La Flotilla teme la luce
Espellono i giornalisti, querelano chi indaga e intanto predicano trasparenza: l’umanitario diventa propaganda, la censura rivela più dei proclami.
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Una missione che proclama pace e umanità dovrebbe avere la forza di guardare in faccia le domande. Invece la Global Sumud Flotilla, pronta a salpare con la bandiera degli aiuti umanitari, lascia dietro di sé una scia di sospetti: caccia un’inviata de La Stampa, Francesca Del Vecchio, e trascina in tribunale Il Tempo per l’inchiesta sui legami con Hamas. Il tutto mentre dichiara di voler difendere la libertà di un popolo oppresso. Ma chi difende la libertà di stampa?
La vicenda ha un valore che va ben oltre l’incidente di cronaca. La Flotilla ha chiesto regole ferree ai giornalisti a bordo: consegna dei telefoni, silenzio su luoghi e procedure, rinuncia a informazioni ritenute “sensibili”. Quando Del Vecchio ha esercitato il suo mestiere, raccontando ciò che vedeva, è stata etichettata come “pericolosa” e allontanata. Un gesto che, al netto delle spiegazioni di sicurezza, appare come censura preventiva. Perché se la regola è tacere, allora il giornalista non è più osservatore indipendente ma megafono sotto controllo.
Sul fronte giudiziario la musica non cambia. Il Global Movement Gaza Italia annuncia querela contro Il Tempo, reo di avere scritto di rapporti tra gli organizzatori e Hamas. Il direttore Tommaso Cerno risponde rivendicando i documenti e la volontà di mostrarli in tribunale. In un Paese democratico è giusto che un giudice stabilisca chi ha ragione. Ma resta il sospetto: perché un’organizzazione che si presenta come limpida e pacifista reagisce con la logica dell’attacco legale invece che con la trasparenza? Se le accuse sono infondate, il modo migliore per smentirle non è imbavagliare ma aprire i cassetti.
Il punto, però, non è soltanto giudiziario. È politico e morale. La Flotilla è seguita da attivisti, intellettuali e personaggi pubblici che dicono di muoversi per umanità. Ma l’umanità non si difende zittendo le domande scomode. Il rischio è che la missione, nata come testimonianza contro l’assedio di Gaza, si trasformi in una rappresentazione ideologica, dove ogni critica diventa tradimento e ogni cronista che non recita la parte viene espulso. Così l’aiuto ai civili rischia di ridursi a bandiera di lotta politica, giocata sulle spalle di chi non ha voce.
In realtà la libertà di stampa è il termometro della verità. Se un’iniziativa umanitaria teme la cronaca, allora rivela che dietro la facciata ci sono ombre. È accaduto altre volte: organizzazioni nate per fini nobili hanno perso credibilità nel momento in cui hanno rifiutato la luce dei riflettori. Perché la trasparenza è l’unica garanzia di onestà. Chi davvero porta soccorso non teme le telecamere né le domande.
Questa vicenda deve interrogare anche la politica italiana. Alcuni protagonisti della Flotilla frequentano ambienti della sinistra e trovano appoggi in certi circuiti. Nulla di male, in sé. Ma diventa grave se il sostegno a un’iniziativa di pace si accompagna al silenzio sulla censura. Chi difende i diritti umani non può girare la testa dall’altra parte quando i diritti elementari del giornalismo vengono calpestati.
Il dramma palestinese resta immenso e reale: migliaia di vite sospese, un territorio martoriato, civili intrappolati in un conflitto senza uscita. Ma proprio perché la causa è giusta, non può permettersi opacità. Non può diventare passerella per attivisti che usano la sofferenza altrui come palcoscenico. Non può tollerare che la ricerca di verità venga scambiata per ostilità.
La querela contro Il Tempo e l’espulsione della giornalista non fanno che indebolire la missione stessa. Perché alimentano il sospetto che la Flotilla non voglia essere osservata, che preferisca il racconto controllato al rischio di un’inchiesta. E allora la domanda si impone: se la vostra causa è limpida, perché temere la luce?
In tribunale si vedranno le carte. In mare, forse, salperanno le navi. Ma in entrambi i casi resterà una certezza: la libertà di stampa non è un lusso accessorio, è la condizione minima per credere che un gesto sia autentico. Chi la calpesta si mette da solo nell’angolo, e perde quella credibilità che nessuna propaganda potrà mai restituire.
Video di Free4Future su alcuni interessanti personaggi che fanno parte della Sumud Flotilla a livello dirigenziale https://youtu.be/N2XxT9DCiFQ?feature=shared
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