Attenti a quei due. La sacra alleanza fra antagonismo e islam radicale
L’attacco alla Stampa è solo il più manifesto caso di una imprevedibile saldatura. “Non è finita qui: vogliamo libera la Palestina e il fratello Shahin” (l’imam che sta per essere espulso). L’allarme del Viminale: “Fenomeno in crescita esponenziale”.
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“Fuck Stampa”. Un’irruzione addirittura pubblicizzata e compiuta “senza che le forze dell’ordine lo impedissero”, come ha denunciato il cdr del quotidiano. I giornalisti, assenti per lo sciopero, hanno visto sui social la loro redazione occupata e imbrattata al grido di “giornalista terrorista, sei il primo della lista”. Una minaccia lanciata anche per la pubblicazione delle frasi simpatizzanti con il 7 ottobre pronunciate da Mohamed Shahin, imam destinatario di un decreto di espulsione del Viminale. Ma non è solo torinese la saldatura tra centri sociali, piazze proPal e attenzionate fronde dell’islam radicale.
Venerdì 28 novembre in piazza a Torino, su convocazione dei sindacati di base, sono scese duemila persone. Il corteo contro la manovra è presto diventato solo un pretesto per Askatasuna, storico centro sociale torinese, e altri gruppetti studenteschi e proPal. Manifestanti che un’ora dopo, quando in 400 circa hanno imboccato una strada secondaria. Direzione: la sede de La Stampa, in via Lugaro.
Dalla redazione dista solo un chilometro la moschea Omar Ibn al Khattab di San Salvario. Il centro islamico è diretto da Mohamed Shahin, imam egiziano molto conosciuto in città, finito sotto la lente delle autorità quando il 9 ottobre scorso, in piazza Castello, si è lanciato in dichiarazioni antisemite, a difesa della strage del 7 ottobre. “Sono d’accordo con quello che è successo” in quel giorno, perché “non è una violenza”.
Simpatie con Hamas che sono arrivate anche al Viminale. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha firmato un decreto di espulsione per l’Imam, ora trattenuto nel cpr di Caltanissetta. Provvedimento convalidato: a Shahin, denunciato anche per un blocco stradale dello scorso maggio durante un’altra manifestazione, vengono contestati rapporti con persone indagate e condannate per apologia di terrorismo, intrattenuti nel 2012 e nel 2018. Collegamenti con “un esponente della Fratellanza musulmana” e, come si legge nel decreto, “un percorso di radicalizzazione religiosa connotata da una spiccata ideologia antisemita”.
La decisione di Piantedosi ha provocato sit-in e flash mob degli antagonisti torinesi. All’esultanza a destra, si sono levate voci critiche. Dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che ha ricordato come Shahin “è da 21 anni in Italia, è incensurato e ha lavorato con serietà” e che quindi è “assurdo che ora rischi di essere espulso per delle opinioni”: “Possiamo essere contrari” alle sue parole “ma non possiamo condannare una persona soltanto per quello che ha espresso”.
Un contro è la critica, un’altra l’espulsione per le opinioni. Un posizione condivisa a sinistra. Partito democratico, Alleanza verdi e Sinistra hanno presentato un’interrogazione al ministro. Lo scontro è però degenerato con l’irruzione a La Stampa. “Free Shahin”, hanno scritto in verde sui muri della redazione, accusata di “complicità con il genocidio a Gaza”.
L’occupazione ha generato una solidarietà diffusa. Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (“ferma condanna”) alla premier Giorgia Meloni (“un fatto gravissimo”). Stona parecchio invece la posizione della relatrice Onu Francesca Albanese, che condanna l’irruzione ma chiede che “questo sia anche un monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro”. Parole che irritano giornalisti e politici, a destra e a sinistra: “È molto grave – risponde Meloni – che, di fronte a un episodio di violenza contro una redazione giornalistica, qualcuno arrivi a suggerire che la responsabilità sia, anche solo in parte, della stampa stessa”.
