Le piazze del nulla
Imbrattare la statua di Giovanni Paolo II con insulti e simboli ideologici è un gesto vile che cancella ogni pretesa di civiltà. La rabbia non è più protesta: è degrado.
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Negli ultimi tempi, il sindacato dei lavoratori sembra aver smarrito la propria missione originaria. Nato per difendere salari, occupazione, pensioni e diritti sociali, oggi appare più interessato a occuparsi di politica internazionale che dei problemi concreti dei suoi iscritti. È difficile comprendere che senso abbia aderire a un sindacato che trascura le battaglie quotidiane dei lavoratori per inseguire cause lontane e spesso strumentalizzate. Si ignorano tragedie immense come quella del Ruanda, milioni di morti che non hanno mai scosso le coscienze, mentre poche migliaia di vittime – sempre troppe – a Gaza bastano a incendiare piazze e dibattiti. La ragione porterebbe a pensare che per noi europei conti di più ciò che accade in Ucraina, dove una guerra potrebbe travolgerci direttamente, ma sembra che la logica si perda nel rumore di una solidarietà selettiva. Si ha la sensazione che dietro tanta passione ci sia un rigurgito ideologico, qualcosa che molti non osano più dichiarare apertamente e che allora si maschera dietro slogan per “gli altri”.
La manifestazione di sabato a Roma doveva essere una giornata di pace e invece si è trasformata in uno spettacolo di rabbia e confusione. Migliaia di persone sono scese in piazza per “fermare la guerra” e “liberare la Palestina”, ma il risultato è stato un’immagine desolante di un Paese che confonde il rumore con la partecipazione e la rabbia con la coscienza civile. Roma, paralizzata per ore, ha visto ancora una volta la protesta degenerare in un atto di prevaricazione quotidiana: traffico bloccato, mezzi pubblici fermi, lavoratori e studenti impossibilitati a muoversi. Si invoca la pace calpestando la libertà altrui. Il diritto di manifestare è sacrosanto, ma non può trasformarsi in un abuso.
Il gesto più vergognoso è stato quello contro la statua di Giovanni Paolo II, imbrattata con la scritta “fascista di m***a” e il simbolo della falce e martello. Un atto di vandalismo travestito da impegno politico, tanto più grave se si pensa al ruolo che Wojtyła ebbe nella caduta dei totalitarismi del Novecento. Colpire la memoria di chi ha combattuto per la libertà significa insultare quella stessa libertà che molti fingono oggi di difendere. E intanto, nel corteo, tra bandiere palestinesi, cartelli anti-Israele e cori inneggianti all’Intifada, si sono visti anche vessilli di Hamas e Hezbollah. Sventolare simboli di organizzazioni terroristiche nel cuore della capitale europea è un cortocircuito inquietante, eppure accolto con applausi e selfie. In nome della pace si finisce per esaltare chi la pace la nega da sempre.
Chi ha esibito striscioni inneggianti al massacro del 7 ottobre andrebbe identificato e, se irregolare, espulso immediatamente. Ma al di là degli eccessi, colpisce l’assenza di direzione. La folla era eterogenea: giovani dei centri sociali, sindacalisti in cerca di visibilità, gruppi studenteschi, qualche volto noto della sinistra militante. C’era chi era mosso da sincera compassione per i civili di Gaza, e chi invece cercava soltanto un nuovo nemico contro cui sfogare la propria frustrazione. Nessuno, però, sembrava chiedersi a cosa servisse davvero quella protesta. Un corteo a Roma non ferma i bombardamenti in Medio Oriente, e uno slogan non sostituisce la diplomazia. La piazza italiana continua a illudersi di contare, ma è solo un megafono di rabbie interne, un teatro dove il dolore per Gaza diventa un pretesto per contestare il governo, e la complessità dei fatti viene ridotta a tifo.
Le immagini di Roma mostrano una folla più interessata alla visibilità che alle soluzioni. I tamburi coprono le domande, gli slogan sostituiscono i ragionamenti, le emozioni cancellano i fatti. Nessuno parla della barbarie di Hamas, del silenzio imposto a chi dissente, dei diritti calpestati dagli stessi governanti che si fingono liberatori. Tutto viene semplificato, reso digeribile, trasformato in una narrazione di buoni contro cattivi. È più facile così: indignarsi non costa nulla. Ma indignarsi senza capire serve solo a rafforzare chi oggi governa, perché trasforma la protesta in rumore, e il dissenso in caricatura.
Roma meritava una giornata di pace vera, non l’ennesimo spettacolo di rabbia sterile. Le piazze non muoiono mai, ma oggi hanno mostrato il loro volto più vuoto: quello dell’illusione. La folla si crede protagonista, ma è solo comparsa in un copione già scritto. Quando si arriva a imbrattare la memoria di un Papa per sentirsi ribelli, non è più protesta. È solo miseria morale.
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