Anno: XXVI - Numero 225    
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Il regalo di Trump: territori a Putin e smilitarizzazione dell’Ucraina Ucraina esercito ridotto e territori ceduti a Putin: il piano di Trump per la pace ricorda il patto di Monaco del 30 settembre del ‘38

Il regalo di Trump: territori a Putin e smilitarizzazione dell’UcrainaUcraina, esercito ridotto e territori ceduti a Putin: il piano di Trump per la pace ricorda il patto di Monaco del 30 settembre del ‘38.

Il regalo di Trump: territori a Putin e smilitarizzazione dell’Ucraina Ucraina esercito ridotto e territori ceduti a Putin: il piano di Trump per la pace ricorda il patto di Monaco del 30 settembre del ‘38

L’idea di una pace negoziata è sempre seducente, soprattutto dopo anni di guerra brutale. Ma il piano in 28 punti che l’amministrazione Trump avrebbe già inviato a Kiev – secondo le ricostruzioni di Politico e Axios – sembra più una resa mascherata da compromesso che un progetto realistico di stabilizzazione. Chiedere all’Ucraina di cedere territori alla Russia, probabilmente l’intero Donbass, e di ridurre drasticamente il proprio apparato militare significa chiedere a un Paese invaso di rinunciare a ciò che resta della propria capacità di autodifesa. È un approccio che ignora la dinamica fondamentale di questo conflitto: è la Russia ad aver violato la sovranità ucraina, non il contrario.

La storia offre un precedente inquietante che molti fingono di non ricordare: Monaco 1938. All’epoca, nel tentativo disperato di evitare una guerra, Francia e Regno Unito imposero alla Cecoslovacchia di cedere i Sudeti alla Germania. La logica era semplice: concedere qualcosa a Hitler per fermarne l’espansionismo. Il risultato fu l’esatto opposto. La Germania nazista interpretò la concessione come un segnale di debolezza e un tacito via libera. Pochi mesi dopo la Cecoslovacchia venne completamente smembrata e il continente precipitò nella catastrofe della Seconda guerra mondiale. Chi oggi propone di “accontentare Putin” dovrebbe meditare attentamente su questa lezione.

Accettare la logica del compromesso territoriale significa legittimare l’uso della forza come strumento di politica estera. Significa dire agli aggressori del presente – e a quelli potenziali del futuro – che le invasioni pagano, che i confini sono negoziabili solo a favore di chi li viola. In questo senso, ciò che accade in Ucraina non riguarda soltanto Kiev: riguarda l’architettura di sicurezza europea, la credibilità dell’Occidente e l’idea stessa di sovranità nazionale nel XXI secolo.

Preoccupa inoltre il metodo con cui il piano è stato gestito. L’inviato di Trump, Steve Witkoff, avrebbe portato avanti trattative parallele con i russi senza coordinarsi con gli alleati europei né con le stesse strutture istituzionali statunitensi. Una diplomazia improvvisata, tenuta insieme più dall’intuizione personale che da una strategia condivisa, rischia di produrre esiti sbilanciati e facilmente manipolabili da Mosca. Non stupisce che i funzionari ucraini ed europei siano rimasti colti di sorpresa, se non addirittura allarmati, da un processo condotto in solitaria a pochi centimetri dal Cremlino.

L’idea che un Paese come l’Ucraina possa garantire la propria sicurezza rinunciando alle garanzie occidentali, indebolendo il proprio esercito e cedendo territori è un’illusione. Nessuna pace costruita su un’evidente disparità di forze può essere stabile. Nessuna tregua che premia l’aggressione può durare. Nessun accordo che lascia l’aggressore più forte e l’aggredito più vulnerabile può garantire un futuro diverso.

Per questo il parallelo con Monaco non è semplice retorica. È un monito storico. La pace non si ottiene offrendo appeasement a chi ha già mostrato di non rispettare la pace altrui. Il rischio, oggi come allora, è trasformare un conflitto regionale in una minaccia molto più ampia alla sicurezza europea e alla credibilità dell’ordine internazionale. Chi parla di “cessioni necessarie” dovrebbe avere il coraggio di spiegare se la storia, per lui, non insegna nulla.

 

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