “Merito”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo 2025, introduce significative modifiche al sistema di accesso alla dirigenza pubblica.
Una delle innovazioni più rilevanti riguarda la possibilità di accedere a posizioni dirigenziali anche senza partecipare ad un concorso pubblico attraverso una valutazione basata sul merito e sulle performance.
Il provvedimento prevede che il 30% dei posti da dirigente di seconda fascia possa essere assegnato a funzionari con almeno cinque anni di servizio o a quadri con due anni di esperienza, attraverso una procedura di selezione alternativa al concorso.
Questa selezione si articola in due fasi: una prima valutazione comparativa per l’assegnazione di un incarico dirigenziale temporaneo e, successivamente, una fase di osservazione e valutazione. Se, al termine di quattro anni, la valutazione è positiva, l’incarico diventa definitivo.
La selezione è affidata ad una commissione indipendente, che include esperti esterni in selezione del personale. Inoltre, è previsto un limite del 30% alla quota di lavoratori che possono ricevere valutazioni eccellenti, al fine di evitare distorsioni nel sistema di incentivazione.
Nonostante gli intenti di modernizzazione e valorizzazione del merito, il DDL Merito presenta diverse criticità:
– rischio di iniquità e favoritismi dal momento che la possibilità di accedere alla dirigenza senza concorso potrebbe favorire pratiche clientelari o politiche, minando la trasparenza e l’imparzialità del processo di selezione;
– svalutazione del concorso pubblico, che è principio fondamentale per garantire pari opportunità di accesso al pubblico impiego la cui parziale sostituzione comprometterebbe questo principio;
– possibili conflitti con l’articolo 97 della Costituzione ai sensi del quale l’accesso agli impieghi pubblici deve avvenire mediante concorso, salvo che la legge disponga diversamente;
– mancanza di criteri oggettivi e trasparenti giacchè la valutazione basata sul merito e sulle performance potrebbe essere influenzata da criteri soggettivi, rendendo difficile garantire equità e trasparenza nel processo di selezione.
Il DDL Merito presenta profili di incostituzionalità, in particolare in relazione all’articolo 97 della Costituzione, che sancisce il principio del concorso pubblico come modalità di accesso agli impieghi pubblici.
La Corte Costituzionale ha già espresso in passato dubbi sulla legittimità di incarichi dirigenziali conferiti senza concorso, sottolineando l’importanza di garantire trasparenza e imparzialità nelle selezioni.
È principio fondamentale ed inderogabile dell’ordinamento giuridico, essendo riflesso di diritti costituzionalmente garantiti, che l’accesso alla Dirigenza pubblica avvenga tramite il concorso pubblico.
Il principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 1/1999 secondo cui esiste “una relazione tra l’art 97 e gli artt. 51 e 98 della Costituzione” e “In un ordinamento democratico – che affida all’azione dell’amministrazione, separata nettamente da quella di governo (politica per definizione), il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento
– il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resta il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d’imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione. Valore, quest’ultimo, in relazione al quale il principio posto dall’art. 97 Cost. impone che l’esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa alle condizioni personali dei vari concorrenti”.
In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2 marzo 2012, convertito con legge n. 44 del 26 aprile 2012, che consentiva alle Agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari mediante contratti a tempo determinato, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali. La Corte ha sottolineato che il conferimento di incarichi dirigenziali deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio, e che l’assegnazione di posizioni dirigenziali senza concorso può avvenire solo in casi eccezionali e temporanei, come la reggenza (Corte Cost., Sentenza n. 37 del 17 marzo 2015). La sentenza della Corte Costituzionale ha evidenziato anche che gli incarichi dirigenziali temporanei conferiti a personale di qualifica inferiore sono costituzionalmente illegittimi se vengono prorogati più volte e diventano di fatto incarichi duraturi e senza una adeguata procedura di concorso pubblico. In particolare, anche se la legge consente affidamenti temporanei di funzioni di vertice in caso di carenza di dirigenti, tali incarichi devono essere limitati nel tempo e accompagnati da una regolare procedura di concorso.
