Torna l’assalto alla diligenza
Si sta parlando di introdurre nella prossima legge di bilancio una norma in base alla quale il TFR di chi verrà assunto per la prima volta dal 2026 in poi, finirà obbligatoriamente nei fondi pensione, a meno che l’interessato, entro sei mesi non dichiari di volerlo tenere in azienda.
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Il provvedimento mira a rafforzare le adesioni ai fondi pensione.
“La struttura produttiva italiana è prevalentemente composta da micro e piccole imprese; i dati forniti recentemente dall’ISTAT e da Confartigianato sulla dimensione delle imprese suddivise per numero di dipendenti indicano che su un totale di 4,665 milioni di imprese operanti in Italia la quasi totalità (94,91%) sono micro imprese, occupano da 0 a 9 dipendenti perché in molti casi l’attività è condotta dal lavoratore autonomo, artigiano, commerciante o imprenditore agricolo e costituiscono il tessuto imprenditoriale prevalente del Paese operando nei più svariati sistemi economici. Ebbene, questa micro imprese, che certo non beneficiano del credito bancario né di altre forme di investimento, impiegano ben 7,704 milioni di lavoratori e si sostengono con la gran parte dei circa 31,3 miliardi di euro di TFR erogati nel Paese; infatti, ben 17,3 miliardi l’anno sono accantonati presso le aziende con meno di 50 dipendenti. Le piccole imprese (tra 10 e 49 dipendenti) costituiscono il 4,44% del totale e occupano circa 3,2 milioni di addetti, mentre le medie imprese (tra 50 e 249 dipendenti) sono lo 0,56% del totale. Solo lo 0,09% delle imprese italiane, pari a 4.400 unità, è costituita dalle grandi imprese con almeno 250 dipendenti che impiegano oltre 4,2 milioni di lavoratori, pari al 23,29% del totale. Quindi, i lavoratori delle micro e piccole imprese sotto i 50 addetti, sono circa 11 milioni, pari al 60% degli occupati nel settore privato”. (Fonte: I fondi pensione nella legislazione italiana – la sottrazione di capitale all’economia reale e il diritto negato ai lavoratori delle PMI a cura del Centro studi ricerche Itinerari previdenziali, anno 2025, pag. 11).
“È noto che il TFR, soprattutto per le micro e piccole imprese che hanno difficoltà di accesso ai finanziamenti bancari e di mercato, rappresenta una disponibilità di liquidità con la quale l’azienda finanzia l’acquisto di materiali e attrezzature, il magazzino e in generale l’intera gestione aziendale.” (Fonte di cui sopra, pag. 12).
Ricordo che nel 2023 la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi sul TFR con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023, riconoscendo che il TFR ha una natura retributiva e previdenziale, e che il suo pagamento deve avvenire senza ritardi ingiustificati.
Vi è poi di ostacolo all’intervento proposto il fatto che il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, il 30.01.2007, hanno emanato il decreto attuativo dell’art. 1, comma 755, della Finanziaria 2007 (Legge 296/2006) che ha istituito il fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile.
Ai sensi della citata legge, è stato istituito un fondo presso l’INPS finanziato da un contributo pari alla quota di cui all’art. 2120 del codice civile maturata da ciascun lavoratore del settore privato a decorrere dal 01.01.2007, e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al d.lgs. 252/2005.
Sono obbligati al versamento del contributo, effettuato mensilmente, salvo conguaglio a fine anno o alla cessazione del rapporto di lavoro, i datori di lavoro del settore privato, esclusi i datori di lavoro domestico, che abbiano alle proprie dipendenze almeno 50 addetti, per i lavoratori per i quali trova applicazione, ai fini del trattamento di fine rapporto (TFR), l’art. 2120 del codice civile.
Quello proposto a me pare un meccanismo di silenzio assenso al contrario che confida sulla scarsa cultura previdenziale in Italia.
La massa di denaro in questione è assai rilevante se si pensa che “nel 2023 il flusso di TFR verso l’INPS è ammontato a 6,1 miliardi di euro” (stessa fonte, pag. 23).
Ricordo infine che il Fondo di garanzia per le micro PMI, previsto dal d.lgs. 252/2005, che aveva appunto l’obiettivo di finanziare il deflusso di TFR dalle imprese ai Fondi pensione, cosi da favorire l’adesione ai Fondi pensione complementari dei dipendenti delle micro e piccole imprese, per le quali il TFR, come è noto, rappresenta l’unica fonte di finanziamento, è stato abolito.
Sarebbe bene che i sindacati dei lavoratori, se ancora si occupano di questi temi, facessero sentire la loro voce perché è in gioco la sostenibilità delle PMI da un lato e la retribuzione differita dei lavoratori dall’altro.
Far cassa con la retribuzione differita dei lavoratori non mi sembra “una idea geniale” anche perché si passa dal certo (rivalutazione TRF) all’incerto (fondi pensione finanziati a capitalizzazione e quindi con i mercati), trasferendo il rischio finanziario sui lavoratori.
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