Tante le circostanze ancora da chiarire sull’assalto, che è “ancora più vile perché accade nel giorno dello sciopero nazionale dei giornalisti per il rinnovo del contratto di lavoro”, ha commentato il cdr del quotidiano. Gli antagonisti sono entrati “senza che le forze dell’ordine lo impedissero”, è l’accusa. La Digos ha identificato 34 persone, tra loro anche un 16enne, ma le indagini continuano con i filmati delle videocamere di sorveglianza. Nessuna spiegazione è stata fornita dalla Questura sul mancato blocco dei violenti, ma la Prefettura ha convocato il comitato sull’ordine pubblico. Una riunione che, oltre al sindaco Stefano Lo Russo, è stata ampliata ai direttori delle testate giornalistiche con sede a Torino per definire strategie di tutela.
Un presidio sarà necessario, anche perché “non è finita qua, la Palestina la vogliamo libera come vogliamo libero il nostro compagno e fratello Mohamed Shahin”, hanno promesso i collettivi. Il blitz è stato rivendicato dal “Kollettivo studentesco autonomo”. Ksa, Askatasuna e Collettivo universitario autonomo sono solo alcuni protagonisti della galassia dei centri sociali italiani, che per sostenere la causa proPal si sono avvicinati a figure accusate di apologia al terrorismo e quindi simpatizzanti con l’Islam radicale. Una saldatura esplicita nelle tante piazze, dove gli slogan antisemiti e antisionisti sono spesso il refrain più frequente nei megafoni.
Striscioni a favore dell’imam Shahin sono apparsi anche a Roma, dove questo sabato il corteo è capeggiato da Greta Thunberg. Proprio nella capitale, alla grande manifestazione per la Flotilla di inizio ottobre, era apparso in prima fila lo striscione pro Hamas (“7 ottobre, giorno della resistenza”) mentre il ritornello era “Palestina libera dal fiume al mare” (quindi senza Israele).
Poco prima dei fatti di Torino, solo una settimana fa, a Bologna 5mila proPal si sono scontrati con la Polizia. Una contestazione contro il Maccabi Tel Aviv, squadra di basket israeliana arrivata in Italia per sfidare la Virtus. A Milano, invece, è noto il caso di Mohammad Hannoun, presidente dell’associazione palestinesi d’Italia: animatore delle adunate per Gaza, ha ricevuto un foglio di via con l’accusa di istigazione a delinquere per essersi “complimentato con i giovani di Amsterdam”, che circa un anno fa avevano aggredito i tifosi israeliani al termine del match contro l’Ajax.
Il link tra centri sociali e persone indagate (o condannate) per apologia di terrorismo non si verifica solo a Torino, dove però diventano ormai tanti i precedenti: dalle contestazioni al Salone del Libro agli assalti alle Ogr e alla sede di Leonardo.
Episodi violenti e connessioni attenzionate dal Viminale, che tra il 2022 e il 31 luglio 2025 ha espulso 203 soggetti per motivi di sicurezza. Soggetti radicalizzati o presunti terroristi che vengono monitorati dalla polizia e dall’intelligence. Nell’ultimo anno il contenuto numero di estremisti arrestati è cresciuto: da 13 a 20. I Foreign fighters finiti sotto la lente del Comitato di analisi strategica antiterrorismo sono 154, +3,4% rispetto al 2024.
Piantedosi ha commentato i fatti di Torino evidenziando un fenomeno in “crescita esponenziale”, riferendosi alle “manifestazioni con motivazioni che sono politico o pseudo tali e che sono state sicuramente accresciute numericamente dai conflitti internazionali”. Dietro a movimenti di piazza pacifisti, è la linea del Viminale, si sono inseriti anche profili “meno pacifici e che quindi colgono l’occasione per mettere in scena delle azioni più impegnative e più violente”.
Per il ministro sono “nuclei ormai specializzati”, ma dal ministero o dalla Digos non vengono riferiti numeri sul link ormai costante tra frange dell’islam meno dialogante e antagonisti dei centri sociali. Un mix ormai spesso presente nei cortei, da Torino in giù.
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