La Corte ha indicato come soluzione straordinaria e temporanea in casi di urgenza o carenze di dirigenti, la reggenza, con la precisazione secondo cui se l’incarico di reggenza (cioè di gestione temporanea di un ufficio senza una nomina di dirigente di ruolo) viene prorogato oltre i limiti stabiliti (oltre i 6 mesi, anche con proroghe), o se si protrae per un tempo considerevole senza avviare un regolare concorso, tale incarico assume una natura non più straordinaria e temporanea.
Di conseguenza, anche la reggenza protratta in modo continuativo e senza rispetto delle regole può risultare illegittima e determinare la nullità degli atti firmati dai soggetti incaricati. In sintesi, la Corte ha sottolineato che ogni incarico temporaneo, sia di natura dirigenziale che di reggenza, deve rispettare i principi di ragionevolezza, temporaneità e trasparenza, e il loro prolungamento ingiustificato può determinare l’illegittimità e la nullità degli atti prodotti.
Il principio secondo cui il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso è stato ribadito dalla stessa Corte Costituzionale con la Sentenza n. 164 del 24 luglio 2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che consentiva, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a funzionari mediante contratti a tempo determinato, osservando che tale disposizione aveva contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.
Le sentenze della Corte Costituzionale evidenziano, dunque, la centralità del pubblico concorso come strumento per garantire l’accesso meritocratico agli incarichi dirigenziali nella Pubblica Amministrazione. L’aggiramento di tale principio attraverso la stipula di contratti a tempo determinato per attribuire incarichi dirigenziali è stato dichiarato incostituzionale, in quanto viola gli articoli 5 3, 51 e 97 della Costituzione, che sanciscono i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica.
Anche il Consiglio di Stato ha affrontato, in diverse occasioni, la questione della legittimità degli incarichi dirigenziali conferiti senza concorso pubblico, evidenziando criticità in relazione al principio costituzionale dell’accesso agli impieghi pubblici mediante concorso.
Più in dettaglio, il Consiglio di Stato (Sentenza n. 10627 del 7 dicembre 2023) ha dichiarato l’illegittimità della prassi consistente nel conferimento a funzionari di incarichi dirigenziali in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni vacanti.
Tale prassi è stata ritenuta in violazione del principio costituzionale dell’accesso alla dirigenza pubblica mediante concorso, nonché delle norme che consentono, entro limiti quantitativi e qualitativi, la possibilità di conferire incarichi dirigenziali a soggetti esterni privi della qualifica dirigenziale.
Il DDL Merito introduce la possibilità che una parte dei dirigenti pubblici possa essere selezionata senza dover partecipare a un concorso, sulla base della valutazione delle competenze e delle performance già dimostrate nel servizio. L’intento dichiarato dal legislatore è chiaro: valorizzare chi ha già dimostrato capacità, risultati concreti e merito, rendendo più rapido e flessibile l’accesso ai ruoli dirigenziali.
Tuttavia, alla luce della giurisprudenza sopra citata, emergono alcune criticità. Tradizionalmente, l’accesso alla dirigenza pubblica deve avvenire tramite concorso pubblico, che è lo strumento per garantire trasparenza, imparzialità e pari opportunità a tutti i candidati.
Le sentenze citate (Corte Costituzionale n. 37/2015 e Consiglio di Stato n. 10627/2023) hanno chiarito che il conferimento di incarichi dirigenziali senza concorso può avvenire solo in situazioni eccezionali e temporanee, ad esempio per reggenze o coperture urgenti di posti vacanti, e non come modalità ordinaria di accesso.
In questo senso, il DDL Merito appare elusivo di detti principi, trasformando una deroga temporanea in una vera e propria alternativa stabile al concorso, con il rischio di disparità di trattamento e di favoritismi.
Pertanto, se da un lato l’obiettivo di valorizzare il merito è utile per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione, dall’altro lato, il DDL trasformerebbe un’eccezione in una prassi ordinaria, con conseguente illegittimità costituzionale della norma nonché violazione dei principi di trasparenza, imparzialità ed uguaglianza nell’accesso ai ruoli dirigenziali.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione (Sentenza n. 27189/2025), in materia di incarichi dirigenziali a tempo determinato ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, ha affermato che la reiterazione degli stessi contratti per periodi superiori ai limiti temporali stabiliti, senza una giustificata esigenza temporanea e transitoria, è illegittima.
