Giovani avvocati tra riconoscimento, welfare e futuro digitale
Le sfide che attendono l’Aiga dei 60 anni.
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Nel tempo breve di un Congresso può passare molto più di un semplice testimone associativo. Nei giorni in cui l’Associazione Italiana Giovani Avvocati ha scelto il proprio presidente nazionale, migliaia di professionisti si sono confrontati e interrogati sul proprio ruolo, sul senso stesso di una professione che fatica a tenere insieme sostenibilità economica e capacità di stare dentro le trasformazioni tecnologiche e sociali. Dentro questo passaggio, la nostra piattaforma programmatica presentata in occasione del Congresso di Bergamo, lo scorso 15 novembre, non è stata solo un documento elettorale, ma una vera agenda politica per la professione, che parla ben oltre i confini dell’AIGA.
Il punto di partenza è una constatazione che molti, nelle aule di giustizia, vivono quotidianamente: la figura dell’avvocato ha perso centralità e riconoscimento, proprio mentre il bisogno di tutela dei diritti cresce. Se l’avvocato è presidio civile, baluardo di legalità e voce delle persone nei conflitti con il potere, allora la giovane avvocatura diventa il luogo in cui misurare lo stato di salute dell’intera categoria. Non a caso, l’indipendenza dell’Aiga viene rivendicata come condizione essenziale per un dialogo con le istituzioni che sia franco, ma non subalterno.
Il secondo punto riguarda la pratica forense e l’ingresso nel mercato. Troppo spesso il tirocinio non è formazione, ma lavoro gratuito o sottopagato, senza tutele e senza un reale progetto di crescita. Da qui la proposta di un modello europeo: compenso obbligatorio e tracciabile dopo i primi sei mesi, registro nazionale degli studi disponibili ad accogliere praticanti, sportello contro gli abusi, riforma stabile dell’esame di Stato con prove più aderenti alla realtà delle aule di giustizia. Non è una rivendicazione corporativa, ma la condizione minima perché l’avvocatura resti socialmente aperta e non diventi un mestiere per pochi.
Un altro fronte è quello previdenziale e del welfare. Un sistema che chiede molto nei primi anni, senza offrire prospettive realistiche a lungo termine, spinge i giovani fuori dalla professione o verso un doppio lavoro. La richiesta di alleggerire i contributi nei primi anni di iscrizione e di rafforzare gli strumenti di sostegno alla genitorialità e all’innovazione non è un privilegio, ma un investimento sulla tenuta stessa del ceto forense.
C’è poi un terreno che nessuna categoria può eludere: digitale e intelligenza artificiale. L’idea di un Innovation Hub Forense Aiga indica una direzione chiara: formare competenze, dialogare con le legal tech, definire standard etici e di garanzia, evitare che siano altri soggetti a ridisegnare il mercato dei servizi legali. La difesa della centralità dell’avvocato passa anche dalla capacità di governare questi processi, non di subirli.
Infine, uno sguardo oltre i confini. Dalla battaglia per rendere effettivo il patrocinio a spese dello Stato alla costruzione di percorsi realmente europei per i giovani legali, puntiamo a riportare l’AIGA nel suo ruolo naturale: un laboratorio di idee e coscienza critica. In vista dei sessant’anni dell’associazione, il 7 giugno 2026, la domanda è semplice: la giovane avvocatura vorrà limitarsi a sopravvivere nelle pieghe del sistema, o pretendere di riscriverne le regole?
Di Luigi Bartolomeo Terzo Presidente Aiga
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