Anno: XXVI - Numero 225    
Venerdì 21 Novembre 2025 ore 13:35
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Il prezzo politico di una manovra “austera”

La manovra più leggera del triennio apre nuove fratture nella maggioranza: tra fondo sanitario, tasse e sostegno all’Ucraina, la coalizione litiga mentre il governo rivendica prudenza e stabilità in un clima di crescente stanchezza internazionale.

Il prezzo politico di una manovra “austera”

 

Ogni manovra porta con sé una scia di tormenti dentro e fuori la maggioranza di governo. L’opposizione tenta di ostacolare i piani dell’esecutivo puntando sui propri cavalli di battaglia, a partire dalla salute. Secondo Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, l’investimento nella sanità dovrebbe salire dal 5,9 percento al 7 percento del Pil.

Dal canto suo, il ministro della Salute Orazio Schillaci rivendica di aver previsto, in manovra, “il più grande aumento mai registrato, 136,5 miliardi per il 2025, oltre dieci miliardi in più rispetto al 2022”.

Resta il dilemma se contino le cifre in termini assoluti o in rapporto al prodotto interno lordo, certo è che contro le liste d’attesa serve efficienza nell’uso delle risorse e un buon livello di management. Il fatto che alcune Regioni non abbiano ancora utilizzato i fondi assegnati per accorciare i tempi d’attesa resta il vero scandalo, non un parametro matematico.

E tuttavia, mai come in questo finire del 2025 le schermaglie nella maggioranza non accennano a placarsi. Dal contributo di banche e assicurazioni all’aumento delle tasse per gli affitti brevi, dalla riapertura della sanatoria del 2003 alla maggiorazione dell’Irap a carico delle banche, i motivi di attrito restituiscono l’immagine di una maggioranza litigiosa in un momento in cui, al di là delle differenti visioni, tutti concordano su un punto: la manovra è leggera per dimensioni. Con meno di diciannove miliardi, un sacrosanto principio di prudenza fiscale che consente all’Italia di presentarsi come partner affidabile (e con un rating in netto miglioramento) resta il caposaldo delle manovre targate Meloni.

C’è un segnale importante, il primo in questi tre anni, a favore del ceto medio grazie alla riduzione dell’Irpef dal 35 al 33 percento per i redditi fino a 50mila euro. Per il resto, una legge finanziaria, stretta nella tenaglia dei parametri europei, non consente di dare all’economia il boost che servirebbe.

Ora, i tre principali partiti della maggioranza sanno battagliare tra loro senza arrivare a rotture clamorose nei momenti topici dei voti in Aula. Si può supporre che accadrà così anche questa volta, già domani la Commissione Bilancio dovrà scemare la montagna dei 5700 emendamenti per arrivare a definire i 414 segnalati dai vari partiti. Alla vigilia delle elezioni regionali poi, si avverte più forte la volontà di non cadere in trappole letali per il consenso.

Così si spiega la presa di posizione della Lega che, da Matteo Salvini a Luca Zaia, esprime disagio per il dodicesimo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina e mette in dubbio il voto, nel mese di gennaio, al decreto “cornice” che dovrà assicurare l’assistenza militare a Kiev per tutto il 2026. A Palazzo Chigi già pensano a possibili soluzioni di compromesso, per esempio ad una copertura breve, di pochi mesi, per venire incontro alla sensibilità dell’alleato leghista.

Anche per Giorgia Meloni, da sempre convinta alleata dell’Ucraina, il sostegno militare in una guerra di cui non si vede la fine, in un momento per giunta di austerità finanziaria, crea qualche grattacapo.

L’inchiesta della magistratura ucraina che ha scoperchiato una vasta rete di corruzione, infiltrata nel governo al punto di far saltare due ministri e colpire personalità vicinissime al presidente Zelensky, non solo allontana Kiev dall’ingresso nell’Ue ma crea imbarazzi nelle forze politiche che devono fare i conti con il consenso democratico.

C’è stanchezza non solo nell’establishment occidentale, dalla Casa bianca alle principali cancellerie europee, ma c’è stanchezza anche nell’opinione pubblica di Paesi per giunta disabituati alla guerra. La situazione sul campo è di sostanziale stallo, con il rischio di una avanzata russa sul fronte orientale e meridionale.

La linea di Donald Trump si può riassumere così: stop all’invio di armi a Kiev a meno che non siano gli europei ad acquistarle dagli Usa per sostenere l’Ucraina. L’adesione al programma Purl rischia di essere il detonatore di nuovi scontri nella maggioranza di governo italiana.

Tra le capacità di Giorgia Meloni c’è quella di tenere unita una coalizione composta da partiti diversi, e se l’Economist ha definito la premier italiana un “leader eccezionale” evidenziando la stabilità merce rara nel Paese dei governi balneari, c’è da ritenere che ancora una volta sarà la determinazione risolutiva di una donna al comando a sciogliere i nodi sul tavolo. Mai così numerosi dall’insediamento del governo.

    By Annalisa Chirico su Fortune Italia

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