In particolare, tali incarichi devono essere conferiti esclusivamente per esigenze temporanee e non durature, e la loro durata complessiva non può superare i limiti massimi previsti dalla normativa, per evitare un abuso di precariato e garantire il rispetto dei principi europei e nazionali in materia di stabilità dell’impiego pubblico. La normativa richiede inoltre che gli incarichi siano motivati e supportati da esigenze oggettive, distinguendo chiaramente tra i dirigenti di ruolo e quelli non di ruolo, e sottolineando che il rapporto dirigenziale, quando reiterato oltre i limiti consentiti, configura illegittimità e può dare diritto al risarcimento del danno.
Il DDL Merito trasformerebbe una deroga temporanea in un sistema stabile, rischiando disparità di trattamento, possibili favoritismi e contrasto con i principi costituzionali e con la giurisprudenza consolidata.
In altri termini, ciò che dovrebbe essere un’eccezione diventerebbe un meccanismo ordinario, con conseguenze concrete sulla trasparenza e sull’equità nell’accesso alla dirigenza pubblica.
La recente proposta di legge denominata DDL “Merito”, volta a riformare in modo organico la dirigenza pubblica, solleva rilevanti criticità sotto il profilo costituzionale. Pur presentandosi come un intervento orientato all’efficienza e alla valorizzazione del merito, il disegno di legge introduce meccanismi che incidono in modo significativo sull’autonomia, sull’imparzialità e sulla continuità dell’azione amministrativa, principi tutelati dalla Costituzione. Per questi motivi, il DDL — se approvato nella sua formulazione attuale — presenterebbe seri profili di incostituzionalità, incidendo su equilibri istituzionali che la Costituzione protegge per garantire legalità, continuità e imparzialità dell’azione amministrativa.
– Il Disegno di Legge (DDL) “Merito”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo 2025, introduce significative modifiche al sistema di accesso alla dirigenza pubblica.
Una delle innovazioni più rilevanti riguarda la possibilità di accedere a posizioni dirigenziali anche senza partecipare ad un concorso pubblico attraverso una valutazione basata sul merito e sulle performance.
Il provvedimento prevede che il 30% dei posti da dirigente di seconda fascia possa essere assegnato a funzionari con almeno cinque anni di servizio o a quadri con due anni di esperienza, attraverso una procedura di selezione alternativa al concorso.
Questa selezione si articola in due fasi: una prima valutazione comparativa per l’assegnazione di un incarico dirigenziale temporaneo e, successivamente, una fase di osservazione e valutazione. Se, al termine di quattro anni, la valutazione è positiva, l’incarico diventa definitivo.
La selezione è affidata ad una commissione indipendente, che include esperti esterni in selezione del personale. Inoltre, è previsto un limite del 30% alla quota di lavoratori che possono ricevere valutazioni eccellenti, al fine di evitare distorsioni nel sistema di incentivazione.
Nonostante gli intenti di modernizzazione e valorizzazione del merito, il DDL Merito presenta diverse criticità:
– rischio di iniquità e favoritismi dal momento che la possibilità di accedere alla dirigenza senza concorso potrebbe favorire pratiche clientelari o politiche, minando la trasparenza e l’imparzialità del processo di selezione;
– svalutazione del concorso pubblico, che è principio fondamentale per garantire pari opportunità di accesso al pubblico impiego la cui parziale sostituzione comprometterebbe questo principio;
– possibili conflitti con l’articolo 97 della Costituzione ai sensi del quale l’accesso agli impieghi pubblici deve avvenire mediante concorso, salvo che la legge disponga diversamente;
– mancanza di criteri oggettivi e trasparenti giacchè la valutazione basata sul merito e sulle performance potrebbe essere influenzata da criteri soggettivi, rendendo difficile garantire equità e trasparenza nel processo di selezione.
Il DDL Merito presenta profili di incostituzionalità, in particolare in relazione all’articolo 97 della Costituzione, che sancisce il principio del concorso pubblico come modalità di accesso agli impieghi pubblici.
