Anno: XXVI - Numero 187    
Mercoledì 1 Ottobre 2025 ore 13:45
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Un Global Forum per Gaza.

Vent'anni dopo Genova torna il movimento senza leader.

Un Global Forum per Gaza.

“Ci siamo tutti, oggi come 20 anni fa: Raffaella Bonini dell’Arci, Marco Bersani per Attac, e poi…”. Vittorio Agnoletto – 67 anni, politico, medico e docente universitario, pacifista – conserva la passione di quando era tra i leader del movimento contro la globalizzazione. A Genova, il 20 luglio del 2001, ci fu la grande mobilitazione no global. Da Genova è partita il 31 agosto scorso la Global Sumud Flotilla, ora sempre più vicina alle coste della Striscia e minacciata dal governo israeliano. Un “equipaggio di terra” la segue: sono gli attivisti che il 22 luglio hanno portato più di 500mila persone in 80 piazze italiane. Pronti allo sciopero generale, al grido di “Blocchiamo tutto”. È una storia che ricomincia.

Agnoletto non ha dubbi. “Quando il 31 agosto la Flotilla è partita da Genova ho avvertito subito che c’era una sintonia, lo stesso mood. Perchè a parte le storie individuali, c’è un tessuto ideale e culturale che collega le due esperienze”. Lo raggiungiamo al telefono “da piazza Gaza”, come i militanti pro Pal hanno chiamato il presidio permanente che si sono dati a Roma davanti alla stazione Termini, a pochi metri dalla statua dedicata a Woytjla. Sarà il coordinamento nazionale del movimento: i militanti si sono divisi ruoli e tavoli. Qui l’Unione sindacale di base, più in là Potere al Popolo, quindi gli studenti di Cambiare Rotta e di Osa, i Movimenti per la Palestina libera. Sul marciapiede le tende di Ultima Generazione. “Rompere ogni collaborazione con Israele”, recita lo striscione della Rete antisionista.

Sono tanti i percorsi che collegano i due movimenti. Guido Lutrario, uno dei leader dell’Usb, era a Genova, e così vari protagonisti del movimento di oggi, da Walter Massa dell’Arci, a Deborah Lucchetti, coordinatrice della campagna Abiti puliti, a Giulio Marcon di Sbilanciamoci. La portavoce della Global Sumud Flotilla, Maria Elena Delia, ha fatto una sintesi: “È un movimento che ritorna”.

Agnoletto, è così? “A parte i volti e le storie individuali – risponde – c’è prima di tutto una dimensione etica e culturale. Anche questo movimento, come il nostro, non è autoriferito. Guarda al futuro, ed è percorso da una consapevolezza globale, perché sa che la tragedia di Gaza oscura diritti e conquiste sociali ovunque. In questo io vedo uno snodo epocale, com’è stato per noi in relazione al nuovo ordine liberista. Questo spiega anche il carattere composito di entrambi i movimenti, come noi univamo i focolarini coi centri sociali, ed eravamo 900 associazioni che rompevano ogni barriera, anche questo movimento supera le appartenenze, dai cattolici all’antagonismo. Nel nostro caso, questo aspetto fece paura, e portò alla repressione poliziesca. Ma le idee, quelle, non sono state sconfitte”.

Ha avuto un ruolo anche la pandemia. Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, ha realizzato un bel podcast sui vent’anni di Genova 2001. “Limoni”, si chiama. Il succo di limone lenisce l’irritazione dei gas fumogeni. “È tornata la voglia di fare politica all’aria aperta, di andare oltre noi stessi. Il 22 settembre, in occasione della manifestazione per Gaza, a Roma i militanti hanno camminato per sette ore dentro la città. Si avverte il bisogno di lasciarsi alle spalle l’epoca del confinamento, la tossicità di certi ambienti, la frustrazione, il senso di impotenza, la sensazione sbagliata che tanto le cose non si possono cambiare. È una ripresa del collettivo”.

