IL VATICANO SCENDE IN CAMPO
La Santa sede tenta la mediazione ma gli attivisti rifiutano l’accordo su Cipro: “Vogliamo rompere il blocco”.
La partita della Global Sumud Flotilla si gioca sul filo della tensione diplomatica e del rischio militare. Quella che era nata come missione umanitaria per consegnare cibo, medicine e beni di prima necessità alla popolazione di Gaza, si è trasformata in una sfida politica di respiro internazionale, capace di mettere in moto governi, conferenze episcopali e marine militari.
Il governo italiano, con un piano illustrato da Giorgia Meloni e rilanciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ha cercato di mediare: far attraccare le navi cariche di aiuti a Cipro, trasferire i carichi e consegnarli poi a Gaza sotto la supervisione del Patriarcato latino di Gerusalemme. Un percorso che avrebbe avuto il placet di Israele, di Cipro e persino del Vaticano, pronto a spendere la sua moral suasion per evitare l’ennesimo bagno di sangue.
Ma la delegazione italiana del Global Movement to Gaza, in rappresentanza del comitato direttivo della Flotilla, ha rifiutato seccamente la proposta: “Non possiamo limitarci a scaricare i pacchi in un porto neutrale. La nostra missione è e resta rompere l’assedio illegale di Israele, consegnare aiuti direttamente a Gaza e denunciare un genocidio in corso”. Parole nette, che ribadiscono la natura politica dell’iniziativa: non solo aiuti umanitari, ma una sfida diretta a un blocco considerato contrario al diritto internazionale.
Crosetto ha messo in guardia: “L’Italia non potrà garantire protezione a chi entrerà in acque israeliane”. Parole che suonano come un avvertimento, mentre la fregata “Fasan”, inviata nel Mediterraneo orientale, resta in stand-by con compiti di assistenza, non di scorta armata. Intanto, Spagna e Grecia hanno offerto un supporto logistico e di sicurezza nel passaggio delle navi nelle loro acque territoriali, senza però assumersi la responsabilità di un eventuale contatto diretto con la marina israeliana.
La tensione è salita ulteriormente dopo i raid con droni che, nei giorni scorsi, hanno colpito alcune imbarcazioni della Flotilla, senza fare vittime ma causando danni e paura. Un episodio che ha spinto Roma e Madrid a rafforzare la presenza militare nella zona e che ha provocato la condanna ufficiale di Palazzo Chigi.
Sul fronte opposto, Israele ha ribadito che non permetterà a nessuna nave di violare il blocco imposto su Gaza dal 2007. Una posizione granitica, che apre lo scenario di un nuovo scontro in mare come già accaduto in passato, con arresti e sequestri di navi.
Il Vaticano e la Conferenza episcopale italiana tentano la mediazione, ma la strada appare in salita. La Flotilla non arretra, rivendicando il diritto alla navigazione e accusando la comunità internazionale di chiudere gli occhi davanti a un assedio che priva più di due milioni di persone di beni essenziali. “Qualsiasi attacco o ostacolo alla missione – avvertono gli attivisti – sarà una violazione del diritto internazionale e un atto di sfida all’ordinanza della Corte internazionale di giustizia che obbliga Israele a facilitare gli aiuti umanitari”.
Mentre le navi riprendono rotta verso Est, il rischio di un incidente diplomatico o addirittura militare resta altissimo. Da una parte governi che tentano di smussare i toni, dall’altra una missione che rivendica la forza del gesto simbolico: non solo portare pane e medicine, ma incrinare un blocco che, a detta degli organizzatori, è la radice stessa della crisi umanitaria.
La Flotilla naviga, dunque, con il vento della politica più che con quello del mare. E ogni miglio percorso verso Gaza sembra avvicinare lo scontro che tutti, ufficialmente, dicono di voler evitare.
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