La Corte Costituzionale ha già espresso in passato dubbi sulla legittimità di incarichi dirigenziali conferiti senza concorso, sottolineando l’importanza di garantire trasparenza e imparzialità nelle selezioni.
È principio fondamentale ed inderogabile dell’ordinamento giuridico, essendo riflesso di diritti costituzionalmente garantiti, che l’accesso alla Dirigenza pubblica avvenga tramite il concorso pubblico.
Il principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 1/1999 secondo cui esiste “una relazione tra l’art 97 e gli artt. 51 e 98 della Costituzione” e “In un ordinamento democratico – che affida all’azione dell’amministrazione, separata nettamente da quella di governo (politica per definizione), il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento
– il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resta il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d’imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione. Valore, quest’ultimo, in relazione al quale il principio posto dall’art. 97 Cost. impone che l’esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa alle condizioni personali dei vari concorrenti”.
In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2 marzo 2012, convertito con legge n. 44 del 26 aprile 2012, che consentiva alle Agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari mediante contratti a tempo determinato, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali. La Corte ha sottolineato che il conferimento di incarichi dirigenziali deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio, e che l’assegnazione di posizioni dirigenziali senza concorso può avvenire solo in casi eccezionali e temporanei, come la reggenza (Corte Cost., Sentenza n. 37 del 17 marzo 2015). La sentenza della Corte Costituzionale ha evidenziato anche che gli incarichi dirigenziali temporanei conferiti a personale di qualifica inferiore sono costituzionalmente illegittimi se vengono prorogati più volte e diventano di fatto incarichi duraturi e senza una adeguata procedura di concorso pubblico. In particolare, anche se la legge consente affidamenti temporanei di funzioni di vertice in caso di carenza di dirigenti, tali incarichi devono essere limitati nel tempo e accompagnati da una regolare procedura di concorso.
La Corte ha indicato come soluzione straordinaria e temporanea in casi di urgenza o carenze di dirigenti, la reggenza, con la precisazione secondo cui se l’incarico di reggenza (cioè di gestione temporanea di un ufficio senza una nomina di dirigente di ruolo) viene prorogato oltre i limiti stabiliti (oltre i 6 mesi, anche con proroghe), o se si protrae per un tempo considerevole senza avviare un regolare concorso, tale incarico assume una natura non più straordinaria e temporanea.
Di conseguenza, anche la reggenza protratta in modo continuativo e senza rispetto delle regole può risultare illegittima e determinare la nullità degli atti firmati dai soggetti incaricati. In sintesi, la Corte ha sottolineato che ogni incarico temporaneo, sia di natura dirigenziale che di reggenza, deve rispettare i principi di ragionevolezza, temporaneità e trasparenza, e il loro prolungamento ingiustificato può determinare l’illegittimità e la nullità degli atti prodotti.
Il principio secondo cui il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso è stato ribadito dalla stessa Corte Costituzionale con la Sentenza n. 164 del 24 luglio 2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che consentiva, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a funzionari mediante contratti a tempo determinato, osservando che tale disposizione aveva contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.
Le sentenze della Corte Costituzionale evidenziano, dunque, la centralità del pubblico concorso come strumento per garantire l’accesso meritocratico agli incarichi dirigenziali nella Pubblica Amministrazione. L’aggiramento di tale principio attraverso la stipula di contratti a tempo determinato per attribuire incarichi dirigenziali è stato dichiarato incostituzionale, in quanto viola gli articoli 5 3, 51 e 97 della Costituzione, che sanciscono i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica.
Anche il Consiglio di Stato ha affrontato, in diverse occasioni, la questione della legittimità degli incarichi dirigenziali conferiti senza concorso pubblico, evidenziando criticità in relazione al principio costituzionale dell’accesso agli impieghi pubblici mediante concorso.
Più in dettaglio, il Consiglio di Stato (Sentenza n. 10627 del 7 dicembre 2023) ha dichiarato l’illegittimità della prassi consistente nel conferimento a funzionari di incarichi dirigenziali in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni vacanti.
Tale prassi è stata ritenuta in violazione del principio costituzionale dell’accesso alla dirigenza pubblica mediante concorso, nonché delle norme che consentono, entro limiti quantitativi e qualitativi, la possibilità di conferire incarichi dirigenziali a soggetti esterni privi della qualifica dirigenziale.