Mentre parliamo Alina, Serena e Beatrice montano la tenda di Ultima Generazione, l’associazione “famosa” per i blocchi stradali. Al collo hanno un cartello: “Meloni riconosca il genocidio”. Sono al decimo giorno di sciopero della fame. Hanno poco più di 30 anni. Non ricordano la riunione del Wto a Seattle, nel novembre del 1999, e neppure Montreal, Davos, e le altre tappe che portarono il Movimento no global fino a Genova. Per loro quell’esperienza è racchiusa in quello che hanno letto di piazza Alimonda e della caserma Diaz. La mattanza poliziesca. “Anche nei nostri confronti vediamo avanzare una repressione esagerata. Sabato – spiega Alina – abbiamo tentato di arrivare al Senato. Ci hanno pedinato e poi ci hanno portato in commissariato e tenuto in cella per 4 ore, a via Patini, in condizioni indecenti. Siamo tre donne ed hanno schierato 45 agenti per fermarci”.

La “Generazione Gaza”, come l’ha chiamata Fausto Bertinotti, non è una generazione di indifferenti. Ma manca di organizzazione. Questo è un aspetto che distingue il movimento di oggi da quelli del passato. “La molla che ha portato in piazza tanta gente è l’indignazione. È un fatto etico, prima che politico”, spiega Silvio Marconi, 70 anni. Pensionato (“con la minima”, precisa) dopo una vita nella cooperazione allo sviluppo. È iscritto alla Cgil, dà una mano al presidio, disegnando cartelloni e vignette. Silvio chiarisce con un esempio. “Gli studenti che militano nelle organizzazioni universitarie a Roma sono circa 2mila. Ma il 22 settembre ce n’erano 50mila in piazza. Da dove arrivavano? Ci sono tanti microgruppi che tuttavia non spiegano questa larga partecipazione. Ed è illusorio pensare che costruiranno un movimento politico. Per il momento non c’è organizzazione. Speriamo che abbiano il tempo per darsela, perché alle porte vedo l’ascesa della destra più pericolosa, dall’Afd in Germania a Le Pen in Francia, a Farage. È un contagio che non mi piace”.

Agnoletto concorda: “La Flotilla come evento ha generato un sentimento collettivo. Chi si sentiva impotente ha capito che poteva fare qualcosa, ha dato a tanti ragazzi l’opportunità di mettersi in gioco. È una galassia giovanile per lo più senza appartenenze, unita però da una spinta etica. Mi ricordano i volontari di Firenze, nel ’66, dopo l’alluvione. E in parte anche i manifestanti contro la guerra in Vietnam, nel ’68. Ma a differenza nostra, e delle generazioni passate, loro non hanno alternative, perché li stanno privando del futuro. Per cui io dico: non mettiamogli etichette, lasciamo che sperimentino da soli. Ora è importante che maturi una risposta culturale. L’organizzazione di un movimento o di un partito, non è la priorità”.

Simona sta cucendo la grande bandiera della Palestina che sarà portata in corteo il 4 ottobre, alla manifestazione nazionale di Roma. Ha 46 anni, è stata assistente di volo per Alitalia. Per lei la grande partecipazione alla manifestazione del 22 settembre “è prima di tutto una questione di umanità, di coscienza. Altrimenti come faceva un sindacato piccolo come l’Usb a organizzare tutto questo? È disumano quello che accade a Gaza. Al presidio vengono famiglie, lavoratori, anche persone in divisa, ci dicono che non lo sopportano più. All’80 per cento non gliene frega niente della politica, manco della Meloni. La Schlein? Neppure lei interessa. Qui i partiti non ce li vogliamo”.

Anita, 21 anni, studente di giurisprudenza alla Sapienza, presidia il tavolo di Potere al Popolo. “Senza il movimento no global oggi noi non saremmo qui. Quella è la nostra matrice, è la stessa rabbia che torna”, spiega. Iniziano le occupazioni scolastiche, con gli studenti del liceo Cavour. Ma ne arriveranno altre. “Gaza è il collante che unisce le lotte di tutti noi, ma ci sono altre vertenze che attendono risposta, dal caro vita generalizzato, ai tagli alla scuola e alla sanità, la precarietà del lavoro e della casa. Noi ci siamo, adesso aspettiamo gli altri”.

La mobilitazione per Gaza confluirà nell’autunno caldo. Col sostegno della Cgil sarebbe tutto più facile. Fosse per Simona, se ne potrebbe fare a meno. “Landini prima deve fare penitenza”, dice. A proposito chi potrebbe essere il leader? “Non ne abbiamo bisogno, grazie. Forse Francesca Albanese. È stata la più seria”. 

di Alfonso Raimo su Huffpost

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