Referendum o morte. Schlein&Co vogliono fare di Meloni un nuovo Renzi
Sulla separazione delle carriere, l’opposizione trascura il merito e trasforma la campagna in un pronunciamento sulla premier e la paura del neofascismo.
Oramai, come negli stadi, anche nelle aule parlamentari l’ostentazione di cartelli di protesta è diventata una consuetudine, ma stavolta i cartoni esposti al Senato (“No ai pieni poteri”) sono anche il preannuncio da parte delle opposizioni di una originale campagna in vista del referendum sulla separazione delle carriere. Una campagna destinata a trascurare l’oggetto della consultazione, perché il vero obiettivo è un altro: trasformare un referendum a tema in un plebiscito a domanda secca: Meloni non sta esagerando nel prendersi troppo potere? Con sottotitolo incorporato: gratta gratta Meloni è una neofascista.
La scommessa di Pd, Cinque stelle e Avs è quella di riuscire a trascinare nei seggi tutti quegli elettori, non solo di sinistra, che per diverse ragioni sono contrari al governo, confidando così di riuscire a vincere questa partita. Presto per dire se si tratta di una scommessa realizzabile ma intanto è un’operazione politica destinata a mettere in seria difficoltà la maggioranza di governo. Come si è capito nelle prime ore seguite all’ultima approvazione della legge sulla separazione delle carriere. Forza Italia, dopo aver ostentato giubilo nell’aula del Senato, è scesa in piazza con stendardi di Silvio Berlusconi e in quei frangenti la presidente del Consiglio, correggendo l’impostazione minimalista del sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, è arrivata a definire “storica” l’approvazione del provvedimento.
Poi, visti gli slogan mirati delle opposizioni, Meloni ha corretto il tiro ed ha esplicitamente sganciato il destino del governo da quello del referendum. Ma non sarà facile fare la battaglia per la difesa della legge e al tempo stesso non farla. Urlare e al tempo stesso fischiettare non è mai facile e tanto più sarà complicato farlo in una stagione come l’attuale nella quale se non rispondi all’ultima provocazione, ti sembra di essere elusivo. Le opposizioni provocheranno di continuo e d’altra parte questo è il loro compito e lo è di più in questa fase storica nella quale cavalcano sempre la stessa tigre: la mostrificazione del governo.
Il sogno di Schlein, Conte, di Fratoianni e di Bonelli è fare a Meloni quel che Renzi fece a sé stesso. E d’altra parte non è la prima volta che le opposizioni usano in modo strumentale un referendum. È capitato di recente con i quesiti sul job act e in quel caso, davanti all’esito sconfortante – aveva votato neanche un terzo degli elettori – su ispirazione del presidente dei senatori Francesco Boccia – la segretaria del Pd Elly Schlein è arrivata a teorizzare che le opposizioni avevano vinto lo stesso, perché i Sì all’abrogazione erano statti numericamente di più di quelli ottenuti dai partiti del centrodestra tre anni prima alle elezioni Politiche. Una lettura acrobatica, un po’ cinica e un po’ bara, che è stata accantonata nel giro di 24 ore, ma la cui sostanza manipolatrice viene riproposta, sia pure con una diversa salsa.
Ma con qualche speranza di successo finale. Per tre ragioni. Primo: i referendum confermativi non richiedono quorum di partecipazione e si vince anche se va alle urne il 20 o il 49 per cento degli elettori. Secondo: il centrodestra si è così “compromesso” nella rivendicazione della legge da non potersi tirare indietro, ma per spingere i suoi elettori ad andare alle urne, non potrà che politicizzare il voto. Ma qui si nasconde il rischio vero; alle elezioni Politiche del 2022 le forze di centro-destra conquistarono legittimamente la maggioranza dei seggi ma furono votate da 3 milioni di elettori in meno rispetto al “resto del mondo”: 12 milioni per il centro-destra rispetto ai 15 degli “altri”. Una piattaforma numerica che costituisce una buona premessa per provare a vincere almeno una contesa nazionale: non è un rigore a porta vuota, ma una battaglia con discrete probabilità di vittoria.
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