Il DDL Merito introduce la possibilità che una parte dei dirigenti pubblici possa essere selezionata senza dover partecipare a un concorso, sulla base della valutazione delle competenze e delle performance già dimostrate nel servizio. L’intento dichiarato dal legislatore è chiaro: valorizzare chi ha già dimostrato capacità, risultati concreti e merito, rendendo più rapido e flessibile l’accesso ai ruoli dirigenziali.
Tuttavia, alla luce della giurisprudenza sopra citata, emergono alcune criticità. Tradizionalmente, l’accesso alla dirigenza pubblica deve avvenire tramite concorso pubblico, che è lo strumento per garantire trasparenza, imparzialità e pari opportunità a tutti i candidati.
Le sentenze citate (Corte Costituzionale n. 37/2015 e Consiglio di Stato n. 10627/2023) hanno chiarito che il conferimento di incarichi dirigenziali senza concorso può avvenire solo in situazioni eccezionali e temporanee, ad esempio per reggenze o coperture urgenti di posti vacanti, e non come modalità ordinaria di accesso.
In questo senso, il DDL Merito appare elusivo di detti principi, trasformando una deroga temporanea in una vera e propria alternativa stabile al concorso, con il rischio di disparità di trattamento e di favoritismi.
Pertanto, se da un lato l’obiettivo di valorizzare il merito è utile per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione, dall’altro lato, il DDL trasformerebbe un’eccezione in una prassi ordinaria, con conseguente illegittimità costituzionale della norma nonché violazione dei principi di trasparenza, imparzialità ed uguaglianza nell’accesso ai ruoli dirigenziali.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione (Sentenza n. 27189/2025), in materia di incarichi dirigenziali a tempo determinato ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, ha affermato che la reiterazione degli stessi contratti per periodi superiori ai limiti temporali stabiliti, senza una giustificata esigenza temporanea e transitoria, è illegittima.
In particolare, tali incarichi devono essere conferiti esclusivamente per esigenze temporanee e non durature, e la loro durata complessiva non può superare i limiti massimi previsti dalla normativa, per evitare un abuso di precariato e garantire il rispetto dei principi europei e nazionali in materia di stabilità dell’impiego pubblico. La normativa richiede inoltre che gli incarichi siano motivati e supportati da esigenze oggettive, distinguendo chiaramente tra i dirigenti di ruolo e quelli non di ruolo, e sottolineando che il rapporto dirigenziale, quando reiterato oltre i limiti consentiti, configura illegittimità e può dare diritto al risarcimento del danno.
Il DDL Merito trasformerebbe una deroga temporanea in un sistema stabile, rischiando disparità di trattamento, possibili favoritismi e contrasto con i principi costituzionali e con la giurisprudenza consolidata.
In altri termini, ciò che dovrebbe essere un’eccezione diventerebbe un meccanismo ordinario, con conseguenze concrete sulla trasparenza e sull’equità nell’accesso alla dirigenza pubblica.
del Prof. Avv. Raffaello Capunzo e dell’Avv. Enrica Guerriero, Dottore di ricerca
Altre Notizie della sezione
L’Italia “del fare”, tra efficienza e legalità
10 Dicembre 2025Accade spesso, anzi è sempre accaduto, che nel dibattito politico e giornalistico siano messe a confronto le esigenze “del fare” con quelle “del diritto”.
Trump ‘molla’ l’Europa?
09 Dicembre 2025Crosetto: “Era inevitabile. Dovremo pensare noi a difesa” "Pensavo ci concedessero 2-3 anni in più, è successo più in fretta", dice il ministro della Difesa. Il perché di questa svolta? "Gli Usa hanno in corso una competizione difficile con la Cina. In questo l'Ue gli serve poco o nulla".
Vorremmo avere pari dignità nei fatti e non solo nelle parole
06 Dicembre 2025Così il Presidente dell’AdEPP e dell’Enpam, Alberto Oliveti, intervenendo, oggi, all’evento “Futuro Italia”, l’iniziativa promossa da Remind – l’Associazione delle Buone Pratiche dei Settori Produttivi della Nazione.
